Otto e mezzo, l’ora della siesta

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Otto e mezzo, l’ora della siesta

Otto e mezzo, l’ora della siesta

29 Giugno 2007

Fino al prossimo autunno non vedremo più, su
La7
, Giuliano Ferrara e  Ritanna Armeni condurre 8 e 1/2 e, a
dir la verità, non ci mettiamo a lutto. I due, infatti, negli ultimi tempi,
hanno commesso il più grande peccato che sia concepibile contro lo spirito
dello spettacolo: la noia. Ci siamo chiesti: ma perché le rubriche televisive
dei Floris e dei Santoro, che danno prova, spesso e volentieri, di una
insopportabile faziosità ideologica, lasciano il segno e, semmai, attivano
rabbia e proteste ma non sbadigli? Una possibile spiegazione potrebbe trovarsi
nel modo di intendere e di praticare la regola delle due campane tanto cara
alla strana coppia. Non vorremmo essere fraintesi. In una società pluralista e
conflittuale come la nostra, dove su ogni problema grande e piccolo della vita
nazionale, si è portati a chiedersi quid est veritas? non si può far nulla
di meglio che porre gli spettatori dinanzi alle due versioni e alle due
interpretazioni diverse, di destra e di sinistra, dello stesso fatto. Informare
significa illustrare i diversi pareri e poi lasciare alla gente comune – che
non dimentichiamolo, in una democrazia, è la titolare ufficiale della sovranità
– di trarne le conseguenze.

 Sennonché i due conduttori sembrano aver
dimenticato un corollario essenziale della regola: l’effettiva competenza delle
‘due campane’, dove, per competenza, s’intende, soprattutto, quella dell’”osservatore
professionale” (accademico o pubblicista che sia) tenuto, nello studio delle
dinamiche sociali, politiche e culturali, ad attenersi alla weberiana  imparzialità (Wertfreiheit) ovvero a
un’analisi, quanto più possibile distaccata, “de li vizi umani e del valore”.
Va da sé che si tratta di ideale irraggiungibile giacché, essendo fatti gli
uomini di carne, ossa e passioni, nessuno riuscirà mai ad essere del tutto
‘obiettivo’. Un conto, però, è averne realistica consapevolezza, un conto ben
diverso è prendere atto di questo limite quasi con compiacimento, vedervi un
energetico dell’anima e abbandonarsi, senza ritegno, a diagnosi indistinguibili
dalla propaganda. Lo ‘scienziato sociale’ è chi sa di essere fallibile ma sa
pure che la ‘verità’ come accordo intersoggettivo e mai definitivo è
perseguibile e che le frontiere della conoscenza possono venir spostate sempre
più in là.

 Quando si affrontano due differenti
‘competenze’, nell’accezione ‘scientifica’ del termine, si richiede,
innanzitutto, il bon ton: esso testimonia, infatti, una sorta di
obbligatorio ‘dubbio metodico’ – solo i dogmatici di qualsiasi fede hanno
tetragone certezze – e, inoltre, un rispetto profondo dell’interlocutore che,
in teoria, “potrebbe avere ragione”.

 Completamente diverso è il caso del confronto non
tra due studiosi ma tra due politici (e tali sono anche i direttori dei
giornali e delle riviste di partito, i difensori della vita costi-quel-che-costi
e i denunciatori delle atrocità garibaldine, che ormai a 8 e ½
prevalgono sugli esperti): anche qui, sul modello intramontabile della tribuna
politica
, si può servire la pietanza delle due campane ma il condimento del
bon ton diventa, o meglio è diventato, a dir poco, ridicolo. I politici
non sono arbitri    o
commentatori sportivi ma giocatori in campo: in una trasmissione televisiva
vogliono sedurre le gradinate e mettere in cattiva luce gli avversari, cogliendoli
in castagna, mostrandone l’ignoranza e il pressappochismo. E’ il loro mestiere
e, nelle rubriche faziose summenzionate, lo fanno assai bene con prevedibili e
positive ricadute– è superfluo farlo rilevare–in termini di ‘spettacolarità’
e di partecipazione emotiva dei telespettatori.

 Il peccato di Ferrara può venir riassunto
nella pretesa di far indossare lo smoking ai gladiatori: i
battibecchi debbono essere contenuti, i tempi a disposizione rispettati, le
risposte puntuali e cortesi. Tutto questo, semmai, potrebbe anche reggere se ci
trovassimo di fronte al personale politico della Prima Repubblica che, con
tutti i suoi difetti, “aveva fatto studi  regolari”, come ebbe a dire a Giacomo Mancini,
riferendosi ai quadri intermedi dello scudo crociato, un ‘compagno’che aveva
assistito a un Consiglio nazionale democristiano. Ma mettere attorno a uno
stesso tavolo leghisti della Val Clavicola e residuati bellici del ’68  a chi può interessare? Spesso a sentire  tante mediocrità che si punzecchiano ma non
assestano nessun colpo maestro, viene in mente l’espressione di sconforto dello
spettatore di un incontro di boxe che vedeva i due pugili saltellarsi attorno
senza mai colpirsi: “non dico che vi dovete massacrare di botte, ma almeno
sputatevi in faccia!”.

 Certo non è facile improvvisare temi intriguing
tutte le sere: ma allora perché non fare come tutti gli altri, riservando ad
8 e 1/2 un solo giorno della settimana, preparato con cura nei rimanenti
cinque? Ferrara dovrebbe scegliere: le due campane vanno bene, anzi
benissimo, ma se debbono essere quelle dei lottatori si guardi bene
dall’ingessarli e punti,invece, alla spettacolarità di una competizione in cui
potrebbe risultare vincitore sul toro scatenato chi sa maneggiare, con grande
eleganza, la muleta; se   mira, invece, alla qualità, all’informazione
seria e documentata, inviti studiosi (di destra e di sinistra) di riconosciuto
valore e confezioni programmi destinati a un pubblico selezionato e desideroso
di istruirsi. Magari con esperti italiani ed europei che si è abituati a
leggere sulle pagine di ‘Repubblica’ , del ‘Corriere della Sera’ e di altre
grandi testate giornalistiche italiane e straniere.

 Così com’è, 8 e ½ non è né carne né pesce e a
volte, anzi,  dà la sensazione (penosa)
di servire solo alla rimpatriata di vecchie conoscenze che ai ventenni e ai
trentenni non dicono nulla e che agli anziani ricordano stagioni della storia
nazionale tanto sterili quanto velleitarie, stagioni da dimenticare e che sono
servite solo a “dare potere ai giovani”, nel senso di portare ai vertici del
giornalismo, della politica, della finanza, delle università tanti contestatori
enragés d’antan.

 Forse, per Ferrara ,la decisione più saggia sarebbe
quella di tornare al giornalismo. I suoi editoriali di politica estera sul
‘Foglio’ sono sempre acuti, realistici, intelligenti e quelli di politica
interna  spesso colgono nel segno. E’ pur
vero che talora, quando si cimenta con problematiche di filosofia morale e di
bioetica, fa pensare al concorrente della ‘Corrida’ che canta ‘Ridi
pagliaccio’,accompagnato dall’orchestra del M° Pregadio e dalla bonaria ironia
di Gerri Scotti, ma, come Billy Wilder fa dire al magnate invaghito di Jack
Lemmon, nel finale di A qualcuno piace caldo, “nessuno è perfetto!”.