Obama corteggia l’Italia perché sa di avere a fianco un alleato fedele
09 Luglio 2010
Nonostante la brevità, l’intervista a Obama pubblicata sul Corriere dell’8 luglio contiene qualche spunto di riflessione interessante, al di là delle frasi di apprezzamento, speriamo non di maniera, sul nostro Paese. In primo luogo, al centro delle preoccupazioni del presidente americano è sempre la questione del Grande Medio Oriente, di quell’arco di crisi che va dal Mediterraneo all’Asia centrale, ed è qui che l’Italia può giocare un ruolo fondamentale. Allo stesso tempo però è chiara la funzione – come dire? – derivata del nostro Paese e della stessa Europa.
E’ infatti grazie alla serietà dell’impegno italiano in Afghanistan, e prima in Iraq, che l’Italia si è ritagliata il ruolo di amico degli Stati Uniti. I governi Berlusconi hanno avuto il merito di spazzare via le doppiezze, al limite della furbizia, andreottiane, costruendo uno spazio di manovra tutto incentrato sia sull’alleanza atlantica e sul rapporto stretto con Israele che sulla chiarezza dei rapporti mediterranei, addolciti dalle capacità personali del Cav. Tanto più Obama è costretto a impegnarsi maggiormente in Afghanistan, tanto più ha bisogno che quell’intervento mantenga il suo carattere multipolare, una delle costruzioni retoriche preferite dal presidente come segno di rottura rispetto a Bush.
Kabul infatti si sta rivelando una questione drammaticamente difficile da dirimere, che va oltre la volontà e i facili schematismi tra interventisti e isolazionisti. La verità vera è che nessuno sa che pesci pigliare: un disimpegno immediato assomiglierebbe a una disfatta sia militare che della reputazione dell’intero Occidente, e non solo degli Stati Uniti, e abbandonerebbe al loro destino proprio gli alleati afghani più fedeli, quell’Alleanza del Nord creata da Massud e formata da etnie non pashtun, da sempre nemiche dei talebani. L’unica soluzione è costruire delle condizioni che rendano possibile un disimpegno razionale e quindi colleghino il ritiro dei soldati a obiettivi chiari, limitati e raggiungibili, come la costruzione di una polizia efficiente e la sconfitta di Al Qaida, le cui forze adesso sono valutate su non più di 500-1000 uomini, ben protetti però dai talebani e dai network a loro vicini.
Anche rispetto all’altro grande problema medio orientale, in questi giorni al centro del dibattito, la Turchia, gli Stati Uniti misurano gli alleati sulle distanza o vicinanza dalle soluzioni proposte, in questo caso l’integrazione di Ankara nell’Unione Europea. Il nodo non è certo facile da sciogliere. Il fedele alleato atlantico, estremo bastione antisovietico durante la guerra fredda, sta cercando con fatica un proprio spazio autonomo nella regione che lo porta, per la prima volta dopo cinquant’anni, a compiere i primi passi indipendenti sulla scena internazionale. Tutto ciò avviene in un’epoca in cui anche la sua ideologia ufficiale, il laicismo innestato da Ataturk, bastione identitario su cui si sono costruite le stesse istituzioni turche, è entrato profondamente in crisi, messo duramente in discussione proprio dalla riscoperta del ruolo pubblico della religione ma che, nel caso dell’Islam, è inquinato da accenti fondamentalisti ed estremisti, anche a causa della natura dei regimi di quei paesi, che portano Ankara a compiere delle vere e proprie sbandate.
I paesi europei si trovano davanti a scelte difficili, attraversati da forze contrarie che lo costringono a riconoscere l’importanza della posizione geostrategica ed economica della Turchia, oppure ad avere rispetto per il percorso di revisione della sua propria storia, così simile in questo alla nuova sensibilità dello stesso Occidente di tradizione cristiana, che mette in discussione i processi di modernizzazione anomici, ingigantiti dalle forze della globalizzazione. Per paradosso è proprio questa riscoperta delle radici, però, a costituire uno dei maggiori ostacoli a una richiesta pura e semplice di ingresso della Turchia nell’Unione Europea che per altro, paradosso dei paradossi, ha in alcuni settori delle sue classi dirigenti, compresa la burocrazia di Bruxelles, i nemici più acerrimi di quella rinascita.