Ottobristi di ieri e di oggi: dalla tragedia alla farsa
31 Ottobre 2010
La storia, è una legge non scritta ma ricca di conferme, mostra se stessa nel corso del tempo due volte. La prima volta si presenta in una forma tragica; la seconda in una forma comica. Prendiamo l’ottobre degli intellettuali. Nel 1917 gli “ottobristi” in Russia montarono sulle barricate della Rivoluzione, con la bomba in una mano e la browning nell’altra, come invocava il poeta Vladimir Majakovskij. Lo stesso che invitava a innestare la baionetta sulla macchina da scrivere. Che si trattasse di una tragedia, calati rapidamente gli entusiasmi, fu lo stesso Majakovskij a sperimentarlo di persona. Lenin definì senza mezzi termini la sua poesia «comunismo da teppisti» e alla fine Majakovskij cedette, non reggendo la pressione del potere comunista, suicidandosi. Di sangue ne stava scorrendo, e ne sarebbe ancora scorso, nel mare tempestoso del comunismo.
Sin qui è la tragedia. Ma veniamo alla farsa. Ottobre 2010, Teatro Franco Parenti, Milano. Viene presentato ufficialmente il Manifesto d’ottobre, «per una rinascita della res pubblica e per un nuovo impegno culturale». Nel grigiore della politica cultura italiana calano gli “ottobristi” nostrani, un gruppo davvero singolare ed eterogeneo, a sbirciare l’elenco degli aderenti al Manifesto, dalla grecista Monica Centanni al verde Fiorello Cortiana, dal destrorso Peppe Nanni al sinistrorso Giulio Giorello. E poi intellettuali di varie scuole: vecchie e nuove, di sinistra di destra di centro di centro-destra di centro-sinistra. Liberali, liberisti, libertari, liberatori: ci sono tutti. E vecchi fascisti e vecchi comunisti. Poi c’è una buona rappresentanza di politici appartenenti a Futuro e Libertà, guidati da Benedetto Della Vedova e assistiti culturalmente dall’ideologo del finismo post-berlusconiano Alessandro Campi.
Gli “ottobristi” negano questo legame: ma è chiaro che non ci crede nessuno, neppure loro. Insomma, sono i Futuristi nati nel centenario del Futurismo vero, quello di Marinetti, e devono assolvere innanzitutto ad una funzione: colmare intellettualmente il vuoto politico e culturale di Gianfranco Fini. Scriveva qualche giorno fa Marcello Veneziani che il movimento di Fini «è un recipiente vuoto e trasparente che ciascuno riempie come vuole. E può dunque diventare un punto di raccolta indifferenziata, una buca delle lettere o un cassonetto, se preferite, di notevole capienza. Fini può raccogliere tutti coloro i quali sono rimasti delusi per aspettative personali, carriere frustrate, dissensi politici, perfino divergenze ideali e filosofiche, perché è un medium freddo, inodore, insapore».
Gli intellettuali chiamati a raccolta per tenere a battesimo la nuova carta culturale del movimento futurista, quale partito pensano possa uscire dallo strappo di Fini? Uno nuovo di centro-destra, o uno di nuova sinistra? Per il momento si dichiarano al di là delle «vecchie contrapposizioni destra e sinistra». Come dire: aria fritta. E dove stanno andando? La direzione appare incerta anche a loro. Intanto firmiamo, poi si vedrà. A stare alle cronache riguardanti la calorosa accoglienza riservata degli “ottobristi” del Franco Parenti a Fabio Granata, c’è da scommettere sull’indipendenza del nuovo gruppo di pensiero. Azzardiamo una previsione facile facile: seguirà la stella polare dell’anti-berlusconismo. E la benedizione congiunta del Fatto travagliano, del Secolo e di Europa, è equiparabile alle certificazioni del RIS.
Insomma nell’ennesima pattuglia di arcieri messa in piedi per ricostruire l’Italia dalle macerie morali e culturali di Berlusconi, c’è di tutto: Luca Ronconi, Giacomo Marramo, Gino Agnese, Maurizio Calvesi, Arnaldo Colasanti, Massimo Donà, Sergio Escobar, Franco Cardini, Nadia Fusini. E vecchie volpi della politica di sinistra quali Linda Lanzillotta, Beppe Giulietti, Ermete Realacci. Anche l’ex maoista oggi direttore della Mostra di Venezia Marco Müller ha aderito alla nuova rifondazione della cultura nazionale. E già. Gli “ottobristi” non scherzano mica. Scrivono: «politica e cultura crescono insieme o insieme declinano. Senza cielo politico non c’è cultura, ma soltanto erudizione e retorica: un rinnovato impegno politico e intellettuale si offre oggi come occasione di rinascita civile, come segno di responsabilità che coinvolge tutti i cittadini e in prima persona chi lavora con il pensiero e l’invenzione, con l’intelligenza e la fantasia, per stabilire la stretta relazione tra Potere e Sapere che dà virtù all’etica pubblica». Ohibò!
Ma c’è dell’altro. Occorre promuovere una fase costituente, sottoscrivere un nuovo patto fondativo: costituzionale in un senso non solo giuridico, politico in senso non solo istituzionale. Occorre ritrovare il filo di un grande racconto, di una narrazione più vera e più nobile della cultura e della storia repubblicana contro il degradante clichè di una italietta furba e inconcludente». Il nonno dei Futuristi d’oggi, Marinetti, assieme al Divino Gabriele d’Annunzio, menò mazzate terribili sull’italietta giolittiana, composta da borghesucci flaccidi, senza spina dorsale, corrotti e corruttori. Ci risiamo: ancora con l’italietta, stavolta berlusconiana. Gira rapido il ventilatore degli ottobristi, agitando parole, parole e parole. Patriottismo repubblicano, cura del bene comune, difesa del paesaggio italiano, consapevolezza collettiva del patrimonio materiale e immateriale. E Hannah Arendt, Piero Calamandrei, Niccolò Machiavelli. «Non c’è politica senza un pensiero che anticipi e accompagni l’azione trasformatrice». Basta! Ci hanno convinto gli ottobristi. Tutto, anche le virgole, sono sottoscrivibili del Manifesto. È come nel sostegno ai progetti del WWF: salviamo l’oso marsicano. Perché non salvarlo, povera bestia. Una firma e via. O la giornata dell’aria pulita, delle strade pulite, della politica pulita. Tutto condivisibile.
Ma gli “ottobristi”, cinghia di trasmissione del verbo Futurista (del Futurismo comico di oggi, non di quello tragico di ieri) danno per scontato un fatto storico e politico: il berlusconismo è finito. Si apre quindi una nuova stagione di necessarie ricollocazioni, alleanze, schieramenti, posizionamenti. Il berlusconismo è stato il frutto di una degenerazione morale che ha colpito una parte del popolo italiano, da rieducare culturalmente. E i nuovi educatori sono già pronti. Fra i firmatari “ottobristi” mancano tre specie: i cattolici, ormai esiziali (ma un Rocco Buttiglione, un Bruno Tabacci, un Marco Follini possono sempre arrivare); gli industriali; i comici televisivi. Le ultime due specie se gli ottobristi avranno fortuna arriveranno senza ombra di dubbio, a frotte, calpestandosi per firmare. Dal 1994 si è assistito ad un fiorire di iniziative di ogni fattura politico-intellettuale, che spesso hanno scambiato la loro fantasia per la realtà. E tutte hanno dato per scontato la fine di Berlusconi e del berlusconismo. Bisogna far presto però. Il mal di pancia potrebbe colpire molti “ottobristi”, delusi dall’ennesima delusione e in cerca di una nuova nella quale avvoltolarsi.