Per andare oltre Fiuggi An ha bisogno di più fegato
17 Settembre 2008
E’ stupefacente la rimozione collettiva del più gigantesco problema del sistema politico italiano: l’indecifrabilità del Pd. Indecifrabilità semantica: cos’è, infatti, il Pd? Tutti ne parlano come se la questione fosse assodata, semplicemente perché si sono “uniti” i cattolici democratici e i post-comunisti, credendo, con ciò, di portare a casa una fusione, fredda o calda non importa, pronta all’uso politico. Cioè, pronta a battere Berlusconi e a governare alla grande per una generazione intera. Oggi, questo “progetto” si sta rivelando una bufala. E solo in pochi hanno il coraggio – anche nel centrodestra – di dirlo chiaro e tondo: il Pd non esiste, è una finzione letteraria, un genere letterario, il sogno di una notte di mezza estate.
Perfino un anti-berlusconiano transalpino e schifiltoso come Lazar se lo domanda: “Cos’è il Pd? Quali sono i suoi riferimenti, la sua cultura, il suo disegno?”. Ma il caso-Pd rischia di contagiare anche il centrodestra. Perché, quasi per osmosi, si crede, nel centrodestra, che l’assunzione in blocco di ciò che scatena le reazioni sgangherate della destra neofascista – l’antifascismo come “religione civile” – sia la chiave giusta per cambiare pelle. In quest’operazione c’è molta superficialità ed approssimazione culturali. Ciò non giova alla politica. L’eccesso di zelo delle affermazioni di Fini è evidente e rischia di debordare nella retorica, basterebbe soltanto mantenere un’oncia di onestà intellettuale e rileggere qualcuno dei grandi tomi del geniale De Felice, oppure compulsare il libro sulla “guerra civile” di uno storico come Ilari, per cogliere che la politica debba assolutamente riappropriarsi del lessico politico, invece di azzerare dibattiti e confronti veri a suon di dichiarazioni pubbliche. La sinistra non esiste più proprio perché i post-comunisti sono rimasti sempre “post” e da quella condizione non si sono mossi. Bolognina docet. La destra rischia di rimanere “post-fascista” non tanto perché non abbia il coraggio di dichiarare il fascismo “male assoluto” – una castroneria capitale – o le leggi razziali un’ “infamia”, un’ovvietà, che nulla revisiona, quanto perché non riesca a stare all’altezza dei mutamenti strutturali decisivi, del mercato mondiale privo di liberismi immaginari, o degli imperi non più tali, ma ancora in grado di condizionare le sorti delle strategie europee. Il nodo vero non è la strizzatina d’occhio agli ex- compagnucci alla deriva o l’accettazione delle banalità di pubblico dominio. La revisione era, secondo De Felice, un affare serio. I politici devono piuttosto saper stare all’altezza delle sfide del nuovo ciclo storico, senza rendere, se possibile, nuove le cose già vecchie e stravecchie. A Fiuggi sono cambiate molte cose, ma, le terme non bastano a sistemare i drammi, anche culturali, del passato. Il fegato, sì, quello sì.