“Non restate a metà del guado”. Lettera aperta a Cicchitto e Biondi

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“Non restate a metà del guado”. Lettera aperta a Cicchitto e Biondi

“Non restate a metà del guado”. Lettera aperta a Cicchitto e Biondi

10 Maggio 2007

Caro Fabrizio, caro Alfredo,

ho letto l’articolo con il quale annunciate la scelta di non essere in piazza il 12 maggio per manifestare a favore della famiglia. Ne apprezzo molte delle argomentazioni e, ancor più, il rispetto per la propria vicenda biografica che traspare in controluce. Non ne comprendo, invece, il senso politico. Nel vostro articolo ammettete che le argomentazioni dell’appello dei promotori rispondono a criteri di assoluta laicità, al punto da trovarvi d’accordo con esse. Affermate anche che la manifestazione per “l’orgoglio laico” di Piazza Navona rappresenta, nella sua essenza, una reazione d’integralismo laicista. Vi rifiutate, però, di trarre le dovute conseguenze da queste vostre premesse.

In altri termini, vi rifiutate di prendere atto che nel mondo laico italiano è in corso uno scisma che si fa sempre più profondo. E questo è il risultato dell’evoluzione storica del nostro Paese, oltreché del mutamento che l’agenda politica ha subito nei primi anni di questo nuovo millennio. Sono trasformazioni che vengono da lontano, dalla fine degli anni Settanta. Quelle che concernono il nostro Paese hanno iniziato a manifestarsi già ai tempi della presidenza del Consiglio di Bettino Craxi, quando il nuovo testo concordatario ha affermato la fine dell’originario separatismo tra Stato e Chiesa. Poi la nascita di Forza italia – il primo grande partito della storia d’Italia dove cattolici e laici si sono ritrovati “costituzionalmente” insieme – ha accelerato quell’evoluzione. Tutto ciò ha interagito con le grandi trasformazioni del mondo provocate innanzi tutto dalla fine del comunismo. Non c’è solo lo scontro di civiltà proclamato dall’islamismo radicale che utilizza l’arma del terrorismo di massa, al quale voi fate riferimento, dal quale è necessario difendersi. C’è anche il progressivo trasferimento del più grande progetto d’ingegneria sociale che la storia dell’uomo abbia mai conosciuto in una dimensione antropologica. Ieri si pretendeva di costruire il paradiso egualitario. Oggi si vorrebbe che l’uomo possa determinare ogni momento della propria esistenza, dal concepimento fino alla morte. E, quel che è peggio, lo si vorrebbe codificare attraverso una serie interminabile di diritti che si autoalimenta. Lungo questa deriva, inevitabilmente, ad essere messa in forse è la libertà della persona che, come voi sapete, non può proprio rinunziare all’incertezza del futuro.

Queste novità epocali hanno modificato in profondità il rapporto tra Chiesa e politica, e ciò non poteva non avvenire. La circostanza che gli argomenti di più bruciante attualità politica stiano oggi investendo i capisaldi del magistero ecclesiastico ha contribuito a far saltare la “mediazione” che alla Chiesa italiana è stata a lungo assicurata dal partito unico dei cattolici. Oggi, mentre impazza il dibattito su bio-politica, eutanasia, “dico”, è più facile comprendere perché ciò sarebbe accaduto, con ogni probabilità, anche se la DC non fosse morta. Ma il fatto che la Chiesa parli il proprio linguaggio dal pulpito, anziché attraverso un suo braccio secolare, non dovrebbe dispiacere ai laici come me e come voi. Certo, questa novità pone il problema della rilevanza pubblica della religione e fa diventare cruciale il seguente interrogativo: è legittimo o meno che essa intervenga in questa sfera? Voi, mi sembra di comprendere da quanto scrivete, laicamente non ne dubitate.

A escludere l’eventualità, invece, sono i laici d’un temp che vorrebbero una nuova edizione della Chiesa del silenzio, trait d’union tra comunismo e secolarismo. Di fronte alla portata del loro attacco, sia sul piano culturale che su quello politico, non si può rimanere equidistanti. Quando la Chiesa ha ragione, bisogna correre il rischio di stare con la Chiesa in nome della libertà e della laicità. Ciò non significa altro che riconoscerne il diritto all’influenza sociale e, in cambio, riceverne la garanzia che la Chiesa non faccia politica in senso proprio, né direttamente né per interposto partito o schieramento.

Nessuno si è mai autodefinito “laico devoto” se non per il gusto tutto laico di sfidare la provocazione dell’avversario. E anche per questo, nessuno chiede abiure e tanto meno cambiali in bianco. Non è in discussione il passato e le libertà che sono state conquistate nei decenni dal Sessanta al Novanta. La mia apprensione è per il futuro e per il rischio inedito che sotto una patina di progressismo si nasconda una nuova versione della “presunzione fatale”. Anche per questo non bisogna aver paura di accettare la sfida che ci proviene da nuovi, ma in realtà già superati, anticlericali e contribuire a rinnovare l’idea di laicità alla luce delle novità epocali che la storia del mondo ci sta proponendo. Io non ho paura di risultare oggi irriconoscibile, perché i contorni di una nuova laicità si fanno ogni giorno che passa più chiari.

Le ragioni che anche voi condividete saranno rappresentate il 12 maggio in piazza San Giovanni da un piccolo manipolo di laici. Avremo così messo un altro seme e, quel giorno, non esisterà solo Piazza Navona a rappresentare le ragioni della nostra tradizione culturale. Restare a metà del guado serve solo a salvarsi la coscienza: quanto di più clericale si possa concepire. So bene che non è né il vostro abito (così come non lo è di tanti che indossano quello talare) e tanto meno la vostra abitudine. Per questo vi aspetto. Laicamente vostro, Gaetano Quagliariello