Non grideremo mai “Forza Clementina”. Anche se ne avremmo una gran voglia
30 Luglio 2007
di Milton
Era il Luglio 1994. Tre magistrati, tre star sulla cresta
dell’onda, tre condottieri senza macchia e senza paura, compaiono in TV e con
toni da appello alla nazione, intimano al Parlamento di non approvare la legge
Biondi, che da quel giorno si chiamò “salvaladri”. E il Parlamento ubbidì. La legge ovviamente, non avrebbe salvato nessun ladro, ma
quelli erano i tempi in cui il potere giudiziario aveva di fatto assommato a sé
quello legslativo e quello esecutivo (dove erano gli illuministi?),
condizionando pesantemente la vita politca e civile del Paese. Erano i tempi in
cui, gli imprenditori si suicidavano, i politici morivano in carcere o venivano
spediti a morire in esilio, solo perché non potevano non sapere. Erano i tempi
in cui i magistrati non avevano sempre come obiettivo la ricerca della verità o
la giustizia, ma “rivoltare il Paese come un calzino” o “sfasciare” questo o
quel presunto colpevole. Erano i tempi in cui gli avvisi di garanzia venivano letti prima al direttore del
Corriere della Sera, poi al Presidente della Repubblica (la maiuscola non
sarebbe d’obbligo in questo specifico caso) e quindi consegnati all’interessato,
magari quando questi rappresentava l’Italia in un consesso internazionale (per
inciso l’oggetto del suddetto avviso di garanzia si è poi rivelato, ma solo dopo
dieci anni, una bufala). Il tutto cavalcando una piazza ronzante, goffa e
forcaiola.
Erano anche però i tempi in cui un compagno sorpreso a
passeggiare con una valigietta contenente pare un discreto gruzzoletto, disse
che erano soldi che sarebbero a lui serviti per l’acquisto della casa. E fu
creduto. Simultaneamente sembra che altri appositi rigonfi abituri entrassero dalla
porta del Bottegone e ne uscissero misteriosamente vuoti dagli ascensori dei
piani alti, ma ovviamente gli inquilini di tali piani, potevano non sapere.
E così nacquero i professionisti del giustizialismo,
professione redditizia quanto squallida: libri, riviste, film e appelli della
solita accozzaglia rumorosa e nullafacente di professoroni dell’indignazione. E
guai a chi osava esprimere la propria opinione su quanto accadeva, guai a chi
osava criticare quella parte della magistratura protagonista tanto nella aule
di tribunale, quanto nelle TV, e sui giornali, neanche fossero veline
all’uscita del Billionaire. Le aperture dell’anno giudiziario erano divenute
riunioni di ultras, pronti alla battaglia
al grido di “Resistere, resistere, resistere come sulla linea del
Piave”. “Forza Ida” intitolava l’Espresso, appena qualche anno fa.
Poi arrivarono i girotondi, capeggiati da un paio di
professori che ancora insegnano la dittatura del proletariato a spese del
contribuente. Già i girotondi: gruppi di attoruncoli, satiri, scrittori falliti
in cerca di pubblicità, registi impegnati con amici nelle giurie
cinematografiche ma bocciati puntualmente ai botteghini, giullari premi Nobel
dimentichi dela loro gioventù fascista, pezzi di società che ha ancora il
bisogno di autodefinirsi “civile”.
Cosa resta di quegli anni. Più di 20.000 (ventimila)
avvisi di garanzia e solo una decina di condanne definitive. Carriere
stroncate, tranne quelle dei magistrati protagonisti di quell’epoca: c’è chi fa
il ministro, chi il senatore, chi ha fatto carriera nella giustizia e chi pare fa
il dirigente di case editrici.
Ma soprattutto sembrava restare un giudizio storico
immutabile: nel marasma e nella corruzione generale, una parte politica era
riuscita a mantenere la sua verginità, a tenere alto il vessillo della
questione morale, ad essere immune da ogni tentazione, da ogni interesse
particolare. Insomma si riteneva che quella parte facesse politica, pagandone i
costi con le piadine e le salsicce vendute alle Feste dell’Unità e l’afflato
volontaristico dei suoi iscritti, facesse il resto. In definitiva, chi apparteneva
a questa razza politica, aveva una superiorità morale per ragione della quale
ogni verità albergava da quella parte, e solo in essa. E chi, con quelle
presunte verità era in disaccordo, era un ladro o un corruttore.
Le recenti vicende Unipol-DS, dimostrano quanto questo
giudizio storico sia perlomeno innopportuno. Ma sinceramente ci si stupisce
della sorpresa.
I DS oggi ma anche il PDS e il PCI prima, hanno costriuto
negli anni un rapporto invasivo di carattere ultra-corporativistico con il
mondo della cooperazione (e non solo) che, laddove si estrinseca in strutture
consolidate sul territorio (regioni “rosse”), condiziona la vita sociale,
civile e quindi politica ormai da qualche decennio, soprattutto da quando le
vie dell’Est si sono prosciugate. Nessuna sorpresa quindi.
Si prenda atto di questo, lo si riconosca, si riabiliti per
davvero chi ciò lo gridò in Parlamento prima di essere sbeffeggiato e esiliato,
chi (pochi) sui giornali lo ha scritto in questi anni, chi, per questa
devastante e virulenta piaga della nostra recente democrazia quale è stata
Tangentopoli e i suoi strascichi anche recenti, ci ha perso l’onore e la vita. Riconoscetelo compagni e resistete, resistete, resistete.
Noi non grideremo mai, e poi mai, “Forza
Clementina”. Anche se ne avremmo una gran voglia.