Obama non si accorge che in Medio Oriente c’è ancora la Guerra Fredda
28 Maggio 2010
Il tono con cui molti leader arabi parlano di Barack Obama ormai rasenta lo scherno. Dopo le dichiarazioni disilluse di Abu Mazen e di Hosni Mubarak, è venuta l’irrisione del principe saudita Turki bin Faysal che davanti a industriali e diplomatici così ha sferzato il presidente americano: “Gli Usa sono incapaci di risolvere i problemi afghani e l’inettitudine di cui ha dato prova l’amministrazione Obama nel suo modo di relazionarsi con Hamid Karzai suscita incredulità e stupore e lascia ora entrambe le parti piene di risentimento e con un sapore amaro nelle bocche”. Infine, il potentissimo principe (è stato responsabile dei servizi segreti e ha letteralmente “inventato” negli anni ’90 i Talebani) ha concluso, con evidente e inusuale verve irrisoria: “Presidente Obama: basta banalità, pii desideri e vision, per favore!”
Passati pochi giorni, nel pieno della crisi coreana che risalta la scelta cosciente di impotenza che Obama sta imponendo agli Usa, ecco che gli sberleffi sono venuti proprio dal leader che i democratici e lo stesso Obama avevano ritenuto – sbagliando ovviamente – fosse la chiave di volta della “svolta” obamiana: il dittatore siriano Beshar al Assad. Monumento dell’ondivagare obamiano, la Siria è oggetto di due politiche assolutamente contrapposte: da una parte la Casa Bianca ha nominato da mesi un ambasciatore a Damasco, dopo anni di sede vacante. Segno evidente di volontà di appeasement e di possibilità concrete di dialogo.
Dall’altra parte però, siccome è sempre più evidente che la Siria non è affatto quella che i democratici e Obama si erano illusi che fosse e che non ha nessuna intenzione di allentare l’alleanza con l’Iran, l’ambasciatore nominato non viene concretamente mandato a Damasco e addirittura il governo usa ha reiterato le misure di boicottaggio contro l’economia siriana che Bush aveva iniziato. Il solito pasticcio alla Obama, insomma (complicato da altrettante giravolte di Hillary Clinton) a cui Beshar al Assad, in una lunga intervista a Repubblica, risponde dimostrando un sostanziale disprezzo per il presidente Usa e per quei colloqui di pace tra Israele e Palestina che Obama ha faticosamente promosso: “L’America non ha influenza su una mediazione sul Medio Oriente perché non sta facendo niente. Tutti sanno che la trattativa condotte ora da Mitchell non porterà a niente”.
Assad, naturalmente ribadisce con fermezza la totale tenuta delle sue relazioni e alleanze con il più oltranzista Iran degli ultimi decenni (a riprova del fallimento totale delle analisi obamiane) e aggiunge due elementi di analisi di estremo interesse. Il primo – di enorme rilievo – è che dal suo angolo di visuale “la guerra fredda non è mai finita, ma ha solo cambiato forma”. La Russia di Putin e Mevdev, cioè, continua esattamente la politica mediorientale che fu di Breznev, armando e appoggiando il “fronte arabo” (e anche iraniano) per usurare al massimo la sfera di influenza americana e per costringere Israele a vivere in un perenne stato d’assedio.
Questa valutazione sulla “guerra fredda permanente” è ovvia per chi somma due più due e annota l’evidente senso politico-strategico della vendita da parte di Mosca di sofisticati sistemi missilistici alla Siria e all’Iran e della stessa tecnologia nucleare con cui Teheran sta costruendo la sua atomica. Ma non è così per la Casa Bianca che invece si illude sul fatto che la Russia persegua in Medio Oriente i suoi stessi obbiettivi di appeasement e che addirittura sia al suo fianco contro l’Iran. Una illusione che fa calibrare erroneamente tutte le mosse di politica estera a partire dalla dissennata rinuncia senza contropartite del progetto di scudo spaziale che tanto infastidiva Mosca.
Ma Assad fa di più, spiega anche che dentro l’ombrello protettivo della guerra fredda, si sta consolidando un’intesa tra Siria, Turchia e Iran che si basa non solo su una comune volontà antiamericana, ma anche su una forte piattaforma comune economica, su una possibile integrazione delle economie. Il tutto, dentro un contesto di alleanze internazionali che è tanto forte da sapere e potere mettere sul piatto la burla dell’accordo Lula-Erdogan-Ahmadinejad che farà ulteriormente tardare le sanzioni contro l’Iran che Obama si illudeva fossero imminenti e che invece la Russia e la Cina faranno ulteriormente slittare per “verificare” i termini dell’intesa. Un quadro di analisi stimolante e spregiudicato, di cui dovrebbero prendere atto anche le cancellerie europee, perché sgretola l’illusione comune circa l’affidabilità del siriano Assad (illusione che Sarkozy alimenta) e lascia intravedere possibili evoluzioni pericolosissime da qui a poco.
Il coro della disillusione araba verso la politica estera Usa si ingrossa sempre di più ed è il naturale controcanto delle speranze che Obama aveva suscitato col suo discorso del 4 giugno 2010 al Cairo. Speranze impaludate in una lunga serie di rinvii, dialoghi mai portati sino in fondo, ma mai troncati, scadenze (all’Iran), prima tassativamente fissate (a settembre, poi a dicembre, poi a febbraio, poi..) e poi sempre rinviate. Il tutto mentre è sempre più chiaro che, per ogni quadrante di crisi (Iraq, Afghanistan, Siria o Palestina) l’amministrazione Obama e non ha un “piano B”, nel caso la strategia del dialogo enunciata al Cairo fallisca. Ma Assad, in una lunga intervista a Repubblica, demolisce la dottrina Obama anche per quanto riguarda la sua valutazione di una volontà di appeasement da parte di Mosca. Spiega infatti che la Russia arma la Siria e l’Iran per la semplice ragione che ritiene che la “Guerra Fredda non sia mai finita, ma ha solo cambiato forma”.