Non lasciamo solo Caprotti contro le coop rosse
21 Settembre 2011
di Milton
In questi giorni è tornata alla ribalta delle cronache la querelle che da anni oppone il presidente del gruppo Esselunga, Bernardo Caprotti, e i vari gruppi cooperativi della grande distribuzione che operano nelle regioni storicamente comuniste del centro e nord Italia. Nel suo libro "Falce e carrello", presentato esattamente quattro anni fa, il 21 Settembre del 2007, Caprotti accusava Coop, Legacoop, e altri gruppi cooperativi di aver impedito al suo gruppo una penetrazione industriale in certe aree del paese, grazie alle connessioni politiche esistenti tra cooperative e amministrazioni locali. Alle ricostruzioni personali sui rapporti tra Esselunga – cooperative, contenute appunto nel libro di Caprotti, i gruppi dirigenti di Coop Italia si mossero per via legali, arrivando a chiedere un risarcimento a Esselunga per una cifra di 41 milioni di euro. La scorsa settimana il Tribunale di Milano ha condannato Esselunga per ‘illecita concorrenza’ e le imposto un risarcimento di 300,000 euro. Una sentenza che peraltro, in base agli artt. 2958 e 2599 del codice civile, autorizza l’autorità giudiziaria a rimuovere l’oggetto di ‘illecita concorrenza’ – si noti, un libro! – dagli scaffali. Un patente attentato alla libertà di stampa e d’espressione.
Ripubblichiamo qui sotto un articolo a riguardo, pubblicato da l’Occidentale quasi quattro anni or’ sono, il 24 Settembre 2007.
Questo vegliardo (così si è autodefinito) signore di quasi 82 anni non va lasciato solo. Bernardo Caprotti ha coraggiosamente e finalmente aperto uno squarcio profondo in quel vergognoso mondo di privilegi, commistioni e favoritismi rappresentato dal mondo delle cooperative “rosse”. Il suo libro, da pochi giorni in edicola, “Falce e carrello” non è solo un atto d’accusa, ma è il decantato rabbioso di una storia di soprusi, dove l’intraprendere è anestetizzato ogni giorno da un conflitto di interessi gigantesco che coinvolge a pieno titolo la sinistra italiana.
Essa ha infatti creato un sistema di capitalismo di Stato ben localizzato e radicato, un vero e proprio regime capital-comunista, un apparato dove si intrecciano gli interessi, gli affari e l’egemonia politica, ed in cui gli stessi uomini hanno ruoli dirigenti nei Ds e nelle Coop, con fatturati plurimiliardari. Caprotti, dati e fatti alla mano, snocciola anni di ritorsioni e soprusi, puntando il dito sullo scandaloso sistema di protezione di cui le Coop godono, privilegi fiscali e, non ultimo, il polmone finanziario inesauribile del prestito sociale, una fonte di finanziamento gigantesca che rappresenta un vero e proprio abuso nei confronti del cittadino-contribuente.
Infatti, nonostante la legge vieti, l’esercizio attivo del credito, di fatto le Coop funzionano come fossero sportelli bancari, raccolgono i risparmi dei soci, li usano a loro piacimento e distribuiscono interessi che nessun istituto di credito si può permettere. Ciò perché l’imposta sugli interessi non è al 27% (come per i comuni mortali) bensì al 12.5%. Questa modalità per lo meno peculiare di finanziamneto, permette alle Coop di gestire una mole enorme di danaro senza essere soggette ai controlli delle autorità creditizie. Da questo sistema di privilegi arrivavano i soldi che sarebbero serviti ad Unipol per comprarsi BNL, con la benedizione e il supporto telefonico dei vertici DS (“abbiamo una banca”). Di questo sistema sono figli alcuni sottoprodotti della famosa lenzuolata di Bersani, i farmaci da banco e le pompe di benzina alla grande distribuzione, per non parlare del ritiro di alcune concessioni TAV, guarda caso quasi solo esclusivamenti per quegli appalti (pochi) nei quali le Coop non sono coinvolte.
L’intreccio è presto scritto: Coop, partito (ho difficoltà a scriverne il nome, cangiante ormai a ritmi triennali), amministrazioni locali, con le risorse che in periodo pre-elettorale vanno dalle Coop al partito per poi invertire la rotta, una volta che le amministrazioni si sono insediate. E’ così che in Emilia Romagna le Coop controllano quasi il 70% della grande distribuzione alimentare (in Lombardia nessuna catena arriva al 10%), nella provincia di Modena si supera il 70%, mentre in Liguria hanno il monopolio assoluto degli ipermercati. Ma uscendo dalla distribuzione alimentare, le cose non cambiano. Si scopre che anche nell’aggiudicazione degli appalti e nelle assicurazioni, le Coop hanno posizioni dominanti nelle regioni amministrate ormai da oltre mezzo secolo da giunte di sinistra.
Il legame tra le Coop rosse e la sinistra ha dato vita ad un impero politico-finanziario-aziendale. I numeri parlano chiaro: la Legacoop, che ha un giro d’affari di 45,7 miliardi di euro l’anno, costituisce poco più del 3 per cento del Pil, conta 401 mila dipendenti, 7 milioni e 350 mila soci e 15.200 Coop aderenti. Una vera potenza economica. Tanto per fare un paragone non capzioso, Mediaset ha un fatturato annuo pari a 3 miliardi di euro, paga le tasse come qualunque altra azienda e accede a linee di finanziamento non privilegiate.
E non mi si venga a parlare del ruolo sociale della cooperazione, rigurgiti sociologici che non incantano più nessuno. Questi intrecci d’affari, non sono cooperazione. La cooperazione, quella vera, è tutt’altro. Ha come sua finalità originaria l’aggregazione dei lavoratori su progetti d’impresa, lontani da spericolate operazioni finanziarie e speculative, con l’obiettivo di recuperare il principio dell’etica mutualistica, tipico del riformismo liberale, e mettersi al servizio dei cittadini, dei consumatori e dei produttori. Insomma, un bagliore di sussidiarietà ante-litteram.
Questo è il regime, questo è l’abuso di potere, l’intreccio e la cooptazione di interessi che reggono da decenni le amministrazioni rosse, basate su un’economia delle clientele che non ha eguali e che nel caso Unipol ha tentato anche di scalare il potere economico nazionale. Nelle Coop rosse infatti il management ha margine di manovra pressochè illimitati: può fare alleanze fino ad identificarsi col potere politico-partitico, con tutto quel che ne consegue in termini di mancanza di trasparenza e responsabilità. Il danno viene arrecato anche ai soci delle Coop, che, rispetto agli azionisti delle società di capitali, non hanno veri poteri di controllo sul management
Attenzione perché, il virus di questo regime è sempre più pericoloso e si sta espandendo anche a regioni che solo più recentemente hanno conosciuto questo genere di approccio, come la Campania di Bassolino, due volte sindaco di Napoli e rieletto con più del 60% dei voti presidente della Regione, nonostante la diossina da rifiuti urbani infesti l’aria e la criminalità sia ormai padrona del territorio.
Per tutto questo, e per tutto ciò che questo comporta, la battaglia di Caprotti va sostenuta con forza, è una battaglia di civiltà contro il più grande e devastante conflitto di interessi che il nostro Paese conosca.