Pensioni, Prodi stretto tra Bonino e Rifondazione

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Pensioni, Prodi stretto tra Bonino e Rifondazione

19 Luglio 2007

Ma il ministro Emma Bonino va via o resta? E Romano Prodi deciderà
di tagliare corto e fare una Sua proposta o cederà fino alla fine ai ricatti
della sinistra radicale e verde? Sul fronte delle pensioni rimane il rischio,
per il Professore, di giocarsi la poltrona. Non bastassero i richiami dell’Ue, della
Corte dei Conti, di Bankitalia, e le pressioni dei sindacati, dei senatori
contrari alla condotta del Governo (come Lamberto Dini) e del vicepremier
Rutelli che ha preso le distanze da Giordano & C., nel giorno clou (oggi il
premier presenta la sua bozza ai sindacati in modo da poter portare la proposta
in Consiglio dei ministri già domani), Prodi dovrà fare i conti con una nuova
grana. Che porta sempre la firma di Rifondazione Comunista. La quale, incurante
del confronto con l’Ue e il resto del mondo, delle statistiche
sull’allungamento dell’età media, del peso dell’abolizione dello scalone sui
conti pubblici, tira dritta per la sua strada nel timore di perdere la partita
con l’ala moderata o rigorista della compagine di Governo.

Dopo le dimissioni “sventolate” da Emma Bonino sulla strada
della riforma delle pensioni si è rafforzata l’ipotesi “quota 96 a partire dal
2010”. Vale la pena spiegare meglio il piano messo a punto per abolire lo
scalone Maroni, ovvero l’innalzamento secco dell’età pensionabile a 60 anni dal
primo gennaio del prossimo anno: dal 2008 si potrebbe andare in pensione a 58
anni, dopo 18 mesi, la soglia salirebbe a 59 anni e successivamente scatterebbe
appunto “quota 96”, ovvero la somma degli anni di contributi (non inferiori ai
35) e l’età anagrafica.

Sembrava quasi fatta. Sembrava che Prodi potesse finalmente
tirare un sospiro di sollievo e invece ieri è arrivato l’affondo di
Rifondazione, a cui quella quota 96 proprio non va giù (in realtà anche i
sindacati spingono per una soluzione più soft:  quota 95 nel 2010 da far crescere a 96 nel
2011 o 2012). E pensare che il meccanismo delle quote (95 nel 2010, 96 nel 2012
e 97 dal 2014 che porterebbe  a un’età
minima di 62 anni), è invece giudicato dal ministro Padoa Schioppa ancora poco.

Per  Padoa Schioppa –
dopo l’ultima sconfitta su Alitalia – perdere terreno anche sul fronte della
previdenza sarebbe davvero un brutto colpo. Secondo il numero uno di via XX
Settembre, a regime, cioè nel 2016, la nuova riforma dovrà garantire gli stessi
risultati finanziari per l’Inps che garantirebbe la Maroni qualora rimanesse in
vigore. Con lo scalone, dal 2016 in poi, lo Stato dovrebbe risparmiare ogni
anno 9,8 miliardi di euro di trasferimenti all’Inps. Più o meno lo stesso
risparmio dovrà essere garantito dal piano del governo, tuona da tempo Tps, secondo
cui i minori risparmi dovuti all’abbattimento dello scalone dovranno essere
interamente compensati con altre risorse da trovare nello stesso settore
previdenziale. Senza dunque pesare sulle casse dello Stato, come del resto
vuole Bruxelles. L’ultimo paletto è la revisione contestuale dei coefficienti
di trasformazione delle pensioni.

 Insieme al
superamento dello scalone sull’età pensionabile, e alla revisione dei
coefficienti di rivalutazione delle pensioni, nel pomeriggio verrà presentato
alle imprese e ai sindacati un protocollo contenente anche la modifica della
legge Biagi e altre misure per  imprese,
settore agricolo e artigianato. È un piano completo, spiegano, “che sorprenderà
gli stessi riformisti, così critici in queste ore”.

L’unica certezza è che  a poche ore dalla presentazione del Protocollo
 le cose sono ancora in alto mare. E a
nulla sono valse le rassicurazioni di ieri Prodi e del portavoce Sircana,
ottimisti sia su una soluzione a portata di mano sia sui tempi brevi per
metterla a punto.