Nucleare, ora si ripensino le competenze tra Stato e Regioni

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Nucleare, ora si ripensino le competenze tra Stato e Regioni

15 Novembre 2010

Le tre contro-leggi delle regioni Campania, Puglia e Basilicata che vietavano la costruzione di impianti nucleari nei propri territori sono stati investiti dal giudizio di costituzionalità. In attesa di conoscere le motivazioni, la notizia non sorprende. La produzione di energia, ai sensi dell’articolo 117 della Costituzione, è una materia a competenza concorrente tra Stato e Regioni, per cui il primo stabilisce i principi e le norme quadro, le seconde emanano le disposizioni di dettaglio. La scelta delle fonti utilizzabili per la generazione di energia elettrica difficilmente non può dirsi una norma di principio. Così come l’articolo 1 del decreto legislativo 79/99, che dichiara la produzione di energia elettrica un’attività libera, si erge a principio generale che non può trovare una così vasta limitazione da precludere lo svolgimento della medesima attività mediante il ricorso ad una fonte ammessa dalla legge statale.

Per il giudice costituzionale, ad una legge statale non si può opporre una legge regionale di contenuto contrario. Lo strumento ammesso per contrastare una normativa statale è impugnarla davanti alla corte per verificarne la legittimità costituzionale. Ma la consulta ha già respinto l’estate scorsa i ricorsi presentati contro le norme statali che prevedono il ritorno del nucleare in Italia. Dopo aver superato con successo il primo ostacolo, va a buon fine anche il contrattacco del Governo che falcia i paletti alzati dalle regioni mediante il ricorso a proprie disposizioni di legge.

La coerenza tra i due piani di normazione è un’imprescindibile esigenza di unitarietà che garantisce la certezza e lo stato di diritto. La Corte costituzionale non poteva che emanare una sentenza di incostituzionalità.

Rimane il fatto che tre regioni, tutte e tre amministrate da maggioranze di centrosinistra al momento della presentazione del ricorso, sono giunte al punto di approvare norme in palese contraddizione con la legge statale per esprimere una preconcetta contrarietà al nucleare.

Il dato è preoccupante se si guarda nella prospettiva dell’attuazione del programma di riavvio delle attività di produzione di energia da fonte nucleare. In base al dettato costituzionale, alla giurisprudenza e al decreto nucleare che ad essa si è conformato, l’autorizzazione di impianti di produzione di energia deve essere rilasciata previa intesa “forte” (quindi vincolante) delle regioni. La Corte costituzionale ha più volte affermato che lo Stato può avocare a sé le attribuzioni amministrative utili a realizzare infrastrutture, specie nel settore elettrico, di rilievo nazionale, ma a condizione che le regioni interessate siano chiamate a concordare le decisioni assunte in proposito.

Significa che le medesime amministrazioni che hanno violato la costituzione per impedire in assoluto e in via generale la localizzazione di centrali nel proprio territorio sono chiamate a esprimere il proprio assenso o la propria contrarietà ai singoli progetti che gli operatori presenteranno per proporre la costruzione di impianti.

Al lungo contenzioso che ha visto impegnata la consulta in questi mesi seguirà quindi con ogni probabilità un logorante braccio di ferro tra governo centrale e regioni per la condivisione dei provvedimenti di attuazione del decreto nucleare e il rilascio delle singole autorizzazioni per la realizzazione degli impianti.

La litigiosità che caratterizza le dinamiche del settore suggerisce un ripensamento della ripartizione delle competenze in materia di energia tra stato e regioni. La competenza concorrente nel settore si è dimostrata in questi anni un campo di battaglia tra governo centrale e regioni, con queste ultime propense nella più parte dei casi a esercitare un potere di veto alla realizzazione delle grandi opere e il primo pronto a cercare ogni scorciatoia, al limite del consentito, per superare l’impasse determinato dall’opposizione delle regioni.