Non è con un nuovo ministro che si fa una politica industriale seria

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Non è con un nuovo ministro che si fa una politica industriale seria

03 Settembre 2010

L’affermazione del Presidente Napolitano che per il nostro paese è giunto il momento di una seria politica industriale è alquanto generica e merita di essere declinata di contenuti affinché sia di qualche utilità.

Chi scrive ritiene che il paese non necessiti di una politica industriale intesa nel senso tradizionale, quale quella che si è realizzata in un passato non lontano: lo Stato, o il Ministro dell’industria, nella loro “illuminata saggezza” individuavano alcuni settori o imprese ritenute strategiche e determinava un complesso di interventi miranti a rafforzare e sostenere questi “campioni nazionali”. Il  risultato nefasto  era stato anticipato con lungimiranza da un pensatore cattolico, Don Luigi Sturzo che, in epoca non sospetta, denunciava come tale politica avrebbe condotto a “.. comodi compromessi a danno del consumatore o del contribuente” (L.Sturzo, Stato democratico e statalismo, Il Giornale d’Italia, 20 novembre 1952). 

Ciò che oggi occorre è in effetti una seria politica di sostegno al mondo delle imprese, che migliori il contesto normativo e regolamentare in cui esse operano, favorendo la libertà di intraprendere e la libertà di contrattare. Solo in questa maniera sarà possibile aumentare la produttività del nostro sistema, incrementare il potenziale di crescita, migliorare l’occupazione. 

Un serio programma in tal senso dovrebbe comprendere, innanzitutto, il rilancio della stagione delle liberalizzazioni. Le priorità sono note da tempo e sono state ribadite anche recentemente nelle proposte che l’Antitrust ha formulato al Governo per la redazione della Legge annuale sulla concorrenza (cfr. Agcm, Segnalazione del 9/2/2010, S1227).

I settori ove è più urgente intervenire sono quelli in cui permangono i retaggi dei monopoli pubblici o corporativi: la posta, la filiera del gas, i trasporti ferroviari, il vasto mondo dei servizi pubblici locali e delle libere professioni. I benefici derivabili da una compiuta liberalizzazione di questi comparti sono stati ampiamente documentati da una vasta letteratura scientifica.

Un ulteriore filone di interventi a favore delle imprese dovrebbe consistere nel rimuovere gli oneri burocratici e regolamentari che ostacolano inutilmente l’attività imprenditoriale. Utili suggerimenti al riguardo si possono ricavare dal rapporto annuale della Banca mondiale che annualmente confronta il costo di fare impresa tra i paesi del globo sulla base di una serie di indicatori: costi e tempi per l’apertura e la chiusura delle aziende, per la soluzioni delle controversie giudiziarie, per  il trasferimento delle proprietà immobiliari (World Bank, Doing Business, 2009). L’evidenza raccolta pone il nostro paese al 78° posto, in forte svantaggio competitivo rispetto ai nostri principali concorrenti: imprese tedesche o francesi, non quelle rumene o cinesi.

E’ su queste direttrici, concrete ed efficaci, che occorre l’intervento del governo a favore del sistema produttivo italiano. Il pregio di un tale approccio è che non comporta costi per l’erario: si può liberalizzare, senza gravare sui conti pubblici. Un jolly non da poco di questi tempi! E tutto sommato, per realizzare tale programma, non occorre un Ministro dello sviluppo economico. Del resto gli Stati Uniti, che restano la più grande democrazia industriale del mondo, non hanno mai sentito il bisogno di dotarsene per sostenere le loro imprese.