Contro il global warming non l’ideologia ma pragmatismo liberale (di M. Saccone)

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Contro il global warming non l’ideologia ma pragmatismo liberale (di M. Saccone)

Contro il global warming non l’ideologia ma pragmatismo liberale (di M. Saccone)

20 Luglio 2021

Solo qualche mese fa la Commissione Europea emise la prima obbligazione sociale europea denominata Sure e con coraggio, responsabilità e senso comune preparava il terreno per avviare il programma di finanziamento Next generation EU.

I tanto ostacolati euro-bond, con buona pace dei paesi così detti frugali, sono andati a ruba sui mercati anche perché rappresentano il mezzo più opportuno per amalgamare gli eterogenei interessi europei e preparare un destino comune. La condivisione di parti di sovranità, la conciliazione intorno alle principali tematiche comuni quali la fiscalità, la digital tax, la lotta al climate change e la difesa, è la strada maestra lungo la quale l’Europa può avviare un percorso di progresso economico-sociale e tornare a giocare una partita di rilievo a livello internazionale.

Perché ciò avvenga è necessario accompagnare questa politica monetaria di tipo sharing con obiettivi di sviluppo economico, progresso sociale e sostenibilità ambientale di lungo corso.

Il programma “Fit for 55”, annunciato la scorsa settimana dalla Presidente Von der Leyen, avrebbe dovuto delineare alcuni di questi traguardi in ambito di sostenibilità.

Purtroppo, come non di rado accade nel vecchio continente, il pragmatismo liberale che ha ispirato l’emissione del Sure è stato abbandonato per lasciare spazio all’ideologia. E il consueto bagaglio tecnocratico, l’esasperata potestà regolante, accompagnata dal proverbiale lessico vessatorio, si sono conquistati la scena. Dazi, divieti, imposizioni e regole hanno soppiantato indirizzi, obiettivi, incentivi, programmi comuni e semplificazioni. Non è un caso che la stampa europea e una parte significativa del mondo politico stiano prendendo le distanze da quanto annunciato dalla Presidente della Commissione.

L’Unione europea, anziché sostenere il settore automotive accelerando ricerca sviluppo e innovazione, intende bandire il motore a combustione a partire dal 2035, gettando nel cestino decenni di supremazia tecnologica e spalancando la porta al motore elettrico il cui know-how produttivo è di provenienza asiatica. Ma siamo sicuri che il motore elettrico risolva d’emblée il problema della transizione verde? Abbiamo tenuto in debita considerazione lo straordinario contributo economico e occupazionale dell’industria automotive e della meccanica? L’Unione Europea ha una strategia concreta per la produzione e la distribuzione di energia da fonti rinnovabili? Esiste un piano sostenibile di smaltimento delle batterie a fine vita?

Invece di sostenere i settori “hard to abate” con incentivi alla transizione energetica e con una efficace politica energetica pan-europea, la Presidente Von Der Leyen immagina un sistema di dazi ( Carbon Border Adjustment Mechanism) per tutte le imprese – anche europee! – che producono in paesi con legislazioni più permissive in termini di emissioni di Co2. A parte le evidenti difficoltà nel tracciare la filiera della Co2 associata ai prodotti, davvero riteniamo che i dazi, seppur di verde vestiti, siano lo strumento giusto per combattere il climate change? Oppure si rischia soltanto di dare voce ad un protezionismo diffuso travestito da ecologismo? Hanno analizzato, a Bruxelles, quanto interconnesse sono le imprese Europee con le filiere internazionali; quanto fertilizzante, elettricità, alluminio, cemento ed acciaio importano le fabbriche italiane, tedesche, francesi e olandesi? Hanno considerato gli effetti sui prezzi di una norma così restrittiva? Hanno considerato le possibili ripercussioni di Cina, Russia e USA, paesi dai quali dipendiamo pesantemente per gli approvvigionamenti?

La sostenibilità non è qui in discussione: gli effetti devastanti del Global Warming sono sotto gli occhi di tutti ed è scientificamente evidente che “è già troppo tardi”. Ma non si cambia con l’imposizione e con il divieto, si cambia con un progetto politico e sociale d’avanguardia, con l’innovazione, con il sostegno alle imprese e alla ricerca.

Invece di un’Europa vessatoria e richiusa in sé stessa avremmo bisogno di un’Europa protagonista, avanguardia della sostenibilità nel panorama internazionale, promotrice di luoghi politici – sul modello di Bretton Woods – dove si discutono e si implementano le regole comuni e le architetture giuridiche di riferimento per creare il sistema economico sostenibile che dobbiamo lasciare in eredità alle prossime generazioni.