Pacificazione nazionale e modernizzazione, questo è avere consapevolezza delle Riforme

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Pacificazione nazionale e modernizzazione, questo è avere consapevolezza delle Riforme

06 Maggio 2013

Cari amici,

vorrei ringraziare tutti voi presenti, e qui mi fermo con i ringraziamenti perché le persone alle quali la nostra Fondazione deve gratitudine sono talmente tante che rischierei di dimenticare qualcuno. Ciascuna di loro sa la nostra riconoscenza. La lettura annuale di Magna Carta è un po’ come l’inaugurazione dell’anno accademico. E, come da usanza, si svolge non all’inizio ma a metà dell’anno. E’ noto che gli accademici se la prendono comoda!

La lettura di quest’anno ha un’importanza particolare. In primo luogo perché festeggiamo il decennale di Magna Carta, e per realtà di questo tipo dieci anni è la misura del tempo nel quale si esce dalla dimensione dell’effimero e si inizia a conquistare quella durata da cui la cultura politica di qualità non può prescindere. Il secondo motivo è che la lectio magistralis è affidata a Sua Eminenza Camillo Ruini.

Credo di interpretare un sentimento comune dicendo che tra tutte le figure intellettuali che hanno alimentato la riflessione e le iniziative di Magna Carta il cardinale Ruini sia stata in questi dieci anni la più presente e la più importante. Per questo, la Fondazione non poteva festeggiare in modo migliore il suo compleanno. E non è un caso che l’intervento di Sua Eminenza riguarderà il rapporto tra fede e spazio pubblico, tema che ha segnato l’esperienza biografica di molti di noi qui presenti.

Per chi introduce questa giornata è impossibile sottrarsi al compito di riassumere in pochi minuti il tratto di strada fin qui percorso. Magna Carta nacque dieci anni fa con l’idea di contribuire alla stabilizzazione del centrodestra e alla modernizzazione del nostro sistema politico. Era fondamentale, allora ancor più di oggi, sconfiggere l’egemonismo culturale della sinistra: la pretesa di detenere in esclusiva un pensiero e la dignità di esprimerlo, a fronte di una controparte di analfabeti politici. Era altrettanto necessario fissare una divisione di compiti, nella consapevolezza che i tempi sempre più serrati del confronto pubblico e delle decisioni necessitano di luoghi nei quali le idee e le proposte possano affinarsi prima di essere immesse sul mercato della politica e affidate a quanti sono investiti di responsabilità in prima persona.

Rileggendo la storia di questi dieci anni – e ora c’è un libro che ci consente di farlo, scritto con distacco scientifico dalla dottoressa Margherita Movarelli che ha potuto anche approfittare di conoscere la realtà dall’interno -, ci si rende conto che si sarebbe potuto fare di più e meglio. Si comprende anche, però, che tanto è stato fatto, e che giungere a questo decennale non era affatto scontato.

Alcune iniziative della fondazione, infatti, hanno sedimentato un pensiero e iniziano a trasformarsi in una tradizione: circostanza da non sottovalutare per chi crede che il cambiamento, la crescita, derivi innanzi tutto dalla capacità di conservare le cose buone. Così, oltre alla lettura annuale che oggi arriva alla sua decima edizione, e che negli anni ha ospitato protagonisti assoluti della contemporaneità come il presidente Fedele Confalonieri che ringrazio, dobbiamo ricordare il tavolo transatlantico sui rapporti tra Italia e Stati Uniti.

Un’idea che muove dalla considerazione del fatto che la nostra presenza nel mondo occidentale e il nostro rapporto con il Paese che di questo mondo resta la struttura portante, non è circostanza che muta con il cambiamento della carta geopolitica. E ancor meno con il modificarsi del nome del presidente americano o del colore di una maggioranza. Tale riflessione si ricollega a quel cambiamento di paradigma che ha inaugurato il terzo millennio e che per un momento ha fatto ritenere anche ad alcuni intellettuali cosiddetti “di destra” che il futuro dovesse obbligatoriamente derivare da radici differenti da quelle che hanno fondato la nostra storia occidentale o che, addirittura, potesse fare a meno di avere radici.

E’ contro questa convinzione diffusa  che sono nati nel 2005 gli Incontri di Norcia: giornate di dialogo tra credenti e non credenti di fronte alle sfide del nuovo secolo, con la consapevolezza che il patrimonio storico-culturale del cristianesimo nel mondo di oggi possa essere bussola in grado di guidare anche chi non ha fede, senza per questo trasformarsi in religione civile.

Rientra nell’ambito delle iniziative tradizionali l’esperienza della Summer School, che ogni estate abbiamo tenuto a Frascati a partire dal 2006 e che per alcuni anni abbiamo organizzato assieme a Italia Protagonista dell’amico Maurizio Gasparri. Da quell’iniziativa sono scaturiti tanti altri momenti formativi, di cui sono state protagoniste le strutture territoriali di Magna Carta. Oggi possiamo dire, anche grazie a questo contributo, che c’è più formazione politica nel centrodestra che nello schieramento avverso. E questa formazione nasce dall’idea che la cultura politica è parte essenziale del bagaglio di chiunque aspiri ad essere classe dirigente e a offrire qualcosa al proprio Paese, indipendentemente dal percorso professionale o dalla carriera che intraprenderà.

La Fondazione, grazie a queste iniziative, ha conquistato una credibilità e un posto stabile nelle istituzioni che riuniscono a livello europeo i think tank del centrodestra e della galassia popolare. Tutto ciò è stato possibile grazie al lavoro dei pochi che vi hanno operato ricevendo una retribuzione inferiore a quella che avrebbero meritato, e all’entusiasmo dei tanti che hanno apportato volontariamente il loro contributo.

Mi sia qui consentito un cenno alla situazione finanziaria della Fondazione. Magna Carta ha vissuto grazie ai contributi volontari di alcuni imprenditori che hanno ritenuto, in modo illuminato, che una realtà di questo tipo potesse migliorare anche solo un po’ la qualità della proposta politica in Italia. Non tutti quelli che ci hanno finanziato condividono le nostre idee, e questo va ancor più a loro merito. I contributi statali dei quali abbiamo usufruito sono una parte infinitesimale del nostro bilancio. Sostanzialmente non vi sono contribuzioni dirette da parte del partito e delle sue strutture, come è normale che sia; mentre – cosa altrettanto fisiologica – in più occasioni i gruppi parlamentari si sono avvalsi dell’opera di approfondimento e di studio della Fondazione.

Così come è fisiologica, anche se non ordinaria e nemmeno agevole, la nostra scelta di trasparenza. L’elenco dei fondatori e degli aderenti è consultabile online, e anche i bilanci di Magna Carta sono a disposizione. Se li si confronta con quelli delle fondazioni americane o tedesche, ci si accorge che si tratta di cifre risibili e si resta impressionati per quanta mole di lavoro si è stati in grado di svolgere con risorse così limitate. A merito della Fondazione va l’essere riuscita a non soccombere di fronte alle ristrettezze imposte dalla crisi economica e, di conseguenza, dalle crescenti difficoltà a ricercare contribuzioni liberali. Anche perché in altri Paesi chi partecipa economicamente a iniziative come la nostra è ritenuto un mecenate o un benefattore. In Italia non solo paga ma corre anche il rischio di uno sgradevole articolo scandalistico sui costi della politica!

Non voglio enfatizzare, ma in questi dieci anni è stato svolto tanto lavoro e un lavoro importante. Un lavoro che ha contribuito a dare sostanza culturale, teorica e ideale a quel liberalismo spontaneo che esiste in Italia e che ha impedito a un momento di crisi e di difficoltà del centrodestra di cagionarne la dispersione o addirittura la morte. Credo che se le sorti di questa parte politica in pochi mesi si sono ribaltate, lo si deve certamente e innanzi tutto alla forza di una leadership capace di grande empatia con il Paese, ma anche da una serie di fattori sottovalutati dai nostri avversari e da quanti troppo presto ci hanno dato per spacciati. Tra questi fattori c’è anche un lavoro politico-culturale che è stato svolto non solo da Magna Carta ma anche da Magna Carta.

Oggi abbiamo davanti a noi una grande occasione. Il Paese vive una grave emergenza determinata da una crisi internazionale profondissima e da alcune cause strutturali che affondano le radici in un tempo persino precedente alla Seconda Repubblica. Invano si è cercato di gettare sulle sole spalle del centrodestra le ragioni della crisi. Oggi possiamo e vogliamo contribuire a salvare il Paese, e facendo questo conquistare lo spazio di agibilità politica per un’opera di autentica pacificazione e modernizzazione.

Non c’è dubbio che in questo contesto le riforme che l’Italia attende da trent’anni diventano un imperativo categorico. Magna Carta è nata anche dalla consapevolezza di tale necessità, e su questa traccia ha tanto lavorato. Al punto che l’incarico che mi è stato conferito credo possa essere inteso come un riconoscimento indiretto del lavoro che insieme abbiamo portato avanti. E di questo vi ringrazio tutti di cuore.

Se le riforme andranno avanti, se ai cittadini sarà data la possibilità di verificare che questa volta saranno i fatti a parlare, ciò impedirà che l’attuale esperimento di governo, nel quale per la prima volta dal ’47 centrodestra e centrosinistra condividono la medesima responsabilità nei confronti del Paese, possa portare a smontare gli attuali schieramenti per dar vita a una soluzione neocentrista. Come nell’ottobre di due anni fa ebbe a dire con assoluta chiarezza il cardinale Ruini, il bipolarismo è una conquista che non va messa in discussione. Va piuttosto consolidata, dando consistenza e chiarezza ideale alle due parti; costruendo una coesione non occasionale tra le diverse formazioni che si riconoscono nell’orizzonte del popolarismo; e infine creando un ponte stabile tra il popolo e quanti si avvicinano alla politica con un approccio più di tipo culturale, per evitare che anche nel centrodestra nascano i salotti buoni degli ottimati, degli azionisti, sempre pronti a rivendicare la loro superiorità morale. A tutto ciò Magna Carta può servire. E se fosse in grado di dare anche solo un piccolo contributo, assieme ad altre associazioni e realtà che si pongono gli stessi obiettivi, sarebbe già tanto.

Mi avvio a concludere, ma credo ci sia un altro ambito che meriti di essere menzionato e nel quale la Fondazione si dovrà muovere con più forza e originalità. Si tratta dell’ambito europeo. Perché lì è la radice della crisi, e le grandi crisi nella storia hanno sempre messo in discussione le grandi famiglie politiche. Questa volta è toccato alla famiglia popolare europea, che deve riscoprire le proprie ispirazioni ideali e declinarle a fronte delle sfide del nuovo secolo, se non vuole ridursi a un mero simulacro nel quale, senza alcuna dimensione solidale, si agitano egoismi e rivendicazioni nazionali. Della realtà europea e in particolare del popolarismo la crisi economica, impietosa cartina di tornasole, ha svelato tutti i limiti e le inadeguatezze. Per ricostruire questo tessuto connettivo strumenti come i think tank, per la loro duttilità, possono essere utili non meno dei partiti. Anche su questo terreno, dunque, Magna Carta dovrà fare la sua parte. Se i soldi sono pochi, le idee e le ambizioni sono tante.

*Indirizzo di Saluto del Senatore Gaetano Quagliariello, Presidente Onorario Fondazione Magna Carta, in occasione della Lettura Annuale 2013, nel decennale della Fondazione