Pakistan complice e Afghanistan corrotto, questi i nostri alleati
03 Maggio 2011
Una sola cosa è chiara: Osama Bin Laden è morto. Per il resto, tutto non solo non è chiaro, ma è assolutamente oscuro. Una pesante cappa di oscurità che pesa tutta sui Servizi e sulle Forze Armate del Pakistan.
Immaginavamo un Osama costretto a rifugiarsi nelle grotte tra le gelide montagne rocciose dell’Afghanistan, oppure a fuggire a dorso di mulo tra le impenetrabili valli tribali del Waziristan. Ora scopriamo invece che se ne stava in un comodo compound (leggi: condominio circondato da mura) a pochi chilometri dalla capitale dal Pakistan, Islamabad (come dire: a Santa Marinella rispetto a Roma).
È evidente che tutto questo è potuto accadere solo grazie a quelle enorme complicità con i Talebani e con Al Qaeda di parte della dirigenza militare del Pakistan che da anni sono denunciate dagli analisti. Complicità dei generali che negli anni ’90 hanno favorito la presa del potere a Kabul del Mullah Omar e dei Talebani, con l’alleata Al Qaeda e che Parwez Musharraf, loro complice, era stato costretto da George W. Bush, con la minaccia di essere spodestato con le armi, a dimissionare pochi giorni dopo l’11 settembre 2001: il Generale Ahmad Mehmood, ex comandante dell’Isi, il servizio segreto; l’ex capo del corpo d’armata di Lahore, Mohammed Aziz Khan e l’ex vice Capo di Stato Maggiore Muzzafar.
È evidente che la cattura di Osama è stata resa possibile solo da una profonda incrinatura di quell’enorme muro di omertà che sinora aveva permesso a questi ex generali – e ad altri – di proteggerlo in modo così sfrontato. È poi plausibile che il generale David Patraeus, sia stato nominato giorni fa da Barack Obama a capo della Cia proprio in virtù del fatto che – responsabile in capo delle operazioni in Afghanistan e Pakistan – ha saputo determinare un radicale capovolgimento a favore degli Usa dei rapporti di forza.
Tutti elementi che definiscono il probabile impatto che la cattura di Osama avrà sia sulla guerre in Afghanistan che sul futuro del Pakistan. Enorme è il fattore psicologico di un occidente vincente che dimostra – in perfetta continuità guerriera tra Bush e Obama – di sapere perseguire per un decennio i propri obiettivi, anche a costo di migliaia di perdite.
Fondamentale è il fatto che d’ora in poi i talebani e le fortissime cellule di Al Qaeda, sapranno di non potersi più fidare di quei “padrini” pakistani che sinora li hanno protetti. Come si sa, il governo politico del Pakistan , in mano al vedovo corrotto e incapace di Benazir Bhutto, Ali Zerdari e al premier Reza Gilani, è più che fluttuante.
Esattamente come si sa che il governo di Kabul, dell’ambigua Hamid Karzai è ugualmente corrottto e incapace. Ma da ieri talebani e terroristi di Al Qaeda hanno dovuto prendere atto che l’occidente non demorde. È questa una svolta epocale, che avrà influenza determinante, su tutto quello scenario di guerra.
Non così, purtroppo, sarà per la galassia di Al Qaeda, radicata in tutti i paesi islamici e delle sue cellule in Occidente. Il genio diabolico di Osama ha formato una organizzazione multipolare, per nulla verticistica: un arcipelago di strutture autonome che dal leader assumeva solo le indicazioni generali, non certo gli ordini operativi. Quindi non è vero che, decapitata la testa del drago, questi morirà. Non solo, Ayman Al Zawahiri, il braccio destro di Osama, pare non fosse insieme a lui nel compound, ed è personaggio di enorme prestigio e ascendente che può incarnare subito una nuova leadership.
È stato dunque ucciso Bin Laden, non il terrorismo islamico, che sarà sconfitto solo il giorno in cui, finalmente, l’intera Umma musulmana deciderà che è un proprio nemico fondamentale e primario.
(Tratto da Libero)