Non solo Al Qaeda. Che accade nello Yemen?

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Non solo Al Qaeda. Che accade nello Yemen?

23 Gennaio 2010

Ottimo e abbondante materiale sullo Yemen a cura dell’American Enterprise Institute (AEI). Adesso, in quella che era l’Arabia felix dei romani, sono in corso ben tre conflitti contemporaneamente: la rivolta delle tribù sciite degli Houti al nord, i secessionisti al sud e le azioni di Al Qaeda che gode di forti appoggi e protezioni nel “Palazzo”. Mentre le prime due insorgenze sono di carattere politico locale, è il caso di sottolineare il carattere di minaccia globale rappresentato da Al Qaeda. Il consiglio è di iniziare a studiare la cartina del paese per riuscire a localizzare i luoghi degli scontri, ma il ‘pacchetto’ dell’AEI contiene anche la testimonianza di F. Kagan davanti al senato e l’analisi delle azioni contro Al Qaeda.

Altro caso esemplare, per la complessità dei problemi che comporta, è la Somalia, sull’orlo della scomparsa come entità sovrana minacciata dalla criminalità organizzata, dai signori della guerra locali e dalla pirateria. Tutti fattori che la rendono un’ottima base per l’insediamento di Al Qaeda. Ma quando si parla di stati falliti non si parla solo delle sfide alla sicurezza internazionale, ma anche del dramma della popolazione civile, milioni di persone minacciate da una crisi endemica. Quali sono allora gli impegni della comunità internazionale?

Uno studio sull’Eritrea mette in rilievo come la disgregazione del tessuto di relazioni sociali determini stati endemici di conflitto, un aspetto da tenere ben presente quando ci si impegna in guerre estenuanti e prolungate come quella in Afghanistan.

Passando alla Russia, i casi di corruzione quest’anno hanno avuto un incremento dell’11%. Interessante anche questa specificazione sulla natura della mafia russa secondo cui è vero che esiste il crimine organizzato, ma il termine italiano non è quello giusto per definirlo perché si riferisce ad un tipo di illegalità con rapporti stretti con la politica, mentre nel caso russo questi legami mancherebbero. A me sembra un’analisi un po’ povera, forse una caratteristica della mafia nostrana era/è anche il controllo del territorio e la funzione alternativa nell’amministrazione della giustizia, oltre ovviamente all’uso micidiale della violenza.

Le questioni cinesi – un po’ troppo trascurate dalle nostre osservazioni – sono presenti in questo numero con il bollettino sempre ben fatto della James Town Foundation. Particolarmente interessante questo articolo sulla politica di sicurezza dove si riferisce della mission dell’esercito cinese: “1) consolidare l’attuale status della Repubblica popolare, 2) difendere la sovranità, l’integrità territoriale e la sicurezza domestica per continuare lo sviluppo nazionale, 3) salvaguardare gli interessi nazionali in espansione, 4) aiutare a mantenere la pace nel mondo”.

Un’accusa pesantissima da parte di Israele ad Obama. Gli Stati Uniti starebbero venendo meno agli accordi con Gerusalemme a proposito degli impegni presi a sostegno delle forze armate. Tutto il vantaggio dell’esercito israeliano sui paesi arabi si basa su tre presupposti: 1) la quantità e qualità degli armamenti, 2) la tattica e l’addestramento dei soldati, 3) la qualità della leadership. Israele è indipendente solo per l’ultimo punto, per il resto è essenziale l’aiuto americano. Ora fino a che c’era la guerra fredda, tutto è andato bene ma al crollo del muro le cose sono cambiate, a causa anche delle alleanze americane con alcuni paesi arabi – Arabia, Egitto – a cui forniscono sistemi d’arma di ultimissima generazione (e, visto le risorse enormemente superiori di Ryad, in quantità ben più rilevanti di quelle date all’IDF)  e addestramento, tutti fattori di oggettiva tensione con Israele.

Ecco una rassegna stampa sul primo anno di presidenza di Obama che raccoglie le opinioni dei maggiori commentatori e analisti americani: Robert Kagan (World Affairs), Abe Greenwald , William Kristol and Fred Kagan, Eliot Cohen, Charles Krauthammer, Akbar Atri and Mariam Memarsadeghi (Wall Street Journal), Elliott Abrams (Weekly Standard) ecc. Molte sono le sfide alla politica di Obama uno dei problemi maggiori che proviene dal Medio Oriente è nella capacità di tenere assieme ben tre sfide allo stesso tempo, il processo di democratizzazione dell’area, la politica di sicurezza degli Stati Uniti e l’impegno alla salvaguardia dei principi di autodeterminazione dei popoli, obiettivi che spesso collidono tra loro. A questo proposito si veda questo documento dello United States Institute of Peace.

A cura del German Institute of Global and Area Studies è il working paper sull’Algeria e l’influenza dei fattori economici, leggi il petrolio, nella passata guerra civile. Salta agli occhi la differenza di impostazione dei centri studi europei da quelli americani, i primi sempre più interessati ai fattori sociali dei conflitti.

http://leonardotirabassi.blogspot.com