Non l’avremmo mai detto ma Fazio e Saviano in fondo ci mancheranno

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Non l’avremmo mai detto ma Fazio e Saviano in fondo ci mancheranno

23 Novembre 2010

E’ un guaio quando la terza puntata di una serialità che piace (o che fa male come farebbe a un masochista) è anche la penultima. Un po’ come gustare una minestra corposa, a base di legumi, cereali, spezie, avendone solo un mestolo per separare e apprezzare i sapori. Diciamo la verità, Fazio e Saviano ci mancheranno. Ma l’assenza che avvertiremo sarà da parametrare, nello specifico a questi palinsesti traboccanti di chiacchiera politica, a ogni ora e su ogni tasto del telecomando, di quiz, indovinelli, rebus. Di donne scosciate, programmi del primo pomeriggio e dell’ultimo scampolo di notte pieni di fratelli della piccola uccisa, criminologhe fighe e avetrane da scavetrare, finché non resta neanche un pezzettino di dignità.  

Quando le quattro puntate finiranno non avremo più una ragione televisiva per scannarci, perché perdere le staffe per Santoro ormai è banale, e per trovare qualcosa di guardabile (lo diciamo senza snobismo progressista) dovremo tornare a coricarci alle tre di mattina, quando Rai educational programma i documentari, Eduardo e le lezioni di trigonometria.

Se a questo mondo i più falliti sono gli ignavi, Fazio e Saviano hanno il merito di avere una identità. Per questo perfino li rimpiangeremo. Per questo loro vincono e Fini è un fallito. Sarà pure una riconoscibilità condita di costruzioni retoriche, della pretesa di essere sempre il bianco nel bipolarismo morale, però avvertiamo una fame tale di cose non ibride, che apparentemente si riesce a placare solo con un buonista ligure e uno scrittore che talvolta inciampa. E questo deve far capire quanto stiano male le cose nell’industria catodica, potendoci permettere di dirlo proprio perché al governo siedono i “nostri”, incapaci di produrre qualcosa di valido al di là di fiction apprezzabili.    

C’è sempre troppo in “Vieni via con me”, manifesto (che vorrebbe apparire sobrio ma è in sé pacchiano) del cattolicesimo democratico che incontra il comunismo buono, tutto passione civile e fatale caduta nella retorica (lo ammettiamo senza sarcasmo). In ossequio alla regola, anche ieri il programma era pieno come un uovo, ma forse è stato più digeribile perché a parte le fucilate contro Berlusconi (alle quali siamo talmente avvezzi che se si spara “con stile” quasi si tollera), non ci sono stati scivoloni nella fanghiglia. Maroni ha fatto il suo compito (e peccato che raccontare come il governo stia soffocando le mafie sembri solo il risarcimento di un ministro permaloso; ma è sempre la destra delle antenne a dover fare ammenda); Saviano è tornato a fare l’autore di Gomorra non rivestendo i panni della vittima della dittatura azzurra; Corrado Guzzanti ha demolito senza l’acredine della sorella premier e ministri, menando fendenti contro il “perdentismo” di Bersani (sembra ormai un pacchetto unico); la sorella di Stefano Cucchi ha enfatizzato il ricordo del fratello non santo, però ammazzato in un carcere in modo oscuro e sacralizzante; David Anzalone, handicappato, ha recitato un brano comico sdrammatizzando il peso della disabilità: sublime oltre ogni retorica; Bonino, Camusso e Morante hanno ricostituito la falange femminista, che ha meriti quando denuncia l’infamia delle donne negate, ma scade quando afferma il tratto, consueto, delle donne senza dio né femminilità.                              

C’è tutto, rottami della sottocultura (come la chiamano loro bollando i costumi della gente che non li vota) progressista, e argenteria vera del pensiero non conservatore.

Tutto di loro, insomma, e nulla di nostro in questa tele che sarebbe sotto il dominio incontrastato del Cavaliere. Quanto li agevola questa destra che occulta benissimo le sue risorse.