Per evitare gli aiuti dell’Ue l’Italia si liberi dei suoi ‘carrozzoni’

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Per evitare gli aiuti dell’Ue l’Italia si liberi dei suoi ‘carrozzoni’

03 Luglio 2012

I mutamenti istituzionali importanti che ci sono stati, nel vertice europeo appena concluso, riguardano l’assetto bancario, con la creazione di un organo di vigilanza su tutte le banche europee e con la possibilità che quelle in crisi siano ricapitalizzate a cura del Meccanismo europeo di stabilità. Invece la decisione di affidare al Mes il compito di acquistare sul mercato secondario titoli pubblici degli stati virtuosi, con spread anomali, non è una novità istituzionale in quanto ciò era già previsto, in linea di principio, dallo statuto del Mes.

La novità consiste nel fatto che Monti ha strappato ad Angela Merkel l’assenso a rendere operativo questo scudo anti spread, grazie all’alleanza con il premier spagnolo Rajoy e con il presidente francese Hollande. Ora Olanda e Finlandia fanno obiezioni a questa decisione, sicché manca l’unanimità a livello di Consiglio europeo. Ma ciò non ha effetti sostanziali perché come ho notato, lo statuto del Mes già prevede questa possibilità. E pertanto non c’è bisogno di una delibera di contenuto “istituzionale“ per renderla operativa. Basta la decisione “politica” del vertice europeo, cui dovranno seguire le delibere sugli aiuti nei singoli casi. E questi, per tener conto dei dissensi, saranno adottati in modo parsimonioso.

Ciò però non cambia il quadro rispetto a ciò che già si poteva osservare venerdì. Infatti sin quando il MES non abbia, per se o per una sua sezione apposita, lo statuto di banca, l’entità di questi interventi anti spread sarà limitata dal fatto che la sua dotazione è solo di 500 miliardi di euro. Da ciò consegue che a beneficiare dello “scudo” sarà essenzialmente la Spagna, che ha un urgente bisogno di interventi per moderare i tassi di interesse riguardanti le sue emissioni di Bonos.

Essa avendo nel 2012 un deficit di bilancio superiore al 5% del Pil e avendo nel 2013 un nuovo deficit, non molto minore,in percentuale sul Pil con un sistema bancario che non è in grado di comperare altro debito nazionale, ha bisogno di un sostegno esterno. A ben guardare, è Madrid, la vera beneficiaria dei risultati del vertice europeo dello scorso venerdì. La Spagna riceve 100 miliardi dal Mes per la ricapitalizzazione delle sue banche, senza che ciò comporti un credito privilegiato del Mes, e per giunta ha ottenuto il diritto a interventi del MES per l’acquisto di Bonos.

In sostanza il vertice è servito sia per varare una importante riforma istituzionale dell’euro zona, ossia il primo nucleo di una unione bancaria, sotto l’usbergo di Bce, che accresce di molto i poteri di questa nel governo finanziario dell’eurozona e sia per attuare un piano di salvataggio per la Spagna: che riguarda tanto le sue banche che il suo debito pubblico. Esso, nonostante la latitudine degli interventi, non comporta quei vincoli di commissariamento che, sino ad ora, hanno caratterizzato tutte le operazioni analoghe, effettuate sulla base del modello del Fondo Monetario Internazionale. Il costo del salvataggio della Spagna e delle sue banche ricade su tutti gli stati dell’euro zona, Italia compresa, che vi contribuisce per il 17%. Mario Monti ha dichiarato che ritiene che l’Italia non avrò bisogno di far uso dell’intervento del Mes per il suo debito pubblico. Se ne può arguire che la sua “vittoria” sulla Merkel, in realtà è una vittoria della Spagna. Ciò è esatto, ma a una condizione: che si possa definire come una “vera vittoria“ il fatto che la Spagna riceva questi aiuti.

E qui sovviene il patto con il diavolo fatto da Faust: che all’inizio è gradevole, ma poi comporta per Faust un fardello pesante. Infatti l’intervento del Mes nelle banche spagnole, assieme alla nuova vigilanza sul credito in Europa da parte della Bce, non sarà senza conseguenze sui poteri di gestione del credito e del risparmio in Spagna. Se si considera il ruolo che ha avuto sin qui l’intreccio fra il potere politico e il potere bancario nel sistema economico-politico spagnolo a livello nazionale e a livello regionale, questo apporto di 100 miliardi dell’Europa per le Cajas (le casse di risparmio spagnole) e i loro conglomerati in crisi, appare un patto con Mefistofele. Un discorso analogo riguarda gli acquisti di titoli pubblici spagnoli sul mercato secondario da parte del Mes.

Prima o poi i Bonos scadono. Inoltre il governo di Madrid dovrà versare annualmente al Mes una quota del suo gettito fiscale, per pagare il servizio degli interessi. Si può obbiettare che, comunque, questi interessi il governo spagnolo li deve versare a qualcuno e che l’intervento del Mes serve a calmierarli. Resta però il fatto che proprietari del Mes sono gli stati membri dell’euro zona e che ad esso presiederà il Consiglio dei ministri finanziari dell’Unione europea in cui la Germania, con l’Olanda, l’Austria e la Finlandia arriva al 34% ,mentre la Francia ha un altro 20%. Ci sarà un direttorio europeo, che comanderà sulla Spagna. Un analogo rischio vale per l’Italia qualora dovesse ricorrere al Mes.

E così si torna alla questione di fondo: mentre l’unione bancaria europea è un passo avanti dell’Europa gli aiuti del Mes, sono una perdita di sovranità per chi vi dovesse ricorrere. Quale possa essere il modo, per l’Italia, per non essere costretta ad avere bisogno del Mes, lo si può leggere nella stampa internazionale, anche in questi giorni. Essa suggerisce: I) una riforma del mercato del lavoro , simile a quella attuata in Germania, ossia in sostanza la contrattazione aziendale come nel modello Marchionne, che l’articolo 8 di Maurizio Sacconi avrebbe consentito se non fosse stato “sterilizzato”; II) una politica di crescita, per ridurre il rapporto debito Pil aumentando il Pil. In realtà, ciò non basta per contenere l’attuale squilibrio fra offerta e domanda di debito pubblico italiano.

A questo fine è essenziale una politica di riduzione del debito, alternativa all’acquisto da parte del Mes, realizzabile con la alienazione di beni pubblici per ridurre lo stock del debito. In questo modo è possibile ridurre il debito senza il patto con Mefistofele. Ma occorre anche ricordare che la schiavitù di una nazione non consiste solo nel suo debito pubblico verso l’estero, consiste anche nel deficit di bilancio dei pagamenti correnti, che viene coperto o con l’acquisto estero di debito pubblico nazionale o con l’indebitamento dell’economia verso l’estero. E per ridurre questo deficit è essenziale il contratto di lavoro aziendale basato sulla produttività.

Più in generale è essenziale svecchiare l’Italia da strutture oramai anacronistiche. Nei riguardi dell’Europa non si deve ripetere l’errore di Prodi, che fece entrare l’Italia nell’euro zona, per salvaguardare il vetusto modello economico-politico benesserista e sindacal corporativo basato sulla alleanza fra ex comunisti e cattolici di sinistra con i poteri bancari e industriali tradizionali. Sembra che Pier Ferdinando Casini ritenga possibile resuscitare questo modello, grazie al sollievo dato dagli aiuti finanziari europei. Ma deve esser chiaro che si tratta di un modello che è già fallito una volta, e che la seconda volta sarebbe un patto con Mefistofele. Firmarlo è facile e dà sollievo, ma il brutto viene dopo.