Per abbattere il debito pubblico il Cav. venda parte del patrimonio dello Stato

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Per abbattere il debito pubblico il Cav. venda parte del patrimonio dello Stato

14 Gennaio 2011

Se Berlusconi volesse dare un segnale di vitalità e di iniziativa al suo elettorato e ai mercati dovrebbe avviare prontamente una cura dimagrante dell’ancora ingentissimo patrimonio pubblico, costituito da partecipazioni azionarie, immobili, aree demaniali e altri cespiti.

Un programma di cessioni che sia rilevante e credibile presenterebbe notevoli vantaggi.
Innanzitutto, riducendo lo stock di debito si rassicurano i mercati sulla tenuta dei nostri conti pubblici, contribuendo quindi a ridurre il premio al rischio e il tasso di interesse sul debito pubblico. In secondo luogo, verrebbe meno l’incertezza in merito alla prospettiva di ulteriori aumenti delle tasse  – in particolare la sciagurata proposta di imposta patrimoniale – che oggi grava sulle decisioni di spesa delle famiglie e delle imprese; minore incertezza sul futuro prelievo fiscale si traduce in maggiori investimenti e maggiori consumi.  Inoltre, ridurre il ruolo dello stato nel sistema produttivo migliora l’efficienza, facilita la liberalizzazione, incentiva la concorrenza. In Italia, pur con tutte le critiche che si possono fare alle privatizzazioni, è innegabile che l’uscita del pubblico dall’azionariato di grandi imprese abbia determinato, rispetto a venti anni orsono, maggiore offerta, più concorrenza, migliore qualità dei servizi, in comparti strategici quali le telecomunicazioni, l’energia, le autostrade, le banche.

Cosa vendere? La scelta è ampia. I cespiti patrimoniali che meglio si prestano a essere ceduti sono le partecipazioni azionarie e gli immobili. Le sole azioni di società, quotate e non, che fanno capo al Ministero del Tesoro sono valutate circa 140 miliardi di euro equivalenti all’8 per cento del PIL italiano. Tra queste sono compresi pacchetti azionari che lo stato ancora detiene in ENI, ENEL, Finmeccanica, StMicroelectronics, Terna, Poste, Rai, Ferrovie dello Stato, SACE  solo per citare le aziende più note.

Sono imprese che operano nei più svariati comparti in cui lo stato potrebbe facilmente recedere lasciando spazio alla iniziativa privata e riservandosi il ruolo di regolatore, questo sì, precipuamente statale. A queste aziende controllate dallo stato si potrebbero sommare le aziende di servizi pubblici locali (municipalizzate ecc.) possedute dagli enti territoriali; sono circa 700, di cui 14 quotate in borsa; il valore di mercato di queste ultime si aggira su i 7 miliardi di euro.

C’è poi tutto il vasto patrimonio immobiliare. Una stima cautelativa, elaborata  in uno studio congiunto della Fondazione Magna Carta e dell’Istituto Bruno Leoni, valutava il patrimonio immobiliare in circa 350 miliardi di euro a valore di mercato; esso è  per la maggior parte posseduti dagli enti locali. Nel caso delle dismissioni di immobili, oltre ad abbattere il debito, si otterrebbe  anche un considerevole beneficio gestionale; gli immobili infatti rendono circa l’1 per cento e costano il 2 per cento. Vendere quindi consente di ridurre le spese.

In definitiva una nuova stagione di dismissioni del patrimonio pubblico, oltre a ribadire la natura liberale e riformista del governo, contribuirebbe non poco a migliorare il quadro della finanza pubblica a tutti i livelli e a consolidare la riprese economica in atto.