Obama era contro Guantanamo finché non ha scoperto il Golfo di Aden
06 Luglio 2011
Obama preferisce torturare in mare. Lo trova probabilmente più discreto, più innovativo del suo predecessore. Ciò che stiamo raccontando non è accaduto al largo di Cuba, ma nelle calde acque del Golfo di Aden a migliaia di chilometri da Guantanamo Bay.
Tutto comincia il 19 aprile scorso, quando una pattuglia della Marina americana ferma un peschereccio a metà strada tra la Somalia e lo Yemen, in acque internazionali. A bordo c’è Ahmed Abdulkadir Warsame, militante di al-Qaeda. L’uomo viene fatto prigioniero, interrogato e torturato per più di due mesi su una nave da guerra senza che gli venga riconosciuto alcun diritto. In questo periodo, rivela particolari importanti sulle dislocazioni delle forze dell’AQAP (al-Qaeda nella penisola araba) in Yemen e degli Shabab in Somalia. Warsame è atterrato nella notte tra lunedì e martedì a New York per essere processato da un tribunale federale, dopo essere stato incriminato con 9 capi d’imputazione la scorsa settimana, in gran segreto. Lo accusano di complotto, sostegno alle forze di al-Qaeda e per aver insegnato ad usare armi ed esplosivi nei campi di addestramento yemeniti, senza però aver partecipato ad attacchi contro obiettivi USA. Su di lui girano voci contrastanti. Alcuni funzionari dell’amministrazione lo descrivono come un alto rappresentante dell’organizzazione terroristica, altri ne minimizzano il ruolo.
Il caso rappresenta un chiaro tentativo dell’amministrazione di cercare una via mediana tra la detenzione in carceri segrete, i cosiddetti black site, e l’impegno di garantire ai terroristi un giusto processo. Una scelta legittima, se non fosse per quell’uso continuato delle torture che lascia trasparire forti dubbi sulla coerenza del governo. E’ il primo soggetto sospettato di terrorismo ad essere catturato al di fuori degli Stati Uniti e poi trasferito nel Paese per essere processato. L’amministrazione democratica pensa di poter distorcere la realtà battendosi in pubblico per i diritti umani e la cessazione delle pratiche svolte a Cuba, pur mantenendo la buona e vecchia abitudine in segreto. Troppo comodo. Obama sembra agire indisturbato, mentre demolisce gran parte del “sofisticato” impianto politico di cui si era fatto portatore nel 2008. Chi scrive non critica il merito, ma la forma.
L’accaduto assume un forte significato politico, ma anche strategico in quanto legato alla nuova dottrina anti-terroristica, annunciata dal presidente la scorsa settimana. Le nuove regole di combattimento, basate su attacchi chirurgici di droni, implicano un massiccio lavoro di intelligence in modo da garantire corrette informazioni sul campo, quindi precisione sugli obiettivi da colpire. Azioni come quella che ha portato alla cattura di Warsame risulteranno centrali in questo ambito. Il Congresso sembra avere idee chiare, mostrandosi fermamente contrario alle mosse del presidente. Si discute da tempo sulle pratiche di trattamento dei detenuti, sulla chiusura di Guantanamo, se sia opportuno sottoporre i prigionieri a processi civili o al giudizio di una commissione militare: bene, una decisione definitiva non è ancora arrivata.
Qualche tempo fa però la Camera dei Rappresentanti, a maggioranza repubblicana, aveva approvato una legge che vietava il trasporto dei detenuti sul territorio americano e il presidente dell’Armed Service Commitee, il repubblicano Howard McKeon, incalza su questo punto l’amministrazione. “Questo trasferimento contraddice gli intenti del Congresso e la volontà del popolo americano” afferma. Ma Warsame è già in volo quando viene resa pubblica la sua cattura. L’amministrazione aggira in questo modo ogni obiezione e ogni vincolo legislativo in via di approvazione. Un gesto che fa scaldare non poco il parlamento americano.
Le acque a largo della Somalia possono offrire opportunità incredibili in termini di informazioni e Bush non era un pazzo sanguinario. Ecco quanto emerge da questa storia, mentre le pedanti lezioncine da maestrina, che l’attuale presidente era solito impartire sulle corrette modalità di trattamento dei detenuti di Guantanamo, rischiano di essere dimenticate troppo in fretta. La verità, che piaccia o no, è una: anche il presidente Barack Obama ha un debole per la tortura. Ma lui ancora non lo sa.