Pensioni, Tps ha un asso nella manica e un tallone d’Achille
11 Maggio 2007
Nel confronto con i sindacati, il Ministro dell’Economia e delle Finanze, Tommaso Padoa-Schioppa (TPS) ha almeno un asso nella manica. Ma non lo mette, per il momento, sul tavolo. Probabilmente perché teme di mostrare il suo tallone di Achille.
Il confronto Governo-parti sociali ha numerose sfaccettature: l’adeguatezza delle pensioni minime e la tutela dei più deboli, la revisione dei coefficienti per trasformare (in futuro) il montante di contributi accumulati in rendite annuali, i requisiti essenziali per fruire di pensioni di anzianità. Tra questi e tanti altri, l’ultimo citato (in gergo lo “scalone” in base al quale, a normativa vigente (“la riforma Maroni” del 2004), ha assunto un valore simbolico. In modo speculare e analogo, al confronto sull’abolizione dell’art.18 (relativo alla “giusta causa” per i licenziamenti) dello Statuto dei Lavoratori che caratterizzò la prima parte della scorsa legislatura. L’asso nella manica sta nei numeri per smontare lo stendardo costruito sullo “scalone”: tanto TPS quanto i sindacati sanno che nell’arco dei prossimi tre anni coloro potenzialmente interessati alla misura sono circa 190.000 persone, ossia 63.000 l’anno (un potenziale elettorale, per intenderci). Quelli che effettivamente opterebbero per pensioni di anzianità a 57 anni sono verosimilmente molto meno. Lo dicono non solo i dati Inps sull’esperienza del recente passato ma anche indagini campionarie effettuate proprio dai sindacati per accertare la consistenza del gruppo sociale che sarebbe, per così dire, danneggiato (quanto meno nelle aspettative) dalla “riforma Maroni”. A conclusioni analoghe giunge un raffronto internazionale dei pensionamenti anticipati in 19 Paesi condotto dall’Università di San Gallo in Svizzera (un istituto di alta formazione e ricerca distinto e distante dalle nostre beghe) e pubblicato proprio in questi giorni dall’istituto tedesco di studi sul lavoro.
E’ comprensibile che, dopo avere fatto una battaglia contro lo “scalone”, i sindacati si tengano la cifra ben stretta al petto. E’ meno comprensibile che lo faccia anche TPS; l’effetto sarebbe ancora maggiore se i 190.000 su tre anni (o 63.000 l’anno) venissero giustapposti ai veri beneficiari della riforma del 1995: i 10 milioni di uomini e donne che continuano ad avere titolo alle pensioni retributive, ben più generose delle pensioni retributive che si applicheranno a chi non aveva iniziato a versare contributi prima del 31 dicembre 1995 o delle pensione miste “pro rata” per tutti gli altri (chi aveva meno di 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995).
L’asso nella manica diventerebbe ancora più efficace se venisse coniugato con i dati sul futuro dello stato patrimoniale dell’Inps quali si ricavano dai documenti del Nucleo di Valutazione della Spesa Previdenziale del Ministero del Lavoro, disponibili su Internet. Sono molto più eloquenti dei rimbrotti periodici del Fondo Monetario Internazionale (Fmi), l’ultimo dei quali giunto proprio mentre iniziava il confronto (in salita) Governo-parti sociali. In sintesi, senza aggiustamenti (quali il progressivo innalzamento dell’età effettiva di pensionamento e la periodica revisione dei coefficienti di trasformazione), il saldo negativo dello stato patrimoniale dell’Inps passerebbe dai 120 miliardi di euro (all’ultima conta) a circa 580 miliardi di euro nel 2030.
Perché TPS non mette queste cifre al centro del negoziato? Le interpretazioni sono due: una riguarda il passato recente e l’altra il futuro prossimo. Sono due aspetti dello stesso tallone d’Achille: lo indeboliscono, infatti, rispetto agli altri Ministri e ai sindacati. Per quanto attiene al passato recente, ha perso credibilità, e si è indebolito, dopo avere ingoiato quello che in gergo giornalistico si chiama “lo scippo del trf a favore dell’Inps” (le misure delle legge finanziaria per depositare presso l’Inps parte delle somme a titolo di tfr non destinate a fondi pensione). Per quanto riguarda il futuro nutre in cuor suo la speranza di seguire il percorso di Carlo Azeglio Ciampi e di Lamberto Dini – essere la riserva della Repubblica per un Governo “tecnico” che emergerebbe dai contrasti sempre più laceranti nella maggioranza. E’ convinto, a torto o a ragione, che perché tale prospettiva si realizzi il confronto sulla previdenza con i sindacati e la sinistra radicale deve essere duro, ma non troppo. Utilizzando armi come l’Fmi, l’Ocse, l’Ue – tigri di carta rispetto ai più casarecci ma tanto parlanti dati nostrani.