Obama è troppo occupato con l’America per pensare al Mediterraneo

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Obama è troppo occupato con l’America per pensare al Mediterraneo

03 Marzo 2011

L’America di Obama, quella della politica estera multipolare e concertativa, quella del rispetto delle sedi di decisione internazionale, quella della mano tesa del Cairo, quella dei diritti umani, che promette di chiudere Guantanamo, quella che piace all’establishment europeo e a gran parte della stampa del vecchio continente. Quella che si limita ad una sterile condanna del regime di Gheddafi, quella che tentenna sulla decisione di stabilire una no fly zone sui cieli libici. Quella che parla di vento democratico nel mondo arabo e – con il benestare  colpevole e sornione delle ONG e delle organizzazioni governative internazionali –  sostituisce una dittatura militare con un altra. Quella che chiama transizione democratica il golpe Egiziano. Quell’America, a due pesi e due misure, che tace su ciò che accade in Arabia Saudita e in Yemen. Quella che abbandona Israele, avamposto democratico ed atlantico in Medio Oriente.

La retorica di quest’America maschera il vero cambio di rotta dell’Amministrazione  democratica e dimostra che i fattori che determineranno gli equilibri internazionali dipendono da cause interne agli Stati Uniti e non certo da una politica estera equilibrata, o da un genetico ed esclusivo quid democratico. Fu il 15 Settembre 2008, il giorno in cui Lehman Brothers, rigonfia di debiti, dichiarò bancarotta. In quel giorno cominciò tutto. In pochi mesi “l’indotto finanziario” di quel colosso assistette inerme allo svuotamento di castelli di soldi eretti sui derivati e sui sogni famelici dei propri amministratori. Lo Stato Federale americano, con incedere neoprogrammatore,  è intervenuto per salvare più di un istituto di credito o assicurativo, subentrando nei debiti privati e dislocando ciò che era privato, nel pubblico. La crisi non ci mise molto a trasferirsi all’economia manifatturiera: le tre big dell’automotive sono state salvate dallo stato che ancora una volta ne ha comprato i debiti. Oggi a soffrire è ancora l’economia reale : i tassi di disoccupazione elevatissimi, i licenziamenti e le riduzioni salariali, diminuiscono la capacità di spesa delle famiglie, soffocando ulteriormente la crescita economica.

Fu alla mezzanotte del 22 Marzo 2010, la notte in cui Obama salutò con fervore lo storico voto con cui la Camera licenziò la controversa riforma delle pensioni e dello stato sociale, che impatterà gravemente sui costi federali. Forse fu l’adrenalina della burrascosa traversata parlamentare a far dimenticare alla Casa Bianca che i costi di questa riforma non possono che essere finanziati con ulteriore debito pubblico. E’ fissata per venerdì 4 Marzo 2011 la seduta parlamentare con la quale si dovrà trovare un’intesa bipartisan per alzare il tetto del debito federale americano. La posta in gioco è seria : la chiusura di molti uffici pubblici. Per la prima volta dal 1946 , infatti, il debito pubblico complessivo degli Stati Uniti ha superato la ricchezza nazionale prodotta in un anno. Oggi la nazione più ricca del mondo consuma di più di quanto produce. Gli amministratori nazionali repubblicani, in Wisconsin Ohio e altrove, stanno cominciando una  febbrile campagna di tagli agli enti locali, il livello di scontro si è a tal punto alzato che alcune associazioni di categoria hanno minacciato lo sciopero generale.

Lo dice bene il Wall Street Journal: “Le ragioni morali e strategiche per una leadership americana nella questione libica sono ovvie. Un regime terroristico sta uccidendo il suo popolo, che vorrebbe la protezione americana. Una guerra civile sanguinosa trasformerebbe la Libia in uno stato fallito nell’Africa del nord, un rifugio ideale per i terroristi. […] Obama cosa sta aspettando?”
Obama, lo stesso che al Cairo si è offerto come leader della rinascita di un idealismo internazionale, è seduto a Washington, e il Mediterraneo, da laggiù, non è che una esotica meta turistica.