Ogni perdita è un lutto anche quella di un bambino mai nato
08 Dicembre 2010
E’ stata in questi giorni presentata al Ministero della Sanità una lettera firmata da oltre 5000 mamme che, spesso in base alla loro tragica esperienza, chiedono una corretta informazione per tutte le coppie che disgraziatamente si trovano a perdere un figlio prima della nascita, il cosiddetto “aborto spontaneo” e non sanno che il corpicino del bambino può essere reso alla famiglia e seppellito a norma di legge.
Nel sito web che raccoglie le firme della petizione, si leggono racconti strazianti e lettere di solidarietà. E’ un iniziativa meritevole, che apre la finestra su un’associazione medica, nominata “Ciao Lapo Onlus”, che aiuta le donne a partire dall’evidenza (quanto imbarazzante è questo approccio!) che il feto è un figlio. L’associazione – non un’associazione pro-life, non un’associazione religiosa- si prende carico delle donne o delle coppie che hanno avuto la tragedia di perdere un bambino prima della nascita. Dolore censurato, negato dai media, sottovalutato dai parenti e amici (“Dai, siete giovani, ne farete un altro”!”). CiaoLapo è stata fondata da due genitori, entrambi medici a seguito della morte endouterina del loro secondo figlio, allo scopo di fornire ai genitori in lutto un aiuto strutturato e un supporto basato sulle prove di efficacia. Si tratta di medici, psicologi e ostetriche che si prendono carico di questo dolore.
Leggiamo nel loro sito: “Aspettavamo Lapo, il nostro secondo figlio, per il 25 Marzo del 2006. La gravidanza era stata considerata perfettamente fisiologica, i controlli segnalavano un bambino grosso e dalle guance paffute ("questo bambino è bello come un angelo, guardate che guance e che gambe che ha" sono le parole che hanno accompagnato l’ultima ecografia di controllo, fatta tre giorni prima della sua morte). "Mi dispiace non c’è battito". Il nostro bambino tondo e vivace ha smesso di vivere due settimane prima di quella data, ed è nato fermo e perfetto, il 13 Marzo del 2006. Quando abbiamo perso Lapo siamo stati proiettati in una sorta di dimensione parallela. Ci è stato detto di tornare a casa, non pensarci più, e appena possibile, provare un’altra gravidanza. Tornati a casa a braccia vuote e con il cuore pieno di incredulità e dolore, ci siamo sentiti soli, e non siamo riusciti a trovare nessuno che potesse aiutarci ad affrontare questo lutto nel migliore dei modi. Sbigottiti da questa solitudine e dall’assenza di risorse (libri, articoli, specialisti etc…) abbiamo quindi pensato che la morte di un figlio durante la gravidanza o dopo il parto fosse così rara da non necessitare di cure e di sostegno. Ci abbiamo messo qualche giorno, (e molte notti insonni…) per capire che non era vero nulla.”
Certo, ogni donna e ogni coppia ha un suo percorso e un suo modo di reagire e di affrontare il dramma, ma bisogna riconoscere che di dramma si tratta, ed un dramma non censurabile, che necessita di elaborare un lutto, di trovare una compagnia, di non negare l’evidenza della morte. Una volta Ernest Hemingway fu sfidato a scrivere una storia quanto più possibile breve, e lui amando la competizione e carico di umanità scrisse il seguente apologo in 6 parole che definì “il romanzo più breve della storia”: “Baby shoes, never used; for sale” (“Scarpe da bambino, mai usate. In vendita”). Aveva capito che nella perdita del bambino, tanto più nascosta quanto espressa in 6 parole, è presente un mondo, un romanzo! E aveva capito che la perdita non fa distinzioni di età per essere terribile, neanche quando l’età il mondo non ha iniziato a contarla, perché non ancora sopraggiunta la nascita. Il governo francese ha di recente varato una legge con cui il feto morto può addirittura essere iscritto nel libretto di famiglia, essere sepolto e ricevere un nome; e la sepoltura è un diritto riconosciuto anche dalla legge italiana e con particolare attenzione dalla regione Lombardia. Perché è giusto che si smetta di chiamarlo “feto” perché è un bambino, come ogni mamma sa bene.
Esistono altre associazioni che si occupano di aiuto al lutto prenatale (es. l’associazione Il Dono). E questi momenti di umanità meritano la massima attenzione perché aiutano chi è disperato a non restare solo; la cultura postmoderna, capace di negare la realtà in nome dell’ideologia, invece vede il bambino non ancora nato, se ne compiace, lo descrive, lo magnifica con le ecografie e tante storie sdolcinate ma poi, quando diventa scomodo, quando avviene un dramma, sa rapidamente voltarsi dall’altra parte, abbandonare la donna in lutto e negare l’evidenza. Certo, sono relativamente poche le persone che vengono soccorse per questi traumi, e spesso preferiscono vivere anche il percorso di consapevolezza e lutto con riservatezza. Ma quanto ci piacerebbe vivere in un mondo in cui chi fa del bene merita le prime pagine e in cui i racconti di vita vera surclassano quelli delle fantasie di chi preferisce immaginare una vita perfetta, utopica, capace di far sparire la vita alla prima imperfezione o dispiacere, perché tutto, anche il proprio limite, lo vive con terrore e fobia.