Obama e Cameron si “danno il cinque” ma non sono Ronnie e Maggie
25 Maggio 2011
L’incontro di Londra è molto più che una passerella. Cameron e Obama sognano una volata a due e cavalcano le rivolte nei Paesi arabi. Torna l’asse anglo-americano: una dichiarazione di fallimento per lady Ashton e per la politica estera europea come guida nel Mediterraneo.
Anche se puzza un po’ di vecchio, l’asse Londra-Washington, sembra ancora la migliore alternativa possibile per l’Occidente. I due giorni di diplomazia, inaugurati ieri dalla visita del presidente americano ai Reali inglesi, segnano un ulteriore rafforzamento delle relazioni tra i Paesi. I due leader prendono atto delle continue dimostrazioni di debolezza dell’Europa e, dalle colonne del Times, paragonano la lotta contro i regimi arabi agli sforzi sostenuti durante la Guerra Fredda contro il comunismo. Mettono da parte le implicazioni culturali e religiose, preferendo parlare alla gente in maniera chiara, con un pizzico di idealismo. Senza paura. “Saremo al fianco di chi vuole portare la luce nel buio, sosterremo coloro che cercano la libertà al di là della repressione, aiuteremo coloro che credono nella democrazia". I due non sembrano curarsi delle ripercussioni che queste parole potrebbero avere nel mondo mussulmano. Annunciano che il primo traguardo sarà Tripoli, poi il grande Medio Oriente.
Si corre in bici. Se ne vedono sfrecciare a decine per le strade sabbiose della capitale libica. Il modello più venduto è la mountain bike, per lo più made in china. Il prezzo dei carburanti al mercato nero è troppo alto per gli standard della popolazione, mentre il costo dell’attesa a quei pochi distributori che vantano scorte, è nettamente superiore a quello di una pedalata. Qui si formano file lunghissime. La benzina scarseggia. Nella notte nuovi raid della Nato hanno colpito il centro. La loro intensità cresce di giorno in giorno. Distrutto il compound militare di Bab al-Aiziziya, a un paio di chilometri dal bunker di Gheddafi, causando 3 morti e 150 feriti, alcuni sono civili. Oltre 2500 attacchi Nato, dall’inizio del conflitto, e nessun segno evidente di vittoria. La Libia è divisa in due, ma Misurata dopo oltre due mesi di assedio è finalmente libera. Gli uomini del raìs sono distanti circa 20 chilometri. La loro offensiva è resa impraticabile dalla buona organizzazione difensiva degli insorti e per il continuo sorvolo degli aerei Nato, ora affiancati anche dagli elicotteri da combattimento francesi (Tiger e Gazelle) e inglesi (Apache). Si torna a combattere anche al confine con la Tunisia. Resta un mese alla scadenza del mandato Nato, poi sarà tempo di bilanci.
Intanto, vanno avanti i lavori delle diplomazie. Martedì, l’Assistente Segretario di Stato per il Vicino Oriente, Jeffrey Feltman, era a Bengasi per sostenere e dare nuovo impulso alla causa rivoluzionaria. Il Cnt (Consiglio Nazionale di Transizione) viene considerato da Washington come il legittimo rappresentante del popolo libico. Anche la Russia, contraria all’intervento militare, apre agli insorti, temendo di perdere milioni di dollari in commesse belliche. Segue il riconoscimento di Giordnaia e Turchia, che già da aprile sostengono gli insorti senza partecipare alle operazioni militari. Il rais ormai è solo.
L’interesse strategico europeo in questo scenario resta notevole, soprattutto sul fronte umanitario: una pacificazione del nord Africa vorrebbe dire meno profughi e clandestini pre tutta l’area Schengen. L’Unione Europea, dopo il vertice di Bruxelles, inasprisce le sanzioni contro il regime, coinvolgendo anche la compagnia aerea libica. L’obiettivo è quello di bloccare l’accesso alle risorse e ai finanziamenti. Il problema è che resta divisa. La Germania, scrive Roger Cohen sul New York Times, ha ridotto la strategia comunitaria in un ossimoro. Berlino semi-isolazionista e contraria alle operazioni in Libia deflagra ogni credibilità del vecchio continente. Forse le parole di David Cameron e Barack Obama, i loro riferimenti al novecento, sembreranno anacronistici, forse avranno come unico risultato quello di inasprire ancora di più il conflitto con i popoli islamici, compromettendo le relazioni con l’Arabia Saudita, insidiata dalle rivolte e così preziosa per l’Occidente. Forse la primavera araba non porterà alla caduta di nessun muro. Berlino è libera, unita e democratica da un pezzo. Ma a volte sembra non ricordarselo.