Per Bagnasco l’immigrazione va governata non subita

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Per Bagnasco l’immigrazione va governata non subita

25 Maggio 2009

Nella prolusione di apertura della 59a Assemblea generale della Cei, il cardinale Angelo Bagnasco ha toccato molti argomenti. Ha parlato di questo Papa, della sua presunta solitudine e della forza del suo messaggio cristiano che lo rende più forte che mai. Ha parlato dell’emergenza abruzzese e della crisi economica e del modo in cui la politica e anche la Chiesa – attraverso le diocesi e le parrocchie presenti sul territorio – devono aiutare i soggetti deboli, quelli più colpiti. È tornato sulle questioni che tanto hanno fatto dibattere nei giorni scorsi, l’immigrazione e un malinteso multiculturalismo. Non ha potuto né voluto soprassedere sulla Legge 40 e sui rischi di una deriva eugenetica che può creare una distorta applicazione della normativa sulla fecondazione assistita. Quindi ha lanciato l’allarme educativo, che da qualche tempo è divenuto un’emergenza, tanto da rappresentare un tema sempre più caro alla Chiesa, lo stesso tema su cui si è concentrato il progetto culturale della Cei e questa 59ma assemblea dei vescovi italiani.

Da una lettura a caldo, l’impressione è che con la sua prolusione Bagnasco abbia voluto dare delle risposte certe su molte questioni che nelle scorse settimane avevano suscitato polemiche nel mondo politico e in quello ecclesiale. In primo luogo sul ruolo di questo Papa e sul significato della sua missione pastorale, che non è, ci tiene a specificare Bagnasco, politica. “Mai è rituale, nei nostri incontri, il pensiero che rivolgiamo al Papa”, ha esordito il presidente della Cei. “Men che meno lo è stavolta, venendo noi da mesi di intensa partecipazione alle tribolazioni che egli inopinatamente s’è trovato ad affrontare per una serie di infelici e prevenute interpretazioni date ad alcuni suoi pronunciamenti”. Ricordando la “questione Williamson” e il recente viaggio di Benedetto XVI in Terra Santa, che molte critiche ha suscitato soprattutto nel mondo ebraico, Bagnasco ha ricordato ai vescovi il “disegno inderogabilmente religioso che sottostà all’intera azione di Benedetto XVI”. Aggiungendo che “anche nei momenti in cui più cruciale tende a farsi la provocazione politica Egli non si stacca dalla sua visione squisitamente biblica e anzi su di essa costruisce le risposte che sono attese sul fronte umanitario come su quello diplomatico, sul fronte interreligioso come su quello ecumenico”.

Anche sulla crisi economica Bagnasco è stato chiaro. Serve un fisco più equo che vada in soccorso alle fasce più deboli della popolazione, e soprattutto delle famiglie; serve una politica più forte di ammortizzatori sociali, che aiuti la categoria più colpita dalla crisi, quei precari che si sono trovati senza lavoro. Ma non attacca il governo, come ha scritto qualche giornale, che tratterebbe i lavoratori come una inutile zavorra – mettendo piuttosto al centro delle sue critiche una globalizzazione senz’anima che il presidente della Cei definisce “incompiuta”. “Le iniziative indispensabili per rivedere i meccanismi di governo globale dell’economia per ora languono – ha detto Bagnasco – il sistema in realtà ha perso di credibilità e di efficacia”. Ciò non significa che il presidente della Cei non lanci un messaggio di speranza: “Se ogni nazione, ogni categoria, ogni famiglia si sintonizzeranno sull’idea che la crisi è anche un’opportunità concreta per cambiare in meglio e in modo più stabile gli equilibri del vivere comune e gli stili personali – anche all’insegna di una ritrovata, maggiore sobrietà – allora questo tempo e le sue asperità non si saranno presentate invano”.

Ma le parole di Bagnasco hanno segnato anche un altro importante scatto culturale rispetto alle semplificazioni che ultimamente hanno caratterizzato il dibattito sull’immigrazione. Il cardinale rifiuta con chiarezza gli schemi di un multiculturalismo ideologico e relativistico e parla di un’integrazione sana e senza infingimenti. Il multiculturalismo non può produrre agglomerati etnici impermeabili perché, se così accade, significa il fallimento dell’integrazione. È necessario, invece, un fecondo incontro fra culture, nel rispetto della nostra identità e del principio di legalità, fermo restando "il valore incomprimibile di ogni vita umana, la sua dignità, i suoi diritti inalienabili".

Ma "accanto a questo valore dirimente, ce ne sono altri, come la legalità, l’affrancamento dai trafficanti, la salvaguardia del diritto di asilo, la sicurezza dei cittadini, la libertà per tutti di vivere dignitosamente nel proprio Paese, ma anche la libertà di emigrare per migliorare le proprie condizioni da contemperare naturalmente con le possibilità d’accoglienza dei singoli Paesi, o magari solo per arricchirsi culturalmente”.

Bagnasco formula due possibili soluzioni: rafforzare la via della cooperazione internazionale (“solo migliorando le condizioni economiche e sociali dei Paesi di origine dei nostri immigrati si può togliere al fenomeno migratorio la propria carica dirompente”) e realizzare un’effettiva integrazione degli immigrati che giungono nelle nostre città. “Conta ovviamente il posto di lavoro e una dimora minimamente dignitosa, ma tutto ciò – anche quando è assicurato – non basta. Bisogna evitare infatti il formarsi di enclave etniche, perché così non solo si scongiurano micro-conflitti diffusi sul territorio, ma si modifica la percezione che non di rado i connazionali hanno circa la presenza di stranieri. Il territorio in senso antropologico è salvaguardato quando c’è, insieme ad un fondamentale rispetto, un coinvolgimento orizzontale che provoca l’incontro tra famiglie di provenienza diversa, un’osmosi delle loro esperienze, e uno scambio di forme culturali nel rispetto delle leggi da parte di tutti".

E’ vero che la questione sicurezza non può essere l’unica chiave interpretativa di un fenomeno tanto complesso e che non si può ridurre l’immigrazione a una emergenza di ordine pubblico, ma "guai a sottovalutare i segnali di allarme che qua e là si sono registrati nel nostro Paese. L’immigrazione è una realtà magmatica: se non la si governa, si finisce per subirla. E la risposta non può essere solamente di ordine pubblico, anche se è necessario mettere in chiaro diritti e doveri, senza prevedere sconti in nome di un malinteso multiculturalismo che in realtà è solo una giustapposizione tra etnie che non dialogano".

Quindi Bagnasco torna sul ruolo che il cattolicesimo deve svolgere nella realtà politica e sociale del nostro paese chiarendo che esso non può essere inteso come una religione civile o come una agenzia umanitaria. Il rischio a cui si andrebbe incontro sarebbe  quello di un "secolarismo edulcorato" che "da una parte lusinga i cattolici, ma dall’altra li emargina". "Se accettassimo – ha affermato Bagnasco – l’accennata idea di un cattolicesimo inteso come religione civile, o come ‘agenzia umanitaria’, e se completassimo tale visione con l’idea di una fede nuda, scevra da qualunque implicazione antropologica, allora davvero priveremmo la comunità umana di un apporto fondamentale e originale in ordine alla edificazione della stessa città dell’uomo. Saremmo più poveri noi e sarebbe più povera la società". "Alla base di simili posizioni un po’ disincarnate", ha detto, si annida "una cultura neo-illuministica per la quale Dio in realtà c’entra poco – forse nulla – con la vita pubblica: lo si lascia al massimo sopravvivere nella dimensione privata ed intima delle persone".