Pensioni, è ora di rilanciare la previdenza complementare
01 Marzo 2010
Anche per quanto concerne la previdenza complementare, il legislatore del primo decennio del nuovo secolo è stato sino ad ora meno incisivo rispetto all’attività “di impianto” complessivo svolta negli anni ’90 del ‘900.
Il d. lgs. n. 252/2005 – Decreto Maroni – costituisce una revisione del d. lgs. n. 124/1993, senza modificazioni di carattere strutturale, ma con talune, anche significative novità (principalmente in tema di maggiori libertà all’interno del sistema e di trattamento tributario delle prestazioni, reso particolarmente favorevole, ma non alieno da dubbi di costituzionalità). Tra gli obiettivi primari del Decreto Maroni vi era un forte rilancio della previdenza complementare, di cui si prendeva atto del modesto tasso di successo tra i lavoratori specialmente di più giovane età. A fini di sviluppo del comparto, il Decreto predisponeva una specifica manovra avente per oggetto il TFR.
L’ordinamento della previdenza complementare ha variamente cercato di veicolare l’impiego del TFR verso il sostegno finanziario della pensione di secondo pilastro. La qual cosa, riconoscendo in esso una componente quantitativamente indispensabile – il TFR vale, da solo, circa il 7% della retribuzione annua – per l’alimentazione di un valido piano pensionistico a capitalizzazione, in grado, cioè, di efficacemente giustapporsi al trattamento pensionistico di base, sostenendone la contratta adeguatezza. Dopo il ricorso ad obblighi civilistici ed a vincoli indiretti di natura tributaria, variamente succedutisi nella legislazione precedente, con il d. lgs. n.252/2005 si giunse a definire una specifica manovra quadro di “indirizzo” del TFR a previdenza complementare, prevedendo anche un meccanismo di conferimento tacito da parte dei lavoratori, i quali, pur espressamente interpellati, rimanessero silenti, nulla dicendo al proprio datore di lavoro riguardo alla destinazione da dare al TFR di competenza (è la modalità di versamento del TFR maturando ai fondi pensione impropriamente denominata dalla stampa quotidiana “del silenzio-assenso”).
Nelle more dell’applicazione della manovra da ultimo richiamata, il Governo Prodi, nel frattempo subentrato al Dicastero Berlusconi, in sede di formulazione della legge finanziaria per l’anno 2007, stabilì che il TFR di futura maturazione (non, quindi, lo stock già a bilancio delle aziende), non destinato a previdenza complementare, fosse parzialmente sottratto alle imprese e conferito ad un apposito fondo, amministrato dall’INPS per conto dello Stato, con utilizzazione di uno specifico conto corrente aperto presso la Tesoreria, destinato al finanziamento di interventi per la realizzazione di infrastrutture (l’ultima Legge Finanziaria, parzialmente innovando la materia, ha ampliato i limiti di impiego delle disponibilità del conto).
Avverso l’iniziale formulazione del provvedimento, avanzata dal Ministro Padoa-Schioppa, si coagulò l’opposizione delle organizzazioni sindacali (che lessero l’intervento quale vero e proprio sabotaggio nei riguardi della previdenza complementare) e datoriali (che lamentarono la sottrazione alle aziende di risorse utilizzate come autofinanziamento, soprattutto da parte delle piccole imprese).
In sede di formulazione finale la L. n.296/2006 sancì una sorta di compromesso, stabilendo:
– l’anticipazione al primo semestre del 2007 della realizzazione della manovra prevista dal Decreto Maroni in tema di conferimento del TFR a previdenza complementare (conferimento espresso, diniego espresso, conferimento tacito);
– l’obbligo di versamento all’INPS, da parte delle aziende, dell’intero TFR maturando dal 1° gennaio 2007, non destinato a previdenza complementare, fatta eccezione per le imprese con meno di 50 addetti.
Al di là del rapporto imprese/INPS, per il lavoratore nulla cambiava (e nulla cambia), mantenendo egli ogni e qualsivoglia diritto circa il TFR nei confronti del proprio datore di lavoro, ai sensi dell’art. 2120 e seguenti del codice civile.
L’INPS fu chiamato a svolgere una funzione di gestore amministrativo, di interfaccia con le aziende per la riscossione mensile dei flussi di TFR e per la messa a disposizione dell’inerente provvista all’atto della maturazione dell’indennità da parte del dipendente (per cessazione del rapporto di lavoro) o per il riconoscimento di anticipazioni.
La campagna del conferimento del TFR a previdenza complementare ebbe un successo limitato, nonostante i generosi sforzi del Ministro Damiano, in parte sabotati da componenti del suo stesso Dicastero. Essa, comunque, consentì una discreta crescita di adesioni e di volumi degli accantonamenti del comparto
Sarebbe davvero auspicabile che gli ultimi mesi del primo decennio del terzo millenio vedessero il varo di taluni interventi volti ad assicurare un effettivo rilancio della previdenza di secondo pilastro, il cui ruolo strutturale nell’assetto pensionistico del Paese risulta evidente da quanto in precedenza indicato a proposito delle prospettive della previdenza di primo pilastro.