Non sorprendiamoci per il plebiscito in Crimea
17 Marzo 2014
di Mario Rimini
Ieri sulla Izvestia, il principale quotidiano russo, titolava: "Benvenuta a casa, Crimea". Ora, chi decide di ignorare per puro pregiudizio ideologico il significato profondo di questo titolo, sceglie di chiudere la porta in faccia a due secoli di storia. Perché il dato saliente qui non è che le Izvestia riflettono la linea politica del Cremlino. E’ piuttosto che la linea politica del Cremlino in questo caso combacia con la volontà e le aspirazioni di una stragrande maggioranza della popolazione della Federazione Russa, e della Crimea stessa.
Su quest’ultimo punto non sussiste più, da ieri, dubbio alcuno. Non è l’opinione di Obama o della Merkel a poter orientare il giudizio, ma il plebiscito che domenica ha palesato al mondo ciò che il mondo sapeva già benissimo – che l’Ucraina e la Crimea spartiscono soltanto una continuità geografica e l’atto despotico di un segretario generale del partito comunista sovietico.
Che all’Unione europea e agli Stati Uniti un’imposizione antistorica dell’ex arcinemico Nikita Khruscev stia più a cuore della volontà popolare espressa liberamente degli abitanti della Penisola del Mar Nero, tradisce una partigianeria ben poco lusinghiera. Tanto più in quanto basata su una aprioristica delegittimazione del referendum perché contrario "alla costituzione dell’Ucraina e alla legge internazionale". Really?
Quando una rivolta popolare armata ha deposto a Kiev il governo democraticamente eletto, l’Occidente non ha mostrato particolare devozione alla costituzione ucraina. Il pretesto della corruzione di Yanukovich non tiene – un leader corrotto può essere deposto con i meccanismi previsti dalla legge o con il voto, non con i forconi in piazza. Ma la rivoluzione ucraina consegnava il paese alla sfera euro-americana, e ciò bastava a legittimarla presso le cancellerie europee e Washington – alla faccia della costituzione.
Quanto alla legge internazionale, questa tutela l’autodeterminazione del popoli al di sopra di ogni legge nazionale o costituzione politica. Per non parlare del Kosovo, dove l’Unione Europea e l’America sono state disposte a difendere quel diritto a suon di bombe NATO.
La realtà e’ che il rifiuto ostinato e preconcetto dell’UE e degli USA di riconoscere agli abitanti della Crimea il diritto di secessione e’ privo di qualunque base morale o legale. Il referendum tenutosi in Crimea e’ stato un plebiscito. E non perché la Russia abbia militarmente occupato la Crimea. Le occupazioni militari nel senso denunciato da Washington e Bruxelles sono ben altra cosa. Vivono tra repressione e tumulti, deposizione di leader democraticamente eletti, soppressione di libertà e diritti.
Nulla di tutto ciò e’ accaduto in Crimea. La Russia non ha invaso e sospeso la costituzione della Crimea. Non ne ha arrestato e processato i leader. Questo e’, semmai, ciò che il premier ucraino dichiara di voler fare, con la benedizione di Obama.
Nessun incidente, nessun episodio violento si è registrato nel corso delle votazioni. Che i Tartari di Crimea abbiano deciso di boicottare il referendum risponde al pieno esercizio dei loro diritti democratici. Col 12% della popolazione, tuttavia, avrebbero contato ben poco, pure se avessero trascinato alle urne i loro neonati.
Ciò che non può sfuggire a qualunque osservatore imparziale e’ insomma che l’esito referendario rispecchia e legittima la posizione espressa dai rappresentanti politici della Crimea, dal Parlamento e dai suoi lawmakers. La risposta dell’UE con il rifiuto di riconoscere la consultazione popolare e la minaccia di imporre pesanti sanzioni alla Russia tradisce i pilastri stessi della sua missione – la diffusione del benessere e la protezione dei popoli.
Al di la’ della conveniente retorica sull’imperialismo putiniano, i ruoli qui appaiono tragicamente rovesciati – l’Occidente che invoca una concezione sovietica dell’integrità territoriale, e la Russia che riconosce l’espressione libera della volontà di un popolo di secedere e cambiare la rotta del proprio destino.
Certo, ognuno fa solo i propri interessi. La differenza e’ dalla parte di quali interessi stia oggi la storia. Perché di questo si tratta. Della storia che reclama il suo corso, e le sue ragioni. Alle Izvestia non è sfuggito. E ignorarla, la storia, per puro tornaconto geopolitico, e’ immorale e antidemocratico.
Troppo facile – e paradossale – fare la guerra a Putin, in nome di Khruscev.