Padre Pio, la santità che genera cultura

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Padre Pio, la santità che genera cultura

01 Dicembre 2007

L’approccio alla figura di Padre Pio è spesso viziato da un pregiudizio che definirei ideologico, totalmente legato ad una serie di problemi che questa figura di santo produce ed alle molteplici visioni e idee che su esso si esercitano, in uno scontro dialettico e schematico, una logomachia. In questa direzione vanno tutte quelle interpretazioni che leggono Padre Pio ora come santo medievale anti-moderno e reazionario, ora come oppositore serrato, con la propria testimonianza di vita, alla deriva progressista del Concilio Vaticano II. Entrambe le strade sono scorciatoie dialettiche e retoriche che non conducono da nessuna parte. Strade legittime, anche teologicamente sensate e raffinate, cito ad esempio la recente intervista di Mons. Caffarra sul “Corriere della Sera”, in cui l’Arcivescovo di Bologna battezza per così dire Padre Pio come santo modernissimo, anzi il più aperto alla modernità. Tutto vero, ma sempre in un’ottica dialettica e reattiva rispetto alla tesi contraria quando non opposta, che svaluta o addirittura bolla il santo come frate del Medioevo (come se il Medioevo fosse un’età oscura e priva di lumi eterni e storici, che hanno poi prodotto la modernità); dunque, su questo terreno non viene generato alcunché di significativo.

La tesi che vorrei proporre è radicalmente diversa da queste interpretazioni e più o meno suona così: il metodo che inserisce Padre Pio in una permanente dialettica pro o contro la modernità, cioè, in termini ecclesiali, il Vaticano II, è centrato soltanto sui problemi e su una certa lettura della storia fondata su questi ultimi; ma il percorso umano della civiltà non si basa sui problemi ai quali offrire un sicuro rimedio, anche, ma non essenzialmente su ciò. La civiltà umana, la nostra civiltà in particolare, si fonda sulla capacità di generare significati. La cultura stessa è la capacità di generare significati universali. Di generarli anche nel senso di riconoscerli come dati e poi trasmetterli in modo creativo ed efficace: a tutti. Ecco, allora, che, su questo versante dei significati e della civiltà, incrociamo la tesi importante di Giovanni Paolo II, secondo la quale la santità genera cultura. La santità è un laboratorio permanente di cultura. Perché il santo è l’uomo vero. E i santi medievali avevano infatti tratti di umanità addirittura soverchiante, pensiamo a San Francesco, ma ogni santo è così, un uomo vero e di conseguenza un generatore di significati universali. Il filosofo francese Jean Guitton interpretò proprio così, in un magistrale saggio, Teresa di Lisieux, santa modernissima, capace di affascinare autori inquieti e postmoderni, fra i quali lo scrittore Antonio Moresco, che ha dedicato a questa singolare santa un’opera teatrale, e cavò da essa il profilo del metodo cattolico, cioè universale di leggere e vivere la realtà umana e storica.

Per Padre Pio, il significato è legato all’essenza del cristianesimo e del cattolicesimo in specie: l’Incarnazione. Il Sangue di Cristo e la Realtà del Mistero del dio di Gesù Cristo. Questo dato, che è prima di tutto un evento, cioè un fatto, appassionante e sconvolgente come il sacrificio all’apparenza inutile del Salvatore degli uomini e delle donne in carne ed ossa, è sì esaltato nel frate cappuccino e certamente si colloca in una scia spirituale e mistica non gradita al cattolicesimo clericale ed agli intellettuali della Chiesa cosiddetta “moderna”, ma questo non spiega niente e soprattutto non permette di cogliere il significato decisivo dell’esperienza del santo. Padre Pio non combatteva una battaglia contro la gerarchia, che certamente né lo capiva né tantomeno lo apprezzava, ma esperiva un Mistero che ha squassato l’intero pensiero occidentale moderno e direi anche postmoderno da cima a fondo. Qualche nome per documentare questo aspetto. Un laicone di razza come il filosofo empirista Luigi Preti scrisse in un saggio pubblicato postumo dedicato all’Incarnazione, in cui si dibatte tra l’immanentismo che non può credere, ma soprattutto coagula attorno a questo Mistero ogni dramma e inquietudine della modernità, anche storpiando la lingua teologica che certamente non afferra e non conosce. Luigi Pareyson è il pensatore del dramma della modernità di fronte alla fede e l’aspetto dostoevskiano del male assorbe la sua produzione, in una sequela di significati che riaprono esperienze mistiche analoghe a quelle di Padre Pio. Lo stesso Sergio Quinzio, che attraversa il Mysterium Iniquitatis nei suoi ultimi anni e con un peso specifico inedito, con un tocco generatore di nuovi significati. In Francia, da Merleau-Ponty, ateo, a Jean-Luc Nancy, impegnato in una decostruzione del cristianesimo…biblioteche e germinazioni esperienziali tutte dotate di un tratto generativo, cioè volte a ricadere sul terreno dei significati universali, anziché spegnere l’impeto creativo nel modulo comunicativo-dialettico “Via da qualcosa”. Al contrario, tutte queste esperienze umane e intellettuali, consapevoli del Mistero di Cristo sofferente e dell’immane strazio sul corpo, proprio sul corpo di Gesù, documentato genialmente da Gibson in “The Passion”, sperimentano il teso comunicativo che “va verso” questa realtà, la inchioda al cuore ed alla mente, la fa riapparire come estranea al senso comune, eppure concretissima e universale.

E’ un modo, che in molti, nel postmoderno della cultura che ricerca significati, sentono vicino, io sono fra essi, e che può riaprire anche la grandezza vertiginosa di un santo come Padre Pio in una direzione inedita. Quella indicata dalla tesi, o forse un’intuizione illuminata che dovrebbe diventare tale, di Giovanni Paolo II: la santità genera civiltà e cultura. Sul piano umano, troppo umano, Pavese, nel suo diario folgorante Il mestiere di vivere, raccoglie granelli di verità e indica anche in modo un po’ sgangherato, ma affascinante, questa “piccola via”: “Il cristianesimo non può morire perché contiene la possibilità di tutte le discipline”. E ancora: “Che cosa me ne importa di una persona che non sia disposta a sacrificarmi tutta la vita?”. Ecco, Gesù ha fatto ben di più, anzi ha fatto altro, ha spostato sul totalmente Altro, appunto, tutto il male degli uomini e, attraverso questo gesto, ha rigenerato la vita, quella eterna e quella storica. Quest’ultima infine vive in quanto generata da significati universali. Risponde così all’affermazione icastica e dolente di Baudrillard, all’indomani della scossa del crollo del muro di Berlino, segno del dominio del potere umano sulle coscienze e sui significati universali: “L’evento prodigioso, quello che non si misura né dalle cause né dalle conseguenze, quello che crea la propria scena e la propria drammaturgia, non esiste più”. E, invece, c’è.