Per difendere l’italianità delle imprese occorre farle crescere
24 Marzo 2011
La vicenda dell’ingresso dei francesi di Lactalis nel capitale di Parmalat ha riproposto il dibattito sulla difesa della italianità delle imprese.
Purtroppo ne viene emergendo un diffuso consenso alla adozione di misure protezionistiche, volte a limitare l’accesso degli stranieri. Argomento di sicuro effetto mediatico, ma molto rischioso. Se non altro perché il nostro sistema economico è di per se molto internazionalizzato, non solo come peso del commercio estero nella produzione di ricchezza nazionale, ma anche in relazione agli importi considerevoli che hanno investito all’estero le nostre impresse, grandi medie e piccole: lo stock di investimenti diretti italiani all’estero è pari a circa 400 miliardi di euro e supera di 130 miliardi il valore degli investimenti diretti degli stranieri in Italia. Una escalation di boicottaggi reciproci, addirittura all’interno della Unione Europea, rischierebbe di danneggiarci non poco.
Più articolata e di lungo termine dovrebbe essere invece la risposta per salvaguardare la contendibilità delle nostre imprese. Da questo punto di vista la migliore difesa è la crescita dimensionale. Le ricette per favorire la crescita delle nostre imprese sono numerose. Una, tra le tante è a mio avviso essenziale: più concorrenza aiuta le imprese a crescere. James Baumol ne suo bellissimo volume Analyzing the Growth Miracle of Capitalism, illustra con efficacia il concetto.
La crescita senza precedenti e senza eguali del sistema dell’economia di mercato è attribuibile prioritariamente alla pressione competitiva che caratterizza questo sistema economico rispetto agli altri;la concorrenza induce le imprese a un continuo processo di crescita e innovazione.
Una vasta letteratura suggerisce che un “eccesso” di regolazione o di oneri burocratici per le imprese sia un fattore di ostacolo alla concorrenza e quindi alla crescita. L’Italia, in generale, in termini di regolazione anticompetitiva/oneri burocratici per le imprese si colloca in una posizione decisamente “sfavorevole”, come documentato ancora di recente dalla periodica rilevazione effettuata dalla Banca Mondiale (80° paese nella graduatoria del 2011).
Misure volte a rimuovere limiti e ostacoli alla attività di imprese, a liberalizzare i comparti ancora protetti, a incentivare le aggregazioni tra imprese, quali quelle spesso annunciate dal Governo, potrebbero difendere l’italianità molto di più di quanto si pensi.