Pensioni e tesoretto, l’Unione ferma al palo

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Pensioni e tesoretto, l’Unione ferma al palo

14 Giugno 2007

Fumata nera a Palazzo Chigi. Il vertice tra i capigruppo dell’Unione e il governo sul Dpef e sulla destinazione del tesoretto è durato ore ma non ha dato frutti. La riforma delle pensioni? Rimandata.  Il decreto legge sull’extragettito? Rimandato. Di entrambi se ne riparlerà dopo il Documento di programmazione economica e finanziaria (Dpef) la cui discussione è slittata anch’essa al 25 giugno. Doveva essere il vertice chiarificatore, invece si è rivelato come l’ennesimo tentativo di Prodi di tenere unita una maggioranza divisa (almeno sulle questioni più importanti).

Il presidente del Consiglio ha chiesto disperatamente ai “suoi” di fare squadra contro “la campagna di discredito” di cui sarebbe vittima la sua maggioranza di governo. Un invito a cui ha risposto lo stesso Padoa Schioppa che dopo aver rispedito al mittente (l’Unione Europea ieri e la Bce oggi) il richiamo a destinare al risanamento l’extragettito,  ha ammesso: “Devo stare attento alla tenuta politica del Governo”. E stavolta ha ragione. C’è la questione-Ici, sulla quale anche oggi Tps ha preferito non prendere alcuna posizione specifica e ci sono le pressioni della sinistra radicale che spinge per destinare le risorse “su equità e sviluppo e non sul risanamento del debito”.  Con le richieste sull’utilizzo dell’extragettito, povero Governo, che arriverebbero da ogni dove, tanto che il numero uno di via XX Settembre ha parlato di “quadro delle richieste estremamente inquietante. Sono almeno tre-quattro volte superiori alle disponibilità e per soddisfarle tutte servirebbero tra 15-20 miliardi”.

Tesoretto a parte, i punti sui quali concentrare l’attenzione, da 12 che erano in quella lista preparata lo scorso febbraio per uscire dalla crisi di Governo, sono passati a poco più di 5. Sistema del welfare e nodo pensioni, la casa, il rilancio del programma per le infrastrutture, la ricerca, la sicurezza, l’università e la formazione (oltre alla lotta all’evasione e ai costi della politica): su questi punti Romano Prodi ha chiesto il massimo dialogo con la maggioranza. Peccato che su ognuno di essi il Professore rischi ogni volta un bel giro sulle montagne russe. Pensioni in testa, dove lo scontro sullo scalone si fa di giorno in giorno più acceso. “Prioritario per noi è che il governo ascolti le richieste delle parti sociali, in particolare per quanto riguarda l’abbattimento dello scalone previdenziale”, è tornata a tuonare oggi Rifondazione Comunista per bocca del capogruppo Russo Spena. “Molto importante per noi – ha aggiunto – è aver ottenuto un secondo incontro il 25 giugno, che entri nei dettagli del documento programmatico di politica economica, perché stabilisce un’essenziale questione di metodo: gli indirizzi del paese si decidono insieme come maggioranza, non possono restare materia di esclusiva competenza del ministero dell’economia”. In realtà, la giornata di oggi doveva servire anche per portare un po’ di serenità in vista dell’incontro di domani tra Governo e parti sociali sul Dpef, ma così non è stato. Il ministro del Lavoro, Cesare Damiano ha ammesso che la trattativa, sempre sul fronte previdenziale, è complicata e che sulla possibilità di trovare un accordo entro giugno ”la realtà è più dura della fantasia” ma i sindacati hanno risposto che un rinvio sarebbe ”inaccettabile” perché significherebbe trattare con la ”pistola alla tempia” della scadenza del 2008 per lo scalone. E’ proprio sullo scalone introdotto dalla Legge Maroni che si annida il problema: a differenza dei coefficienti produce da subito risparmi e la sua cancellazione (contro cui si oppone, tra gli altri, Padoa Schioppa) imporrebbe il recupero di risorse. Ma la sinistra radicale risponde picche, mentre il ministro del Lavoro ha più volte manifestato l’intenzione di trasformare lo scalone in scalini.

Intanto, sui tempi del decreto legge con cui il governo distribuirà le risorse dell’extragettito “stiamo  ragionando perché abbiamo varie possibilità e dobbiamo scegliere quella che per i tempi parlamentari sia la più idonea”, ha spiegato il capogruppo dell’Ulivo al Senato, Anna Finocchiaro, al termine della riunione. Il Dpef dovrebbe arrivare il 28 giugno e “a fine luglio-inizio agosto chiudono le Camere. Dobbiamo ragionare su quale sia il tempo migliore” per poter convertire il decreto nei 60 giorni previsti. In ogni caso, il decreto “sarà uno solo”.