Osama bin Laden avrebbe potuto salvarsi grazie a WikiLeaks

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Osama bin Laden avrebbe potuto salvarsi grazie a WikiLeaks

12 Maggio 2011

Facciamo finta che oggi sia il 24 aprile. All’uccisione di Osama bin Laden manca ancora una settimana. Il mondo cristiano sta festeggiando la Pasqua, ma gli attivisti di WikiLeaks lavorano alacremente. Stanno pubblicando sul loro sito la prima parte dei cosiddetti “Guantanamo Files”, una sfilza di 779 documenti segreti con i dossier sui detenuti del celebre campo di prigionia. I documenti intanto arrivano anche ai quotidiani americani ed europei che hanno un filo diretto con l’organizzazione di Julian Assange. Che cosa contengono di tanto importante questi file? Sostanzialmente le informazioni sugli spostamenti effettuati dal leader di al-Qaeda e dal suo numero due egiziano, Ayman al-Zawahiri, all’indomani degli attentati dell’11 settembre 2001. Informazioni che sono il risultato degli interrogatori eseguiti sulle centinaia di detenuti qaidisti incarcerati a Guantanamo.

Arriviamo così al 25 aprile: “WikiLeaks rivela nuovi dettagli su dove si trovavano i leader di al-Qaeda l’11/09”, titola il Washington Post. Nell’articolo veniamo a conoscenza di retroscena coloriti − come per esempio il fatto che bin Laden, mentre il mondo assisteva incredulo al crollo delle Torri Gemelle, albergava in un ospedale, alle prese con una tonsillectomia – e di particolari sulle tappe del lungo girovagare dello sceicco saudita tra l’Afghanistan e il Pakistan. Scorrendo l’articolo sul sito del quotidiano statunitense leggiamo che “ci sono pochi riferimenti geografici nei documenti di bin Laden, dopo la sua fuga in Pakistan. A quanto pare, avrebbe spedito lettere dal suo nascondiglio tramite un corriere di fiducia, il quale le consegnava ad al-Libi”. Chi è al-Libi, il cui nome completo è Abu Farajal al-Libi? È uno dei qaidisti detenuti a Guantanamo. Dagli interrogatori cui è stato sottoposto, e che Wikileaks ha messo in rete, emerge che al-Libi “nel luglio 2003, ricevette una lettera da Maulawi Abd al-Khaliq Jan, corriere di UBL − acronimo per Osama bin Laden in cui bin Laden stesso lo designava quale “messaggero ufficiale tra lui e gli altri in Pakistan”; si viene a sapere anche che al-Libi “si trasferì con la sua famiglia ad Abbottabad, in Pakistan, lavorando tra Abbottabad e Peshawar”.

Ricordiamoci che siamo al 25 aprile, bin Laden è ancora vivo e vegeto e la parola “Abbottabad” ancora non ci dice niente. Almeno a noi comuni e sprovveduti utenti della rete, che al massimo abbiamo i mezzi per interrogarci sull’opportunità o meno di rendere note certe informazioni. Ma siamo sicuri che sia così anche per le due forze contrapposte in campo, la Cia e il Pentagono da un lato, al-Qaeda dall’altro? Siamo ora al 2, al 3, al 4 maggio: il Presidente degli Usa Barack Obama ha già annunciato al mondo intero che “we got him!” e stanno venendo a galla i retroscena sulla decisione di uccidere bin Laden. Si scopre che i servizi d’intelligence americani avevano ricevuto informazioni sul presunto rifugio ad Abbottabad già nell’agosto 2010, ma che la prudenza e la necessità di acquisire dati certi aveva sconsigliato mosse azzardate. Indicazioni più dettagliate la Cia inizia a riceverle a partire dallo scorso aprile, fino a che Obama dà il suo imprimatur decisivo al via dell’operazione.

Che giorno? Il 28 aprile, cioè quattro giorni dopo la pubblicazione dei “Guantanamo Files” da parte di WikiLeaks. Ora, lungi da noi collegare in maniera meccanicista questi due fatti: è certo che l’idea di compiere il passo conclusivo nel lungo inseguimento al re del terrore ha avuto una lunga gestazione, caratterizzata da accelerazioni e successivi ripensamenti; così come è più che plausibile che l’ok al blitz sarebbe stato dato cum o sine la divulgazione dei dossier segreti da parte degli “Assange’s boys”. Eppure lo scenario di un’accelerazione nell’operazione bin Laden dovuta alle rivelazioni di WikiLeaks ha solleticato la mente di molti quotidiani.

Facciamo un esempio: Neil Sears, del quotidiano britannico Daily Mail, il 3 maggio ha firmato un articolo dal titolo “Le ultime rivelazioni di Wikileaks hanno forzato l’uccisione di bin Laden?”, in cui appunto il giornalista illustra la tesi che collegherebbe i due fatti. Ancora più incisivo è l’articolo comparso il 9 maggio sulle colonne dello stesso Washington Post, a firma di Marc A. Thiessen. L’ex capo degli speechwriter di Bush jr focalizza la sua analisi sul paragone tra quanti negano che la Cia abbia avuto un ruolo decisivo nell’uccisione di bin Laden e i birthers, cioè coloro che hanno messo in dubbio la piena “americanità” del Presidente Obama. Thiessen fa notare che la testimonianza più schiacciante del peso specifico dell’intelligence americana arriva proprio dalla fonte che più di tutte dà adito a dietrologie: WikiLeaks. “Dubito che Julian Assange abbia avuto l’intenzione di fornire prove ulteriori dell’efficacia degli interrogatori della Cia – afferma l’autore – ma è precisamente questo che i “Guantanamo Files” fanno”, e prende come esempio il caso di al-Libi.

“È un miracolo che i leader di al-Qaeda non abbiano letto questo documento classificato prima che bin Laden venisse ucciso – prosegue Thiessen – Se lo avessero fatto, sarebbero stati avvertiti del fatto che la Cia era sulle tracce del corriere di bin Laden e avrebbero collegato tra loro bin Laden, il corriere e Abbotabad, cosa che avrebbe potuto bruciare l’operazione”. L’articolo si chiude con il già citato paragone con i birthers: dopo che il Presidente americano ha mostrato il suo certificato di nascita, anche chi esprimeva dubbi “ora accetta il fatto che Obama è nato negli Usa. Quando i “negazionisti” della Cia accetteranno finalmente l’evidente efficacia degli interrogatori dell’agenzia?”

L’articolo di Thiessen, ovviamente, va trattato con le dovute precauzioni. Il suo passato da consulente di Bush jr, infatti, non lo qualifica come osservatore totalmente neutrale quando si parla di Cia e al-Qaeda: basta ricordare le critiche che una parte dell’opinione pubblica americana rivolse all’agenzia di intelligence dopo l’attentato alle Torri Gemelle, che inevitabilmente si riversarono sulla presidenza di Bush. Certamente, però, le sue considerazioni portano a interrogarci su un fatto: l’exploit di WikiLeaks, che con il suo metodo rivoluzionario e mai privo di conseguenze ha segnato inesorabilmente il mondo dell’informazione, ha creato una bolla onnicomprensiva dentro cui qualsiasi evento di rilevanza internazionale rischia di venire immancabilmente inserito. L’ombra di Assange e dei suoi adepti sembra ormai stagliarsi dietro ogni dibattito pubblico, non solo nel comune sentire ma anche a livello di analisti di professione. Pensare che le decisioni dei potenti della Terra vivono di precarietà, sempre allertate da qualche potenziale rivelazione di WikiLeaks, è abbastanza inquietante, nel momento in cui è in ballo la vita delle persone. D’altronde, sarebbe ipocrita nasconderne l’indiscusso fascino: l’immagine di un Obama che, sbattendo i pugni sul tavolo, esclama “Prendiamo bin Laden, prima che WikiLeaks ci faccia saltare tutto!”, potrebbe essere un buono spunto per la Bigelow e per il suo prossimo film su bin Laden.