Padoan (e l’Ecofin) ce la vuole raccontare: “Noi garanzia di crescita”. Ma siamo i penultimi in Europa
23 Gennaio 2018
di Carlo Mascio
Padoan non ha perso tempo. Dopo l’annuncio dato da Renzi sulla sua candidatura nel collegio di Siena, per il Pd ovviamente, il ministro dell’Economia ha approfittato dell’Ecofin per iniziare la sua campagna elettorale. “I miei colleghi sono al corrente che è previsto uno scenario d’incertezza” nelle elezioni italiane e “siccome associano questo al fatto che in quattro anni di stabilità l’Italia ha fatto tanto, c’è preoccupazione che ci possa essere una interruzione verso la stabilità e la crescita”.
Sarà, ma non è chiaro cosa intenda Padoan (e l’Ecofin) per stabilità e crescita. Stando ai dati europei, infatti, l’Italia è penultima in termini di crescita, staccata di poco dal Belgio. Anche se questo è bastato a Gentiloni per esultare: “Non siamo più il fanalino di coda dell’Ue”. Inoltre, come abbiamo detto altre volte, è vero che segnali di ripresa ci sono in Italia, ma non sono certo frutto delle politiche economiche dei governi Renzi e Gentiloni. Se, infatti, l’unica misura di cui si vanta il segretario Dem è la famosa mancia da 80 euro, un motivo ci sarà. Mance e bonus, da soli non fanno una politica economica. A maggior ragione se questi vengono rispolverati, come è accaduto anche per gli aumenti ai dipendenti statali, sempre prima di consultazioni elettorali.
Così come non è chiaro come mai l’Ecofin e anche i vertici europei (Moscovici su tutti) abbiano frettolosamente archiviato le bordate e le letterine inviate al governo italiano per i conti pubblici, non proprio in ordine, dicendosi ora, al contrario, preoccupati per un eventuale cambio di governo. Ricordiamo tutti, infatti, gli ultimatum bruxellesi, della serie: o correggete i conti o si apre una procedura di infrazione. E ricordiamo tutti che Padoan, al netto di alcuni sterili tentativi di fare muro, alla fine ha ceduto varando la famosa manovra correttiva da 3,4 miliardi di euro, per di più dovuta all’aumento esorbitante del debito pubblico durante il governo Renzi (quasi 135 miliardi di euro).
Insomma, se è vero, come direbbero “i colleghi dell’Ecofin”, che i governi Renzi e Gentiloni si sono contraddistinti per stabilità e crescita, forse non ce ne siamo accorti. Di sicuro sappiamo che il debito è aumentato, la spending review si è andata a far benedire e le riforme non sono mai partite. L’unica riforma andata in porto, il Jobs Act, ha incentivato la precarizzazione del lavoro. Se questa è la continuità evocata da Bruxelles, allora c’è poco da star tranquilli.