Nucleare: cosa va e cosa no nel progetto del governo

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Nucleare: cosa va e cosa no nel progetto del governo

20 Gennaio 2010

Sulla questione nucleare il governo procede con la cautela dell’artificiere e il guizzo del palombaro. Un anno e mezzo fa veniva presentato il disegno di legge che apriva all’Italia l’opzione nucleare.

L’iter legislativo è stato più lungo e tribolato del previsto, principalmente per tre ragioni:

1) il braccio di ferro tra i dicasteri retti da Stefania Prestigiacomo e Claudio Scajola, vertente soprattutto sulla nuova Agenzia per la Sicurezza Nucleare, istituzione chiave per la regolamentazione e la vigilanza sul settore;

2) il calo di interesse dovuto all’andamento delle quotazioni degli idrocarburi: all’urgenza di diversificare le fonti di energia avvertita con il picco delle quotazioni del petrolio nell’estate 2008 era seguito un trend negativo dei prezzi del barile e dell’energia;

3) l’ingrossarsi del disegno di legge che ad ogni passaggio da un ramo all’altro del Parlamento estendeva i temi su cui il legislatore metteva mano.

Con l’approvazione definitiva a luglio scorso della legge 99/09, la maggioranza dettava le linee generali e i paletti entro cui l’esecutivo avrebbe compilato la disciplina di dettaglio per la localizzazione dei siti e per l’autorizzazione degli impianti nucleari.

In queste settimane il governo sta stringendo i tempi per l’esercizio della delega, il cui termine scade a metà febbraio: il 22 dicembre ha approvato lo schema di decreto legislativo, ora all’esame della conferenza unificata stato-regioni-enti locali e dalle commissioni parlamentari competenti.

Chi si aspetta di vedere la lista dei siti nucleari già compilata rimarrà deluso, dato che il procedimento che porterà alla localizzazione degli impianti sarà lungo e articolato, dovendo tener conto di molteplici criteri, tecnici ed economici, e far salvi i tanti interessi pubblici in gioco (in primis la tutela della sicurezza, della salute e dell’ambiente). Soprattutto, il processo sarà informato ai principi della più ampia concertazione anziché al decisionismo unilaterale. Inoltre, per rendere il meccanismo compatibile con un mercato liberalizzato, il governo (o, meglio, la costituenda Agenzia per la Sicurezza Nucleare) non individuerà un dato numero di siti, impegnandosi implicitamente in una sorta di pianificazione contabile degli impianti, ma definirà dei criteri ad excludendum: chiunque voglia realizzare una centrale, dovrà in primo luogo trovare un sito compatibile con tali criteri. Quindi, la scelta su numero e localizzazione degli impianti spetta, in ultima analisi, al mercato.

Un’articolazione (per alcuni aspetti oltremodo) lunga e complessa dell’iter decisionale risponde alle caratteristiche specifiche di questa tecnologia, ma vuole anche sortire l’effetto di superare quanto più possibile i fattori Nimby (not in my back yard): l’opposizione delle amministrazioni locali e la contrarietà dei cittadini residenti nelle aree prescelte, spesso portati ad associarsi in comitati per opporsi alla realizzazione delle grandi opere nel proprio territorio.

IL TERRENO SCIVOLOSO DELLA STRATEGIA NUCLEARE

Sotto il primo profilo, è nel corso dell’iter procedimentale volto all’individuazione dei siti nucleari e all’autorizzazione degli impianti che si ritrova la cifra dei momenti concertativi che dovrebbero favorire il consenso degli enti locali ai progetti del settore.

Il primo passo sarà rappresentato dall’elaborazione in primavera di un documento programmatico del governo che disegni la strategia nucleare del paese, dove saranno fissati gli obiettivi della politica nucleare e analizzati i relativi benefici per i consumatori, la sicurezza degli approvvigionamenti e ai fini della riduzione delle emissioni di CO2. Quest’ultimo target rappresenta una frontiera che ci vede impegnati dinanzi all’Unione europea in un difficile tentativo di superare la dipendenza dai combustibili fossili nella produzione di energia elettrica; sfida cui solo l’emancipazione dai reciproci preconcetti e uno sforzo congiunto sul lato delle fonti rinnovabili e della liberalizzazione della produzione di energia nucleare può dare un significativo contributo. Riduzione delle emissioni inquinanti, minor dipendenza dai paesi esportatori di gas e petrolio, diversificazione delle fonti e possibilità per produttori e consumatori di scegliere e fruire delle tecnologie più efficienti ed economiche sono in sintesi i vantaggi cui dà accesso la riapertura del capitolo nucleare e che la Strategia nucleare dovrà trattare nel dettaglio.

Il programma sarà sottoposto al procedimento di valutazione ambientale strategica, conformemente a quanto previsto dalla normativa comunitaria e italiana in materia. Lo svolgimento della Vas, la cui disciplina potrebbe subire modificazioni con la riforma in corso del cosiddetto Codice ambiente (d.lgs. 152/06, modificato dal d.lgs. 4/08), consentirà a tutti gli enti e i soggetti interessati la presentazione di proprie osservazioni e al Ministero dell’ambiente, avvalendosi della Commissione tecnica a ciò preposta, di valutare l’impatto ambientale del programma nucleare ed eventualmente subordinare l’approvazione del documento all’accettazione di alcune correzioni.

Se la strategia nucleare ne rappresenta l’asse politico-amministrativo, il primo quadro cartesiano, utile alla localizzazione dei siti nucleari, sarà completato dalla predisposizione da parte della costituenda Agenzia per la Sicurezza Nucleare, con l’aiuto dei maggiori enti pubblici di ricerca (Ispro e Enea) dei parametri (tecnici, ambientali, paesaggistici) che consentano l’individuazione delle aree idonee ad ospitare le centrali. Anche sullo schema di parametri, nonostante la natura tecnica della discrezionalità esercitata dall’agenzia, si prevede comunque la possibilità per Regioni e enti locali di intervenire con osservazioni e proprie proposte prima che i ministeri competenti adottino il testo definitivo, prevedibilmente il prossimo autunno.

Come già accennato in precedenza, la fase di individuazione delle aree idonee non restringe la sfera di autonomia dei soggetti privati nello stabilire il numero e la precisa localizzazione degli impianti. È stata, infatti, scartata la soluzione che vedeva governo e Agenzia intitolati del potere autoritativo di stabilire dove e quanti impianti debbano essere costruiti attraverso una procedura di aggiudicazione pubblica. La scelta operata va, invece, nella direzione opposta, tale da consentire al settore della produzione di energia da fonte nucleare di adeguarsi alle esigenze della domanda e del mercato, di giustificare, cioè, gli investimenti in base al merito economico e non a scelte unilaterali dettate dai poteri pubblici.

Rimangono alcuni nodi da sciogliere: il procedimento VAS, cui la Strategia nucleare sarà sottoposta, può durare, se i termini di legge sono rispettati, circa 8 mesi. Le successive fasi che vedono i produttori impegnati a proporre propri programmi nucleari conformi alla strategia nazionale e l’Agenzia lavorare sui criteri per l’individuazione delle aree idonee a ospitare centrali nucleari hanno come quadro e termine di riferimento un documento che viene adottato prima della sua sottoposizione a VAS (cosa per altro di opinabile legittimità) e che pertanto potrà essere oggetto di successiva revisione. Probabilmente il lavoro che svolgerà l’Agenzia può in larga parte prescindere dall’esatta definizione degli obiettivi fissati con la strategia del governo in materia nucleare; sarebbe pertanto preferibile fissare il termine a quo per la predisposizione dei parametri tecnici di individuazione delle aree idonee alla data di entrata in vigore della legge.

Quanto al raccordo tra programmazione pubblica e privata, va osservato che se per gli interventi di sviluppo ed adeguamento della rete elettrica è senz’altro necessario il concerto con i gestori della rete, per una realistica prospettazione di benefici e target della politica nucleare è indispensabile sondare le intenzioni degli operatori. Tuttavia, desta qualche perplessità e preoccupazione l’equiparazione di piani di investimento privati sic et simpliciter ad atti amministrativi obbligatori, vincolati, attuativi dell’indirizzo politico del governo e soggetti alle norme di diritto pubblico sull’accesso agli atti della pubblica amministrazione. Sarebbe utile correggere e in un certo modo ribaltare le norme che regolano la partecipazione degli operatori sin dalla stesura della Strategia nucleare e far sì che, se è compito delle autorità fissare i paletti a garanzia dei più sensibili interessi pubblici (sicurezza, ambiente, salute), è l’iniziativa privata a determinare con maggior vigore le linee di sviluppo di un settore e le autorità pubbliche ad adeguare e armonizzare la politica di governo in modo coerente. In concreto, anziché imporre ai privati operatori la predisposizione di programmi di investimento attuativi di un piano governativo, sarebbe meglio far correre su due binari paralleli e comunicanti una programmazione pubblica definita da strumenti di soft law capaci di adeguarsi agli orientamenti dell’offerta e la programmazione economica dei soggetti privati, intitolati del diritto a partecipare alla formulazione della Strategia nucleare presentando osservazioni e sottoponendo liberamente i propri piani di crescita e investimento all’esame delle autorità.

Un’altra possibile correzione può incidere nel senso di una riduzione dei termini per lo svolgimento della valutazione ambientale strategica, anche alla luce del fatto che l’istruttoria sarà seguita da un’amministrazione, il Ministero dell’ambiente, che già avrà fatto valere gli interessi a esso preposti in sede di prima elaborazione della Strategia del governo in materia nucleare.

È importante che la Strategia non si converta in uno strumento di pianificazione invasivo della sfera di autonomia privata. Se è utile un’analisi degli obiettivi perseguibili e degli effetti connessi alla liberalizzazione della produzione di energia nucleare, lo è meno inserire elementi di rigidità e sostituirsi al mercato slegando la scelta in favore del nucleare da una valutazione di tipo economico.

I DUE PROCEDIMENTI UNICI E LA CONCERTAZIONE A PIU’ RIPRESE

Sebbene la legge delega parlasse di procedimento unico, lo schema di decreto legislativo descrive un’articolazione dell’iter autorizzativo in due procedimenti ben distinti: la certificazione dei siti e l’autorizzazione dell’impianto vera e propria. L’istanza di certificazione dei siti è presentabile entro 90 giorni dalla pubblicazione della Strategia nucleare adottata in via definitiva e su di essa il Ministro dello sviluppo economico è tenuto ad esprimersi entro un termine che può oscillare dai 6 ai 10 mesi. Solo a seguito della certificazione possono essere presentate le istanze di autorizzazione di costruzione degli impianti, il cui esito può attendere oltre 14 mesi.

Con la presentazione delle richieste di certificazione per le singole centrali si apre una nuova sede concertativa si apre. La decisione di individuazione dei siti, infatti, è subordinata alla stipula di un’intesa tra il Ministero dello sviluppo economico e la regione interessata, che, in caso di inerzia o opposizione, può essere raggiunta in seno ad un comitato interistituzionale all’uopo costituito o, nel caso non si pervenga ad un accordo nemmeno in tale circostanza, in sede di consiglio dei ministri, in composizione integrata dal Presidente della regione interessata. La lista riepilogativa dei siti proposti dagli operatori e certificati dall’Agenzia è poi sottoposta al parere della Conferenza unificata, così da coinvolgere nuovamente nel procedimento l’insieme degli enti locali.

Nell’ipotesi in cui siano rispettati i termini legali previsti, è prevedibile che i decreti di certificazione e di dichiarazione di interesse strategico dei siti nucleari non siano pubblicati quindi prima della fine del 2011.

Come dicevamo, la certificazione dei siti rappresenta solo una piccola parte del puzzle, da completarsi con l’autorizzazione dell’impianto vero e proprio. L’istanza per l’autorizzazione della centrale nucleare è sottoposta al Ministero dello sviluppo economico ed al Ministero dell’ambiente per il rilascio della Autorizzazione integrata ambientale e la Valutazione di impatto ambientale; procedimento, quest’ultimo che, ai sensi della legge, dura dai 6 agli 8 mesi. In genere la lettera della legge è stata disattesa e se è vero che il ministro dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare, Stefania Prestigiacomo, è riuscita ad accelerare le istruttorie, non possiamo trascurare che spesso un decreto VIA ha atteso svariati anni prima di essere firmato.

Va quindi interpretato come orientativo il termine di un anno fissato dal legislatore per il compimento dell’istruttoria tecnica da parte dell’agenzia, cui segue, nuovamente, il momento concertativo con le regioni e gli enti locali interessati, finalizzato al rilascio dell’autorizzazione conclusiva.

L’opposizione delle regioni può comportare un’ulteriore dilazione dei tempi, ma è superabile nelle modalità già previste per la certificazione dei siti, con la costituzione di un comitato interistituzionale ad hoc o, nel caso non si trovi una soluzione neppure in questa sede, dal Consiglio dei ministri integrato con il Presidente della regione interessata.

Sommando i tempi concessi alle amministrazioni per svolgere gli adempimenti necessari, si può ipotizzare che i primi decreti autorizzativi non saranno emanati prima della primavera 2013, anno in cui sono previste, salvo scioglimento anticipato delle camere, le elezioni per la XVII legislatura.

Per l’attuale governo l’opzione nucleare si prospetta quindi un investimento che impegna l’intero suo mandato e sembra destinata a cadere la promessa di veder posato il primo mattone entro la fine legislatura.

La composizione degli interessi rappresentati dai ministeri dello sviluppo economico e dell’ambiente ha occupato gli ultimi mesi di lavori; ancora attende, tra l’altro, che sia riempita la casella relativa all’istituenda Agenzia per la Sicurezza Nucleare, chiave di volta dell’assetto istituzione su cui si regge il progetto.

Il quadro legale ora disegnato, che attende l’esame delle commissioni parlamentari e della conferenza unificata, sembra concedere tempo e prestare particolare attenzione all’esigenza di comporre gli interessi del territorio e coinvolgere i diversi livelli di governo. È prevedibile che commissioni ed enti locali propongano, nelle prossime settimane, aggiustamenti volti rispettivamente a rafforzare il controllo esercitatile dal Parlamento sull’attuazione delle norme previste e ad aumentare il potere decisionale e di veto di Regioni ed enti locali.

Soprattutto, è prevedibile un’alzata di scudi contro il potere quasi-sostitutivo del governo in caso di mancata intesa regionale e di fallimento del tentativo di mediazione compiuto dal comitato interistituzionale costituitosi ad hoc.

Nel recepire eventuali osservazioni, il governo dovrà prestar riguardo a un equilibrio che inevitabilmente si presenta in tutta la sua precarietà. Se da un lato la dilazione dei termini può rivelarsi tempo ben speso, portando la concertazione con gli enti locali a soluzioni condivise, dall’altro ci si espone ad un rischio politico. Infatti, la ripetizione dei momenti di confronto in tempi molto lunghi aumenta la probabilità che l’interlocutore cambi casacca di frequente ribaltando la posizione assunta precedentemente e spiazzando l’operatore privato. In poche parole: se una regione rilascia l’intesa ai fini della localizzazione di un impianto, non è detto che dopo un anno o due, trovandosi insediata una maggioranza di diverso colore, il governo della medesima regione assuma una posizione coerente con l’atto di assenso precedentemente concesso. Capita talvolta che anche un semplice rimpasto, la sostituzione di un assessore, provochi un cambiamento nell’approccio dell’amministrazione; a maggior ragione ciò può accadere con l’affermazione di una nuova maggioranza politica.

Meglio, in tal caso, riunificare i procedimenti di localizzazione dei siti e di autorizzazione degli impianti, dimezzando in tal modo i tempi di conclusione del procedimento. In compenso, può essere utile acquisire il parere della conferenza unificata sulla soluzione adottata dal Consiglio dei ministri integrato dal presidente della regione interessata all’impasse cui si inciampa in caso di mancata definizione dell’intesa regionale.

Se l’unificazione dei procedimenti di certificazione dei siti e di autorizzazione degli impianti farebbe risparmiare dai 6 ai 10 mesi, fissando l’entrata in vigore del decreto legislativo come termine a quo per la definizione dei parametri di individuazione delle aree idonee e l’adozione di questi ultimi come data a partire dalla quale è ammessa la presentazione delle istanze di autorizzazione, si otterrebbe un anticipo sui tempi di ulteriori 8 mesi.

INFORMAZIONE E COMPENSAZIONI

Il secondo pilastro su cui si regge un quadro legislativo volto a prevenire il fenomeno Nimby ha come destinatari diretti anche i cittadini interessati e interviene principalmente con la costruzione e l’esercizio degli impianti. Gli strumenti congegnati sono due: da un lato, l’elargizione di benefici economici concessi ad enti locali e soggetti residenti nelle aree ospitanti gli impianti nucleari; dall’altro, l’offerta costante di informazioni alla cittadinanza sull’attività svolta negli impianti nucleari.

Il legislatore, già con la legge 99/09, primo mattone dell’edificio regolatorio che si sta innalzando in materia di energia nucleare, ha previsto l’imputazione dei benefici concessi in compensazione direttamente a persone e imprese residenti, oltre che agli enti locali. Il disegno originario andava ancora oltre, concentrando i benefici sulle sole persone residenti e imprese operative nelle aree interessate.

La ratio va individuata nel fatto che sono in primo luogo i residenti e i proprietari di beni immobili in prossimità dell’impianto a subire un pregiudizio dalla realizzazione degli impianti. Il rischio per la salute e la sicurezza dei cittadini è ridotto a livelli accettabili dall’applicazione delle nuove regole e tecniche in materia. La vera natura del pregiudizio è di tipo economico ed è riconducibile al possibile deprezzamento che i beni immobili subiscono per effetto della percezione del rischio (diversa, con ogni probabilità, dal rischio reale).

Il decreto legislativo prevede un beneficio economico omnicomprensivo da corrispondere durante la costruzione dell’impianto, commisurato alla potenza elettrica nominale dello stesso e pari a 3.000 euro per MW sino a 1.600 MW, maggiorata del 20% per potenze superiori. Con l’entrata in esercizio dell’impianto, una seconda forma compensativa prevede la corresponsione per ciascun trimestre di esercizio, di un beneficio pari a 0,4 euro per MWh, erogabile in bolletta.

Le compensazioni sono quindi raddoppiate rispetto a quanto previsto per le centrali tradizionali e destinate per il 60% a persone residenti e imprese operanti nel territorio circostante. Le modalità precise di erogazione del primo tipo di beneficio (lump sum in coincidenza con la costruzione dell’impianto) non sono ancora state definite, ma si parla di crediti di imposta a valere sulla Tarsu, ovvero sulle addizionali Irpef, Ires e sull’Ici. Ogni ipotesi percorribile presenta alcune difficoltà procedurali, a partire dai profili antitrust per i benefici alle imprese. Comune a tutte le possibili modalità, la necessità di corrispondere le somme anche a chi è tenuto a versare un’imposta inferiore al beneficio che gli spetta. Per garantire l’effettiva fruizione di entrambi le tipologie di beneficio, il metodo più sicuro potrebbe essere il pagamento diretto delle somme agli aventi diritto, che però non sembra un’ipotesi contemplata nello schema di decreto legislativo.

Il secondo set di strumenti volti a prevenire il fenomeno Nimby mira a garantire trasparenza nelle attività nucleari e a porre le popolazioni interessate nella possibilità di verificare il rispetto dei dovuti standard di sicurezza e di impatto ambientale e consegnare all’opinione pubblica la dimensione reale dei rischi per la salute e la sicurezza.

Si è visto sopra come il gap tra rischio percepito e rischio reale sia alla base del pregiudizio recato ai proprietari insediati nelle vicinanze di una centrale nucleare. Ridurre il gap significa anche ridimensionare il danno economico.

Su scala nazionale si prevede la promozione di una Campagna di informazione nazionale in materia di produzione di energia elettrica da fonte nucleare.

In ogni regione che ospiterà un impianto nucleare sarà istituito un comitato di confronto e trasparenza che dovrà garantire alla popolazione l’informazione, il monitoraggio e il confronto pubblico sulle attività relative all’iter autorizzativo, alla costruzione e all’esercizio dell’impianto, e che sia intitolato del potere di richiedere informazioni agli operatori.

L’attivazione coordinata di questi due tipi di strumenti consentono di riconoscere, almeno in parte al privato cittadino il suo ruolo e le sue responsabilità. Una maggior consapevolezza degli effetti e dei rischi connessi alle attività svolte in un impianto nucleare, unita all’imputazione diretta delle compensazioni, potrebbe incidere anche sul rapporto tra questi e le amministrazioni locali. Ad oggi questo rapporto è schiacciato sull’opacità che avvolge i processi decisionali relativi alla costruzione e all’esercizio di altri tipi di impianti inquinanti: gli enti locali devono solitamente soppesare i benefici rappresentati dalle compensazioni con il costo politico di accettare la costruzione dell’impianto sul proprio territorio, mentre i cittadini sono esclusi dall’erogazione dei benefici e godono di scarsi strumenti di informazione sulle attività esercite.

Sotto questo profilo, quindi, il quadro normativo in via definizione potrebbe costituire un modello su cui puntare in futuro.

FINE VITA: MONOPOLIO PUBBLICO?

Meritano una nota a margine le disposizioni in tema di disattivazione degli impianti a fine vita, attività riservata in regime di esclusiva a Sogin SpA, società a capitale interamente pubblico costituita nel 1999 per la gestione degli impianti nucleari dell’Enel e curarne lo smantellamento.

La norma è di dubbia legittimità se raffrontata alla direttiva comunitaria 2009/71/Euratom e alla Convenzione sulla sicurezza nucleare del 1994, laddove si imputa la responsabilità primaria per la sicurezza degli impianti nucleari in capo ai titolari delle licenze, quindi agli esercenti, vietandone la delegabilità. Stride poi con la previsione all’articolo 5 del medesimo schema di decreto legislativo dove si annovera tra i requisiti soggettivi degli operatori che intendano esercire un impianto nucleare la capacità di garantire il pieno controllo delle attività di disattivazione degli impianti.

Manca poi chiarezza sulle modalità di determinazione dei costi di disattivazione e del finanziamento delle connesse attività. Sul primo punto si fa pieno affidamento alla Sogin, che “effettua una valutazione dei costi di disattivazione”, decidendo quindi sui propri ricavi. Il finanziamento del decommissioning è poi assicurato dall’istituzione di un fondo ad hoc alimentato dagli operatori. Pare però garantita l’imputazione in toto dei costi di disattivazione di ciascun impianto esclusivamente al titolare esercente, in virtù della disposizione secondo cui questi è chiamato comunque a integrare a posteriori la differenza tra la valutazione dei costi operata da Sogin e i costi effettivamente sostenuti.

La disciplina si espone a critiche in quanto sono devoluti in regime di esclusiva ad una distinta società per azioni lo svolgimento delle attività di decommissioning e la determinazione stessa dei propri ricavi connessi. Eventuali inefficienze, che la norma non incentiva a evitare, sono a carico degli operatori, del tutto impotenti e con scarsa capacità di controllo sulla correttezza e l’efficienza delle attività poste in essere da Sogin.

Sul punto, la legge delega prevedeva solo la costituzione di un fondo di decommissioning, che ben poteva servire alla limitata funzione di garanzia contro un’eventuale default dell’esercente al momento della chiusura dell’impianto. La scelta operata dal Governo non è quindi incontrovertibile, ben potendo tornare sui propri passi e riconoscere agli esercenti la responsabilità anche in tema di disattivazione degli impianti e costituire un fondo di garanzia per assicurare comunque i mezzi di finanziamento delle attività di decommissioning in caso di sopravvenuta incapacità a provvedervi da parte dell’operatore.

CONCLUSIONI

Non bisogna perdere di vista la funzione principe del legislatore ed il rapporto tra pubblico e privato: occorre che i poteri pubblici predispongano gli strumenti regolamentativi affinché il ricorso alla fonte nucleare sia coerente con il rispetto ed il perseguimento degli interessi pubblici rilevanti quali l’ambiente, la salute e la sicurezza. Spetta al mercato, invece, a valutare se, quando e in che misura investire nel nucleare sarà conveniente per i consumatori e per rispondere alle esigenze della domanda. Pertanto è auspicabile che il parlamento solleciti il governo a:

Ribaltare le regole del dialogo tra poteri pubblici e operatori privati nella definizione delle linee strategiche. Il testo trasmesso al parlamento prevede che l’esecutivo definisca una strategia nucleare alla quale le imprese sono tenute a dare attuazione con propri programmi equiparati per molti aspetti ad atti della pubblica amministrazione. Occorre, invece, chiarire la natura di soft law della strategia nucleare, garantire la partecipazione degli operatori alla sua definizione e liberare i successivi passi della politica nucleare (definizione dei parametri per l’individuazione dei siti e presentazione delle istanze di autorizzazione) dall’adozione definitiva della strategia nucleare.

Unificare (davvero) il procedimento. Attualmente è previsto un procedimento di certificazione dei siti, su iniziativa degli operatori, distinto dal procedimento autorizzativo degli impianti. Accorpando i due procedimenti si avrebbe non solo una semplificazione ed una significativa riduzione dei tempi (probabilmente di oltre 14 mesi), ma si garantirebbe in modo più efficace la certezza del diritto e il principio di legittimo affidamento; concentrando il momento della concertazione con regioni ed enti locali in alcuni momenti salienti del processo decisionale, infatti, si conterrebbe il rischio di veder sconfessata da una nuova maggioranza politica un’intesa conseguita con l’amministrazione regionale uscente.

Affidare le attività di smantellamento degli impianti a fine vita agli esercenti. Lo schema di decreto contraddice l’orientamento del legislatore comunitario, conferendo ad un unico soggetto un diritto di esclusiva sull’espletamento delle medesime attività, per altro in un regime di fissazione dei costi che sfugge ad ogni controllo e che espone gli operatori all’impossibilità di poter verificare la giustezza delle richieste economiche loro avanzate. È opportuno, invece, che siano gli operatori a provvedere al decommissioning e che il relativo fondo sia istituito per garantire le risorse in caso di default dell’operatore.

Durante l’iter di approvazione della legge delega è stato respinto, seppur con qualche incertezza, un emendamento che avrebbe affidato agli investimenti pubblici il compito di dare impulso al settore nucleare. Il testo approvato in via preliminare dal consiglio dei ministri mette da parte anche le soluzioni più dirigistiche che avrebbero affidato al governo il compito di definire il numero e la localizzazione degli impianti. Tuttavia, solo con il recepimento delle tre proposte sopra esposte, su spinta del parlamento o per decisione autonoma del governo, si avrebbe garantito in modo pieno un approccio equilibrato, flessibile e aperto al mercato che desse ai poteri pubblici il compito di regolare il settore e governare una politica energetica lasciando al contempo al mercato e all’autonomia privata la possibilità di esprimersi e di definire le scelte economiche di fondo in risposta alle esigenze della domanda.