Ormai per lo Stato non ci sono più esami di riparazione
24 Giugno 2008
Arrivai all’A.E.I. nel 1976 e ne assunsi la direzione nel 1978. I ministri che ad ogni nuova nomina andavamo a salutare, ci pagavano con poche parole di cui avremmo tutti potuto fare a meno. Una sola eccezione: Salvatore Valitutti che fu l’unico, malgrado la breve permanenza a viale Trastevere, a far qualcosa per una realtà che rispettava e stimava. Al punto che mi diede buoni consigli quando fondai la rivista Cultura e Educazione (che visse per dodici anni) e mi sostenne con una stima che durò fino alla sua scomparsa.
Ricordo l’emozione del mio primo intervento nell’auletta parlamentare e la speranza che le cose davvero sarebbero presto cambiate, che la diatriba ridicola tra scuole statali e non statali (distorta dalle sinistre ma anche dalla D.C. per motivi che con la scuola nulla avevano a che fare) sarebbe stata presto solo un pallido ricordo.
Siamo nel 2008 e il Ministero della Pubblica Istruzione di problemi ne ha risolti ben pochi, mentre quelli della scuola come specchio della società si sono aggravati.
Il fatto è che tutti i Ministri, da sempre, hanno avuto l’ambizione di mettere il loro nome accanto ad una riforma, e l’hanno perciò presentata sempre come se la sola parola avesse in sé il potere magico di risolvere i problemi. Ma ho imparato che è fumo negli occhi. La scuola è un cavallo imbizzarrito e occorre riacchiapparne le redini se non si vuol finire male. Le redini sono le regole di civile e rispettosa convivenza dentro e fuori dall’aula, la certezza che ad ogni azione non conforme ci sia una punizione, che ci sia una giustizia vera immediata, serena ma inflessibile, che è quello di cui i giovani hanno veramente bisogno.
Per qualche anno ho cercato di star fuori da ogni problema che coinvolgesse la scuola. Mi sentivo personalmente ferita. Poi un paio d’anni fa, ho letto un articolo sulla scuola statale e non statale e il virus che era in letargo, ha immediatamente risvegliato il mal di scuola.
Ma come, ancora serve raccontare alla gente che le scuole sono tutte pubbliche, che alcune, poche ormai, troppo poche, non sono gestite dallo stato, che altre sono gestite dai comuni e che la maggior parte è gestita dallo stato. Serve ancora raccontare che le scuole statali sono le più mal messe sia dal punto di vista dell’attrezzatura che della condizione degli edifici. E questo per quei particolari arabeschi burocratici per cui la proprietà degli edifici è di un ente, però la gestione spetta ad altri e l’uso ad altri ancora.
Serve ancora ricordare che le scuole non statali sono le uniche che sono alloggiate in edifici rigorosamente a norma perché per anni gli adeguamenti (impianti elettrici, scale, antincendio ecc.) sono stati usati come armi per costringere le scuole che non potevano sostenerne le spese nei brevi tempi che venivano concessi, alla chiusura. Ho assistito personalmente ad una richiesta così seraficamente formulata: o a settembre l’adeguamento dell’impianto elettrico è fatto, o la scuola non riapre. Preciso che non si trattava di una realtà fatiscente, ma di una struttura molto dignitosa che aveva vent’anni di vita, ben portati. E preciso inoltre che alla fine degli anni novanta, la spesa di trecentomilioni circa che doveva essere sostenuta, avrebbe messo in ginocchio chiunque.
Mentre le scuole non statali, specialmente quelle religiose venivano o chiuse o faticosamente adeguate, le scuole gestite dallo Stato cadevano a pezzi, venivano disastrate e nessuno interveniva: non avevano le caldaie a norma, né alcuno degli impianti richiesti, non avevano nemmeno le attrezzature minime…. Ma stanno ancora lì ad accogliere, si fa per dire, chi non ha i soldi per le scuole non statali. Ed è il trattamento più vergognoso che lo Stato possa riservare ai propri cittadini perché suona più o meno così: O mangi questa minestra o salti dalla finestra.
Adesso pare che il clima sia cambiato, ma temo che si stia per chiudere la stalla quando i buoi sono già ampiamente scappati, perché ormai della gloriosa tradizione delle scuole non statali italiane, sono rimaste le briciole.
Si va dicendo che le scuole non statali costano la decima parte di quanto costano quelle statali. Lo abbiamo detto, ripetuto e scritto per vent’anni.
Ma i ministri non potevano far nulla, erano troppo occupati a cercare di rimanere un po’ più a lungo seduti in poltrona, a cercare di non scontentare nessuno e poi, per anni, quello che dicevano le sinistre era “legge”. E loro dicevano che noi scuole non statali non dovevamo esistere. E quasi ci sono riusciti.
In tanti anni, mi sono fatta alcune idee sulla gestione delle scuole. Il gestore, chiunque sia, deve essere dotato di amplissimi poteri, dallo studio dei programmi ai progetti didattici agli impegni economici; deve poter risolvere tempestivamente le necessità, deve coltivare ed apprezzare il corpo docente, sostenerlo nel suo lavoro, fornirlo di quanto è necessario, vivendo in pieno, come in prima persona, il compito educativo. La riprova è che nella mia esperienza ad esempio, ho sempre notato che le scuole comunali funzionavano meglio di quelle statali. Il “responsabile” era più vicino, aveva modo di controllare quasi direttamente e, tra l’altro, i cittadini sanno che il comune è attento a rispondere alle sue esigenze molto di più di quanto non possa un fantasmatico Stato. Che dovrebbe avere solo problemi di cordinamento, di direttive generali. Come pedagogo e pedagogista, ma anche come semplice amministratore di condominio, per la sua stessa struttura e non per colpa delle persone che vi lavorano a volte in condizioni vergognose, ha dato prove tali da meritare una solenne e definitiva bocciatura.
Anna Lucchiari