Ontologia della carta straccia
30 Settembre 2007
Si resta francamente stupiti nel leggere Sans papier. Ontologia dell’attualità (Castelvecchi, Roma 2007), il secondo libro che Maurizio Ferraris dedica agli oggetti presenti nella nostra vita quotidiana. Dopo Dove sei? Ontologia del telefonino, pubblicato con grande successo nel 2005, avevamo pensato che il filosofo torinese avesse fatto solo una incursione estemporanea nel mondo della comunicazione e dei suoi strumenti, e che tale incursione non si sarebbe ripetuta. Invece il filosofo reitera: ci deve aver preso gusto. Reitera anche la sua tesi, che è questa: il telefonino (inteso come oggetto) non è una macchina per parlare ma una macchina per scrivere. Ognuno di noi può infatti constatare che assai più che per parlare viene usato per inviarsi brevi, veloci messaggi: gli sms. Tutto qui? No, la tesi fa un omaggio a Derrida e prosegue in questo modo: la scrittura costruisce il sociale. Dall’applicazione della tesi qui esposta al telefonino si trae una conclusione: il telefonino, macchina che scrive, costruisce la realtà sociale, quella ontologia invisibile, “quel reticolo di iscrizioni, comunicazioni e registrazioni che definisce la realtà sociale”. Ecco da dove viene quell’”ontologia” del titolo che sulle prime si prende per una battuta, poi si rivela una tesi pesantissima, e addirittura fondativa, ma – come vedremo – alla fine partecipa assai più dell’essenza della battuta che di quella della tesi più o meno fondativa. In questo secondo volume Ferraris estende l’ontologia all’”attualità” (neppure Hegel aveva osato) e sostiene che oggi le iscrizioni, le scritture, che pure si sono moltiplicate, non avvengono più, o non più esclusivamente, su supporti cartacei: come il telefonino mostra bene, esse hanno spesso un supporto immateriale. E lasciano una traccia, che diventa automaticamente un modo per rintracciarci.
E’ vero che la filosofia ha storicamente molto a che fare con la meraviglia, con il meravigliarsi, e che secondo qualche lontano ma mai tramontato autore nasce proprio da quella reazione di stupore che spinge l’uomo a non accettare passivamente ciò che lo circonda, a porsi domande su di esso. Di fronte a queste riflessioni si prova in effetti meraviglia, e non poca: perché lo spettacolo di un filosofo che ignora la storia della tecnologia (in particolare di quella di comunicazione) e la comunicazione stessa, e che tuttavia affronta temi che si situano alla confluenza fra queste due discipline, dice forse qualcosa di importante su che cosa è la filosofia oggi e sul suo rapporto con gli altri saperi e con alcune discipline specialistiche. Il filosofo in questione, infatti, non solo non sente il bisogno di assumere da quei saperi speciali qualche informazione, ma ne prescinde del tutto, per volgersi invece a quei fenomeni attuali con gli occhiali forniti dalla teoria della scrittura di Derrida. Intendiamoci, in questo non c’è niente di male: ognuno usa le teorie che più gli piacciono, e a volte è molto fruttuoso scuotere le abitudini consolidate e guardare le cose con occhi nuovi, extra-disciplinari. Il guaio è che il risultato di questo sguardo che dovrebbe essere al contempo originale e più profondo, addirittura fondativo, è un miscuglio di errori, sviste e banalità.
Partiamo dagli errori: è sbagliato credere – come fa Ferraris – che la tesi secondo la quale la scrittura costruisce la realtà sociale sia da ascrivere a Derrida. Poiché si riferisce al costruttivismo, bisogna precisare che le teorie sulla costruzione sociale della realtà da parte di pratiche e attori sociali sono numerose e si sono moltiplicate negli ultimi decenni a opera di autori diversi fra loro, con nessuna o scarsa relazione con le tesi di Derrida una volta che si sia riusciti a estrarle dall’ermetismo dei suoi testi. Passiamo alle sviste: non c’è niente di misterioso o ontologicamente significativo o filosoficamente rilevante nel fatto che il telefonino stia assumendo o assuma in futuro le funzioni del computer: si chiama convergenza ed è un tema abbastanza studiato, e non da ora, dagli studiosi di comunicazione. Arriviamo infine alle banalità (queste sono davvero numerose, e la scelta è difficile): Ferraris scopre che il telefonino (mobile in inglese: ci voleva l’inglese per accorgersene) delocalizza, a differenza del telefono fisso che appunto è fisso. Mentre con il fisso chi chiama è localizzato, con il telefonino non è localizzabile: una caratteristica ovvia del telefono mobile che non necessitava dell’ermeneutica né di Derrida per essere compresa.
La tesi forte di Ferraris è che gli oggetti sociali consistono di iscrizioni. Ma questo non è affatto vero: forse hanno anche scritture che li accompagnano, ma non consistono affatto solo di iscrizioni. Consistono di un sacco di cose: contatti sociali, comunicazioni, legami, valori, immagini, rapporti di potere o di interesse, consistono di saperi accumulati e sedimentati o appena scoperti, consistono di reti, abitudini e modi di vita, di stili personali e collettivi. Ciò di cui si sente la mancanza è quella umiltà che sempre dovrebbe accompagnare lo studioso e che avrebbe dovuto spingere il filosofo a documentarsi con la letteratura esistente sulla comunicazione, in particolare sulla comunicazione a distanza, e sulle sue recenti trasformazioni. Se mai lo farà, il filosofo si meraviglierà, e anche molto: si accorgerà che tutte le sue scoperte e tesi sono affermazioni ovvie presenti in ognuna di quelle ricerche, con la differenza che a esse in quei testi si cerca di dare una spiegazione (storica, culturale, sociologica, a seconda dei casi).
Ma quello che stupisce più di tutto è che la stessa descrizione del costruttivismo, con il quale pure Ferraris si confronta da vicino, non corrisponde affatto a ciò che quella corrente è. La descrizione del filosofo non rende conto di una corrente che non ha niente di estremo: Ferraris sostiene infatti che il costruttivismo pensa che la realtà sociale non esista che nella testa di qualche pensatore, cioè che la realtà sensibile nasce dalle parole, dalle idee, dai pensieri, in questo caso dalle scritture o iscrizioni. Ma non è affatto così: per Bloor, Searle e per gli altri costruttivisti la realtà esiste in tutta la sua ineliminabile pesantezza. In quella realtà gli attori sociali danno luogo a negoziati attorno a progetti: solo quando raggiungono un accordo il progetto si realizza, anche se non è il migliore fra quelli in concorrenza. Una volta realizzato, il progetto si istituzionalizza e acquista una forza di resistenza che lo fa durare nel tempo. Il gioco si svolge sempre fra quanto già esiste e le possibili modifiche all’esistente, che quasi mai sono rivoluzioni. In questi libri di Ferraris c’è un metodo costante in azione, che costituisce la loro cifra: rendere caricatura una tesi o una corrente di pensiero, e poi sostenere che quella tesi o quella corrente è falsa e insensata, mentre falso e insensato è solo il modo in cui egli l’ha presentata. ujDiciamo tutto questo senza gridarlo, sottovoce, per non distogliere il filosofo dall’ontologia del telefonino e dell’attualità: in fondo, in altri settori potrebbe suscitare la nostra meraviglia ancora di più.