Ogni vetta porta la sua croce
09 Marzo 2008
di Valdegamas
Ho letto da
qualche parte che Reinhold Messner trova
di pessimo gusto le croci collocate in
cima alle montagne, in quanto turberebbero lo «spazio incontaminato» che ancora
esiste in questi luoghi, spesso irraggiungibili. L’affermazione del noto
alpinista mi ha lasciato interdetto, forse perché, dalle mie parti, quasi ogni
monte porta – sul culmine – una croce: il Gàbberi, il Prana, il Matanna, il
monte (appunto) Croce. Certo le Alpi Apuane non sono le montagne a cui è
abituato Messner: non riescono nemmeno a toccare i duemila metri! Ma (e questo
non è poco) sono forse i monti italiani più cari ai poeti, specialmente ai
nostri due ultimi grandi.
D’Annunzio le
mirava da Bocca d’Arno o dalla spiaggia rovente del Gombo o dalle pinete della
piana versiliese: «il Matanna / è porpora e viola come il lento fior della
canna /(…) Sta nella cruda nudità rupestre/ il Gàbberi irto qual ferrato casco/
(…) Mai fosti bella, ahimé, come in quest’ora / ultima, o Pania!». Dal 1895
Pascoli viveva alle loro falde, ma sull’altro versante, quello dell’alta valle
del Serchio, la Garfagnana. Si
era innamorato della Pania, la più bella, anche per lui, di quelle montagne.
Nel Fanum Apollinis, scrisse che era
«concolor aethrae», dello stesso
color del cielo. Aveva ragione: la sua pietra ha un colore che può sembrare ora
grigio ora azzurro: al tramonto, guardandola dal mare, si tinge di rosa.
Un tempo «pania»
era un nome comune (si dice che derivi dal latino pagina, cioè «lastra di
roccia») e localmente le Apuane erano dette la Catena delle Panie: c’è infatti una Pania
Secca, una Pania Forata, una Pania di Corfino. Quella di Pascoli, quella che gli
sembrava come il cielo, è la
Pania della Croce. In cima si erge una croce di ferro che
sfida le saette: ogni tanto è stata colpita, per venire, puntualmente, eretta
di nuovo. Il mio nonno materno raccontava di aver partecipato (saranno ormai
novant’anni) a una di queste riconsacrazioni.
La Pania della Croce è una
montagna severa e, per quanto è bella, talvolta può essere insidiosa. Ogni
tanto si prende qualche giovane vita. Non sono pochi i versiliesi che hanno
conosciuto e magari sono stati amici di qualcuno che non ne è tornato.
Da bambino,
andavo ogni tanto al cimitero con mia madre: passavamo sempre di fronte a una
tomba e puntualmente lei me ne raccontava la storia. Era di un allievo del
nostro liceo cittadino, quello dove – trent’anni dopo – avrei studiato anch’io.
Il professore di filosofia aveva l’abitudine di portarli in montagna la
domenica, i suoi alunni. Un pomeriggio (erano raccolti tutti al rifugio di
Mosceta) uno dei ragazzi volle salire da solo in cima alla Pania, contro il
parere di tutti: il tempo volgeva al peggio e poi, d’inverno, fa presto ad annottare.
La sera non fece ritorno. Lo trovarono, la mattina dopo, morto sulla cima: era
tutto abbracciato alla croce.