Obama nicchia sullo “Scudo spaziale” e la Russia ne approfitta

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Obama nicchia sullo “Scudo spaziale” e la Russia ne approfitta

13 Novembre 2008

Le transizioni presidenziali danno l’opportunità di prevedere come governerà un’amministrazione in entrata. Dal momento che la transizione verso il governo Obama sta procedendo ampiamente dietro le quinte, i commentatori hanno dovuto lavorare sodo all’analisi delle prove che man mano si stanno palesando per giungere a conclusioni più ampie sulla probabile direzione della nuova amministrazione.

Se pure è ancora troppo presto per trarre conclusioni stabili, è altrettanto vero che si sono verificati alcuni eventi molto importanti. Si pensi, per esempio, alla consolidata tradizione della serie di telefonate che il presidente eletto fa ai leader mondiali per presentarsi e ricevere le loro congratulazioni. Una delle prime conversazioni di questo tipo per Barack Obama è stata quella che ha avuto luogo venerdì con il presidente polacco Lech Kaczynski.

Da quanto si arguisce dalla stampa e dalle dichiarazioni riguardo alla conversazione, si ha tutta l’impressione che Obama e Kaczynski abbiano tratto conclusioni radicalmente diverse sulla questione critica della difesa missilistica. È stato Kaczynski a sollevare l’argomento anche in base al recente accordo stipulato tra Washington e Varsavia per posizionare risorse di difesa missilistica sul territorio polacco. Stando alle parole del comunicato stampa diffuso in seguito alla telefonata, Kaczynski avrebbe sentito Obama affermare che “il progetto di difesa missilistica andrà avanti”.

Il team di Obama per la transizione dei poteri ha subito diffuso la propria smentita: “Il presidente eletto Obama non ha preso impegni al riguardo. La sua posizione resta quella adottata nel corso di tutta la campagna elettorale, e cioè  che è favorevole al dispiegamento di un sistema di difesa missilistico se la tecnologia sulla quale si basa si è dimostrata praticabile”.

Con questa rimarchevole affermazione Mr. Obama ha in sostanza contraddetto un capo di Stato per rimanere fedele a una posizione adottata in campagna elettorale che, a voler essere molto gentili, potrebbe essere descritta come debole e ambigua. La dichiarazione del presidente eletto, inoltre, riflette una certa naiveté nello strutturare tali conversazioni di transizione e probabilmente anche i futuri negoziati con leader ben poco amichevoli. Una naiveté che si sarebbe potuta evitare.

Inoltre, fatto tutt’altro che trascurabile, la telefonata tra Obama e Kaczynski dovrebbe esser vista nel contesto del discorso tenuto, appena due giorni prima, dal presidente russo Dmitri Medvedev che ha minacciato di posizionare missili russi nell’exclave di Kaliningrad da puntare in direzione  delle nostre strutture balistiche di difesa in Polonia. Le parole di Medvedev sono state ben più di una sfida diretta lanciata al presidente eletto Obama sulla questione della difesa missilistica. Sono state anche una sfida diretta al governo polacco che aveva raggiunto un accordo con l’amministrazione Bush appena pochi giorni dopo l’invasione russa della Georgia. I polacchi si trovavano in una situazione pericolosa, come sospesi a un ramo. Un ramo del quale Mr. Medvedev stava testando la solidità, oltre a saggiare la forza del presidente americano di transizione. E adesso entrambi appaiono inquietantemente deboli.

Certo, si potrebbe obiettare che i polacchi non avrebbero dovuto far girare una dichiarazione tanto inequivocabile e precisa senza prima verificarla con lo staff di Obama. Ma, allo stesso modo, il team di Obama avrebbe dovuto capire che tutti i leader stranieri, tanto gli amici che gli avversari, sono in uno stato di grande tensione nella speranza di spingere il presidente eletto a imprimere il proprio timbro di accettazione ai loro programmi prima che l’inerzia del governo permanente si metta in mezzo. La mossa di Mr. Kaczynski potrà essere stata la prima, ma di certo non sarà l’ultima e quelle centinaia di foreign advisers di Obama se la sarebbero dovuta aspettare. E adesso, man mano che il 20 gennaio si fa più prossimo, i programmi per gli armamenti nucleari di Iran e Corea del Nord, le relazioni arabo-israeliane e un mucchio di altri problemi assolutamente decisivi si avvicineranno sempre più rumorosamente verso Obama.

L’aver liberato gli Stati Uniti dalle antiquate restrizioni del Trattato Anti Missili Balistici del 1972 è giustamente considerata una delle più significative conquiste del presidente Bush. Nel 2001 credevamo che la minaccia strategica rappresentata dalla Russia si fosse attenuata, ma le minacce emergenti da parte di quegli Stati canaglia in possesso di qualche missile balistico in grado di montare testate nucleari ha reso necessario che sviluppassimo difese adeguate. Soprattutto perché molti degli Stati che stanno emergendo come dotati di armamenti nucleari non accettano lo stesso calcolo della deterrenza che aveva mantenuto una precaria parità nucleare ai  tempi della Guerra Fredda. La morte del trattato ABM (Anti Ballistic Missile) consente ora agli Stati Uniti di difendersi da tali minacce.

Se la nuova amministrazione Obama decidesse di ritirarsi da una conquista del genere, cosa che molti all’interno della “comunità” per il controllo degli armamenti hanno già sollecitato, si tratterebbe di un significativo passo indietro. La posizione da lui adottata in campagna elettorale, quella che rende accettabile il posizionamento di strutture missilistiche di difesa soltanto se la tecnologia di tali strutture  si sia dimostrata valida al di là di ogni dubbio non è altro che una scusa per non dispiegare mai difese missilistiche perché in ambito militare nulla può mai dirsi comprovato in maniera assolutamente definitiva. Senza contare, poi, che respingere Kaczynski è esattamente la risposta più sbagliata alla provocazione di Medvedev. Una risposta che, non soltanto a Mosca, verrà di certo letta come un segno di debolezza. E infatti, Mosca ha annunciato ieri che non ci saranno più negoziati in materia di difesa missilistica prima del 20 gennaio.

E adesso in che modo Israele e il mondo arabo dovranno considerare la prospettiva di un rapido ritiro delle truppe americane dall’Iraq, dei conseguenti disordini e di un’accresciuta influenza iraniana in Medio Oriente? E che deciderà di fare la Corea del Nord, a prescindere di chi sia al comando? Calcerà di rimando e aspetterà il 20 gennaio? Insomma, la lista delle domande è assai più lunga della lista delle risposte che potrà dare Obama.

Ribadisco, è davvero troppo presto per trarre conclusioni più ampie da questo unico episodio. In base alle prove postelettorali esistenti non è possibile dire se Mr. Obama governerà da posizioni di sinistra o di centrosinistra, né se sia semplicemente passivo e non ami abbandonarsi al rischio. Ma, tutto sommato, la conversazione avuta da Obama con Kaczynski sembra indicare un indebolirsi dell’atteggiamento della difesa statunitense, una certa indifferenza nei confronti degli alleati sottoposti a minaccia e la necessità di dare soddisfazione al proprio elettorato naturale all’interno del Partito democratico. A questo punto non resta che restare in attesa dei prossimi elementi probatori.

Tratto da "The Wall Street Journal"

Traduzione di Andrea Di Nino