Nuovi media e democrazia. Oggi la politica si fa in rete

Banner Occidentale
Banner Occidentale
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Nuovi media e democrazia. Oggi la politica si fa in rete

03 Agosto 2008

Libro serio e utile, questo di Carlo Formenti. Il tema si potrebbe sintetizzare in una domanda: quali sono gli effetti sociali e politici dei nuovi media? I nuovi media, ovviamente, sono quelli elettronici, dei quali il computer è esempio e sommo rappresentante. Enunciato in questi termini, il tema del volume non appare né particolarmente accattivante né punto di partenza per riflessioni di portata generale, ma casomai oggetto di interesse per una particolare nicchia di lettori: quelli appassionati di informatica, Internet, cyberspazio. Invece, leggendo Cybersoviet scopriamo che molte, differenziate, di un certo rilievo, sono le riflessioni a cui la realtà dei nuovi media ha dato luogo negli ultimissimi anni. Formenti le legge in modo molto efficace per poi, alla fine, proporre la sua: aveva già iniziato a occuparsi di questo argomento in Incantati dalla rete (2000) e aveva proseguito con Mercanti di futuro (2002). Quello attuale è dunque, in un certo senso, l’atto conclusivo di una trilogia. 

Ciò che viene esplorato in questo volume e in tutte le opere a cui l’autore si applica è un tema che fa parte ormai di un vero e proprio genere. I  nuovi media, infatti, hanno dato luogo a un modo di comunicare molto diverso rispetto a quello reso possibile dai mezzi di comunicazione precedenti: si sono creati comportamenti, rapporti, idee nuovi rispetto al passato proprio grazie alla loro esistenza. E’ sorto un settore di produttori e operatori che ruota attorno a questi nuovi strumenti: l’attenzione degli studiosi però non si incentra su questi lavoratori e su questa fascia produttiva. Gli esperti di comunicazione si occupano piuttosto di coloro che utilizzano la rete: del loro stile di scrittura, di pensiero, di consultazione dei dati, di messa in contatto con gli altri. Si tratta della parte cognitiva e comunicativa del mutamento in atto. 

Ma c’è un’altro aspetto della trasformazione indotta dall’informatica: un aspetto che può essere definito sociale, politico, ideologico. E’ certo che il cyberspazio, anche se non esiste al modo di una piazza cittadina, ha la sua realtà indubitabile: esattamente come la piazza di una città, si tratta di uno spazio pubblico. E’ pubblico per più versi: perché vi si svolge l’incontro e il confronto di un insieme di persone e perché è una realtà importante dal punto di vista economico e degli interessi che vi ruotano attorno. Il mondo della rete ha così attratto l’attenzione di una serie di studiosi di comunicazione, ma anche di un certo numero di scrittori politici. Se un tempo (un tempo molto recente e non ancora terminato) la politica si faceva con uomini e donne in carne e ossa, con le istituzioni, con i rapporti di lavoro, con le classi, con le ideologie, ora si fa nel cyberspazio: con i soggetti, il lavoro, i rapporti, le comunità a cui esso ha dato luogo. Il cyberspazio è divenuto una seconda ma importantissima realtà, il punto di partenza per analizzare il modo in cui è composta la società attuale, per analizzarne conflitti ed evoluzione, per applicare le proprie opzioni ideologiche ai nuovi problemi, in una parola per fare politica. 

I temi affrontati dalla politica della rete sono numerosi. Il cyberspazio ha bisogno di regole oppure si regola da solo? Se è necessario che vengano date delle regole, queste debbono provenire dal mercato, dalle multinazionali dell’informatica, o dagli utenti? E gli utenti, a loro volta, come devono essere interpretati? Come il nuovo proletariato che si contrappone a nuovi padroni, come un insieme di individui che scelgono in autonomia ciò che vogliono fare, come una inedita classe sociale, oppure come la polverizzazione delle vecchie classi? E ancora: il cyberspazio e le nuove modalità di comunicazione che sono sorte hanno sollecitato una riflessione sulla forma politica che tale spazio può avere, potrebbe avere, avrà: la democrazia partecipativa, un liberalismo di stampo classico, un liberismo senza Stato, il Welfare State, la socialdemocrazia, un totalitarismo inedito, il socialismo. Si riconosceranno in questo elenco speranze e paure che partono dalla rete: la paura di un controllo invisibile, le ipotesi di regolamentazione dello spazio che si è creato e dei servizi disponibili, la speranza della rivoluzione. 

Al mondo immateriale ma dalla realtà molto solida del cyberspazio si applicano immaginazioni politiche, utopie, disegni di mutamento sociale. Tanto più che il sociale “vero” appare sempre più inafferrabile: il postfordismo sbriciola la fabbrica, rende il lavoratore flessibile, spezza la classe operaia in una miriade di mansioni e specializzazioni; alla compattezza delle classi si sostituisce un puzzle che è non è facile ricomporre; il socialismo ottocentesco non ha più la sua realizzazione, buona o cattiva che fosse. La tentazione di proiettare sulla rete le proprie convinzioni, e di farle interagire con i nuovi protagonisti sociali, è del tutto comprensibile. Formenti ne rende conto appuntando la sua attenzione su quegli autori che si interrogano sulla rivoluzione al giorno d’oggi e che vedono nei nuovi media una parte essenziale di essa. Dopo il 1989 e in concomitanza con lo sviluppo dei mezzi di comunicazione di nuovo tipo, un certo numero di autori ha visto nel cyberspazio e nei rapporti generati dalla rete il luogo e i protagonisti del mutamento auspicato. Molti degli esempi di riflessione analizzati nel volume appaiono infatti preoccupati di trovare chi sono i soggetti sociali che hanno preso il posto della classe operaia e di che tipo sarà la trasformazione sociale alla quale daranno luogo. 

Il cyberspazio e i suoi rapporti rappresentano una realtà inesplorata, nuova, sconosciuta: se la società in carne e ossa è stata affiancata da questo mondo impalpabile, è a questo che si dedicheranno l’attenzione degli studiosi e le cure dei riformatori. Così, scorrono sotto i nostri occhi gli studi di De Kerkchove (allievo di Marshall MacLuhan), le analisi di Mac Kenzie, le teorie di Appadurai, di Goffmann, di Giddens, di Beck, dell’operaismo e delle sue trasformazioni. Formenti intitola il suo volume Cybersoviet non come una metafora: accompagna infatti  le vicende  della rete con la storia della rivoluzione russa dai Soviet a Stalin, e utilizza il socialismo dei Soviet come esempio e monito per quello del cyberspazio. 

E’ difficile sottrarsi a due impressioni che la lettura di questo testo suscita: da un lato il riconoscimento della serietà e del peso  dei temi trattati, dall’altro la ripetizione di strade già battute, la ripresa di un vocabolario forse improponibile, l’applicazione alla rete di un patrimonio di progetti politici molto connotati. Se è del tutto legittimo ipotizzare un socialismo in rete, l’enfasi posta sulla rivoluzione non sembra preannunciare niente di buono: e infatti alcune delle riflessioni sui nuovi soggetti presenti in rete e resi possibili dalla rete appaiono astratte ed estreme, il frutto di una immaginazione sociale e politica cupamente pessimista che vede nella realtà gli effetti perversi della postdemocrazia e dello svuotamento della partecipazione, della frammentazione sociale e del distacco dalla politica, e che – quasi per consolarsi – si rifugia nella rete. Qui divide il mondo in due classi (capitalisti e proletari) identificandoli con l’imprenditoria legata a Internet da una parte e gli utenti dall’altra, e usa schemi vecchi di rapporti sociali, conflitti e ideologie per immaginare la rivoluzione via internet. 

Le posizioni prese in esame non sono omogenee: Castells e Benkler ad esempio negano la possibilità di dare una identità di classe agli utilizzatori della rete e li considerano come individui, prospettando un Welfare State il primo e una società con uno Stato minimo il secondo; Florida, McKenzie, Aronowitz riconoscono invece nei knowledge workers una classe (anche se essa non si percepisce come tale); Negri ha coniato il termine moltitudine per descrivere il nuovo soggetto sociale protagonista del conflitto in epoca di postfordismo e lo applica al popolo della rete. Ma complessivamente si esce dalla lettura di questo libro con l’impressione che la rete  susciti la riedizione di vecchi sogni e speranze più che l’analisi circostanziata di fenomeni che almeno in parte sono nuovi. Non sappiamo quanto questa impressione corrisponda alla realtà dell’attenzione suscitata dai nuovi mezzi e dai nuovi comportamenti, ma certamente ne è una parte significativa. 

Non neghiamo affatto che la rete rappresenti una realtà importante e uno spazio pubblico, né mettiamo in dubbio che, proprio per questo motivo, essa dia luogo a conflitti, tentativi di appropriazione, aggregazioni e rivendicazioni. Ci chiediamo se la cultura dell’operaismo (con le sue derive) applicata al cyberspazio sia lo strumento concettuale più utile per analizzarne dinamica e futuro. 

Carlo Formenti, Cybersoviet. Utopie postdemocratiche e nuovi media, Milano, Cortina, 2008, pp. 279, € 23