
Non lasciamo solo Caprotti contro le coop rosse

24 Settembre 2007
di Milton
Questo vegliardo (così si è autodefinito) signore di
quasi 82 anni non va lasciato solo. Bernado Caprotti ha coraggiosamente e
finalmente aperto uno squarcio profondo in quel vergognoso mondo di privilegi,
commistioni e favoritismi rappresentato dal mondo delle cooperative “rosse”. Il
suo libro, da pochi giorni in edicola, “Falce e carrello” non è solo un atto
d’accusa, ma è il decantato rabbioso di una storia di soprusi, dove
l’intraprendere è anestetizzato ogni giorno da un conflitto di interessi gigantesco
che coinvolge a pieno titolo la sinistra italiana. Essa ha infatti creato un
sistema di capitalismo di Stato ben localizzato e radicato, un vero e proprio
regime capital-comunista, un apparato dove si intrecciano gli interessi, gli affari
e l’egemonia politica, ed in cui gli stessi uomini hanno ruoli dirigenti nei Ds
e nelle Coop, con fatturati plurimiliardari.
Caprotti, dati e fatti alla mano, snocciola anni di
ritorsioni e soprusi, puntando il dito sullo scandaloso sistema di protezione
di cui le Coop godono, privilegi fiscali e, non ultimo, il polmone finanziario
inesauribile del prestito sociale,
una fonte di finanziamento gigantesca che rappresenta un vero e proprio abuso nei
confronti del cittadino-contribuente. Infatti, nonostante la legge vieti,
l’esercizio attivo del credito, di fatto le Coop funzionano come fossero
sportelli bancari, raccolgono i risparmi dei soci, li usano a loro piacimento e
distribuiscono interessi che nessun istituto di credito si può permettere. Ciò
perché l’imposta sugli interessi non è al 27% (come per i comuni mortali) bensì
al 12.5%. Questa modalità per lo meno peculiare di finanziamneto, permette alle Coop di gestire una mole enorme di
danaro senza essere soggette ai controlli delle autorità creditizie. Da questo
sistema di privilegi arrivavano i soldi che sarebbero serviti ad Unipol per
comprarsi BNL, con la benedizione e il supporto telefonico dei vertici DS
(“abbiamo una banca”). Di questo sistema sono figli alcuni sottoprodotti della
famosa lenzuolata di Bersani, i farmaci da banco e le pompe di benzina alla
grande distribuzione, per non parlare del ritiro di alcune concessioni TAV,
guarda caso quasi solo esclusivamenti per quegli appalti (pochi) nei quali le
Coop non sono coinvolte.
L’intreccio è presto scritto: Coop, partito (ho
difficoltà a scriverne il nome, cangiante ormai a ritmi triennali),
amministrazioni locali, con le risorse che in periodo pre-elettorale vanno
dalle Coop al partito per poi invertire la rotta, una volta che le amministrazioni
si sono insediate. E’ così che in Emilia Romagna le Coop controllano quasi il
70% della grande distribuzione alimentare (in Lombardia nessuna catena arriva
al 10%), nella provincia di Modena si supera il 70%, mentre in Liguria hanno il
monopolio assoluto degli ipermercati. Ma uscendo dalla distribuzione
alimentare, le cose non cambiano. Si scopre che anche
nell’aggiudicazione degli appalti e nelle assicurazioni, le Coop hanno posizioni
dominanti nelle regioni amministrate ormai da oltre mezzo secolo da giunte di
sinistra.
Il legame tra le
Coop rosse e la sinistra ha dato vita ad un impero
politico-finanziario-aziendale. I numeri parlano chiaro: la Legacoop, che ha un giro
d’affari di 45,7 miliardi di euro l’anno, costituisce poco più del 3 per cento
del Pil, conta 401 mila dipendenti, 7 milioni e 350 mila soci e 15.200 Coop
aderenti. Una vera potenza economica. Tanto per fare un paragone non capzioso, Mediaset
ha un fatturato annuo pari a 3 miliardi di euro, paga le tasse come qualunque
altra azienda e accede a linee di finanziamento non privilegiate.
E non mi si venga a parlare del ruolo sociale della
cooperazione, rigurgiti sociologici che non incantano più nessuno. Questi
intrecci d’affari, non sono cooperazione. La cooperazione, quella vera, è
tutt’altro. Ha come sua finalità originaria l’aggregazione dei lavoratori su
progetti d’impresa, lontani da spericolate operazioni finanziarie e
speculative, con l’obiettivo di recuperare il principio dell’etica mutualistica,
tipico del riformismo liberale, e mettersi al servizio dei cittadini, dei consumatori
e dei produttori. Insomma, un bagliore di sussidiarietà ante-litteram.
Questo è il regime, questo è l’abuso di potere,
l’intreccio e la cooptazione di interessi che reggono da decenni le amministrazioni
rosse, basate su un’economia delle clientele che non ha eguali e che nel caso
Unipol ha tentato anche di scalare il potere economico nazionale. Nelle Coop rosse infatti il management ha margine di manovra pressochè illimitati: può fare alleanze fino ad
identificarsi col potere politico-partitico, con tutto quel che ne
consegue in termini di mancanza di trasparenza e responsabilità. Il danno viene
arrecato anche ai soci delle Coop, che, rispetto agli azionisti delle società
di capitali, non hanno veri poteri di controllo sul management
Attenzione perché, il virus di questo regime è sempre più
pericoloso e si sta espandendo anche a regioni che solo più recentemente hanno
conosciuto questo genere di approccio, come la Campania di Bassolino, due volte
sindaco di Napoli e rieletto con più del
60% dei voti presidente della Regione, nonostante la diossina da rifiuti urbani
infesti l’aria e la criminalità sia ormai padrona del territorio.
Per tutto questo, e per tutto ciò che questo comporta, la
battaglia di Caprotti va sostenuta con forza, è una battaglia di civiltà contro
il più grande e devastante conflitto di interessi che il nostro Paese conosca.