
Per adesso la Germania ha congelato le “quote rosa”

14 Marzo 2011
Ultimamente in molti parlano di femminismo. Ed altrettanti ne scrivono. Non solo in occasione dell’ovvia festa della donna dell’8 marzo o per una presunta e mai dimostrata concezione della “donna come oggetto”. In tutta Europa si discute di quote rosa: in Gran Bretagna non si parla di “quote per legge” ma di rendere pubblico il numero di donne valutate per i Consigli di Amministrazione (Cda), in Francia entro il 2017 la presenza femminile dovrà arrivare al 40%, in Spagna sempre al 40% entro il 2015, in Italia si parla di 30% entro il 2015, ma manca ancora il voto in Parlamento. Anche in Germania si parla molto di donne e si discute di femminismo. L’occasione l’ha offerta un libro di una femminista anomala, di sinistra ed ex-caporedattrice della Tageszeitung (per chi non lo sapesse è il corrispettivo de Il Manifesto in Germania).
L’autrice del tanto discusso libro, dal titolo (provocatorio) “La viltà delle donne” (Die Feigkeit der Frauen), si chiama Bascha Mika. Nel suo libro, ben documentato e ricco di interviste ed esperienze femminili, l’autrice non è per nulla tenera con le donne. Se si volesse sintetizzare, la sua tesi è semplice: se le donne non arrivano a posizioni di vertice, le principali responsabili di questo fallimento sono le stesse donne, molto spesso “prigioniere del proprio complotto ormonale”, come afferma la stessa autrice. Altro problema delle donne è la sindrome del prendersi cura (ovvero pulire e cucinare per il proprio uomo), che per l’autrice non fa altro che riproporre dei vecchi modelli femminili e l’idea che la realizzazione della donna passi dall’avere un figlio. Secondo Bascha Mika, mai come negli ultimi decenni le donne hanno avuto l’occasione e la possibilità di poter raggiungere posizioni di leadership. In un recente confronto con Angelika Niebler (esponente della CSU), pubblicato sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung, Bascha Mika riconosce che le strutture di lavoro sono ancora sfavorevoli alle donne, ma non è solo colpa di una società dominata dagli uomini. Se sostenessimo questa tesi, afferma la giornalista tedesca, mentiremmo a noi stesse. Il colpo finale Bascha Mika lo sferra così: troppo spesso le donne sono vili, troppo comode e pigre.
L’obiettivo esplicito del libro è di far riflettere le donne al fine di farle uscire dagli schemi tradizionali uomo/donna. Da una parte, sostiene la Mika, le donne cercano di propagandare la propria autodeterminazione, ma dall’altra si espongono ancora troppo poco per l’autodeterminazione stessa. Le donne al contrario si rifugiano ancora (troppo comodamente – e qui si annida la loro viltà e pigrizia) nei vecchi ruoli e non si rendono conto di quanto si autoingannino.
Ora, il libro di Bascha Mika s’inserisce però in un acceso dibattito tedesco sulle quote rose. Qui le quote rosa per legge sono soprattutto un’idea ed una proposta politica sostenuta dal centro-destra. E’ stato il Ministro del Lavoro Ursula von der Leyen (CDU) che le ha proposte, appoggiata da un nutrito gruppo di donne dell’Unione (CDU-CSU). Anche l’altro Ministro della CDU, Kristina Schröder, “giovane, potente ed incinta”, come l’ha descritta recentemente la Zeit, è sì favorevole alle quote, ma in una forma flessibile a seconda del settore dove si applicano. La decisione finale sulle quote rosa, al momento, dopo un iniziale contrarietà della Cancelliera Angela Merkel (nota bene: una donna!), sono state momentaneamente congelate e rinviate.
Il dibattito tedesco dimostra come ancora ci sia molto da fare per il raggiungimento della piena parità, è, però, altresì necessario mettere in evidenza come molto sia stato già fatto. E’ vero che ancora le statistiche dimostrano quanto la donna faccia difficoltà ad arrivare a posizioni di vertice, ma è vero, al contempo, che le donne che raggiungono i vertici aumentano costantemente. Sono soprattutto le nuove generazioni di donne che migliorano costantemente la loro condizione. D’altronde mai come negli ultimi anni c’è stata una di campagna di sensibilizzazione per sostenere le donne al lavoro. Insomma, il trend è decisivamente positivo, ed i risultati si vedranno nei prossimi anni quando le giovani donne di oggi avranno fisiologicamente raggiunto le migliori posizioni di lavoro. Del resto è, forse, soprattutto, una questione di tempo, è il cambio di generazione che dimostrerà quanto le donne siano, di fatto, già al potere.
E, però, anche vero che secondo molte statistiche le donne guadagnano di meno, come dimostra, ad esempio, un recente studio americano pubblicato su Il Corriere della Sera del 2 marzo scorso. Tuttavia, se è indiscutibile che le donne, a parità di formazione, guadagnano ancora meno degli uomini, questo avviene perchè c’è ancora una differenza di mansioni e di responsabilità (ma non ancora per molto) diverse tra uomini e donne. Le donne guadagnano di meno non in quanto donne (che sarebbe assurdo), non perchè ci sia una sorta di complotto maschilista contro le donne, ma perchè il tipo di lavoro è spesso diverso, svolgono lavori con meno responsabilità e quindi meno pagati.
In realtà forse mai come negli ultimi anni la differenza uomo-donna si è andata gradualmente assottigliandosi, fino quasi a sparire nelle generazioni sotto i trent’anni. Negli Stati Uniti è uscito un libro che sta facendo molto discutere. Si tratta di Manning Up: How the Rise of Women Has Turned Men into Boys, di Kay S. Hymowitz. L’autrice (nota bene: una donna!) descrive come l’ascesa delle donne abbia trasformato gli uomini in ragazzi. Gli uomini sotto i trent’anni vivono una fase pre-adulta perenne. Mai come ora gli uomini si scontrano con donne forti e uguali a loro. Le donne sono diventate “uomini”: indipendenti finanziariamente, ambiziose e amanti del sesso. Di fronte a questo stato di cose, secondo la Hymowitz, l’uomo non ha necessità di crescere. Come ha ricordato Alessandra Farksas, corrispondente del Corriere da New York, si tratta di tesi esplosive e che hanno spaccato in due il paese, si tratta, ancora, come ricorda la scrittrice americana Caitlin Flanagan, di un ritratto delle inaspettate conseguenze del femminismo.
Dovrebbe, inoltre, far riflettere la storia del modello Andrej Pejic. Dall’evidente aspetto androgino, il modello bosniaco di appena diciannove anni, è una delle nuove stars della moda tanto da aver sfilato per Jean Paul Gautier. Pejic sfila e si è fatto fotografare come fosse una donna, con risultati straordinari e fuori dal comune, tanto che il Magazine della Zeit, in Germania, gli ha dedicato un intero servizio: quando un uomo è un uomo? La moda scambia nuovamente i ruoli. Il modello ha anche dichiarato che, pur di entrare nell’entourage di modelle del gigante della lingerie Victoria’s Secret, sarebbe disposto a cambiare sesso. Il caso dell’autrice america Hymowitz e del modello Andrej Pejic dimostrano, ammesso che fosse ancora necessario, come siamo ben oltre la fase di una presunta ed inesistente sottomissione delle donne agli uomini o che le donne siano ostacolate dagli uomini nel raggiungimento dei propri obiettivi e nella realizzazioni delle proprie aspirazioni. La differenza di genere probabilmente è un ricordo di un tempo ormai lontano ed è arrivato il momento di abbandonare la retrogada retorica femminista del passato. Sarebbe molto meglio concentrare la propria attenzione sulla condizione della donna nelle società musulmane. E’ notizia di qualche giorno fa che in occasione dell’8 marzo a Il Cairo, in Egitto, uno dei teatri delle nuove rivoluzioni, la manifestazione delle donne sia stata sospesa per gli insulti di numerosi uomini.