Per fronteggiare l’avanzata islamista, i partiti egiziani guardano a copti e sufi
29 Ottobre 2011
di Nino Orto
Ora che anche in Libia le armi tacciono, in attesa del futuro, e che le prime elezioni libere in Tunisia hanno decretato la vittoria degli islamisti di Ennahda, l’attenzione internazionale si sposta alla prossima tornata elettorale che coinvolgerà almeno sessanta milioni di egiziani e che potrebbe dare un punto di svolta all’islam politico sunnita. Il 28 Novembre ci sarà la prima delle tre fasi per l’elezione dei membri della Camera, cui seguiranno altri due turni il 14 Dicembre e il 3 Gennaio.
La legge elettorale promulgata dalle forze armate egiziane prevede l’elezione dei due terzi dei deputati delle due Camere, sulla base di uno scrutinio di liste chiuse con sistema proporzionale, e dell’ultimo terzo con scrutinio uninominale riservato agli indipendenti, ciò proprio per evitare che un solo partito possa ottenere la maggioranza assoluta dei seggi. Alle elezioni ci saranno decine di partiti e c’è una forte speranza che il sistema elettorale permetta un’ampia scelta per gli elettori egiziani. Tuttavia, l’eccessiva parcellizzazione potrebbe rendere molto difficoltoso creare una stabile maggioranza per governare il paese.
Oggi in Egitto fervono le preparazioni per le prime elezioni libere post-Mubarak e mentre la vittoria dei Fratelli Musulmani appare scontata, i laici cercano di arginare la preponderanza degli islamisti aprendo a nuove alleanze tra i cristiani copti e i sufi. “Possiamo dire alla gente di essere moderata e non estremista, per poter alzare la bandiera della scienza e dell’intellettualismo affinché si contribuisca a formare un nuovo e moderno Egitto”, è con questo manifesto elettorale che Asharaf Fatih Al Bab, segretario generale di uno dei maggiori partiti secolaristi dell’Egitto, il Democratic People’s Party, cerca di allargare quanto più il proprio bacino elettorale in un arena politica completamente dominata dalla storia e dall’appeal islamistico dei Fratelli Musulmani.
Si tratta di una doppia chiamata verso i cristiani copti egiziani, la più consistente comunità cristiana in Medio Oriente, nonché la più grande minoranza della nazione che, maggiormente minacciata dalle derive estremistiche di un governo mal gestito, sono sensibili ad appelli di questo genere; E’ anche un forte richiamo verso quel segmento della galassia musulmana non allineata al credo comune e non rappresentata a livello politico dai sufisti.
Il sufismo è una setta mistica incentrata sull’idea dell’unione meditativa con Dio. Essa invita a venerare tramite un culto individuale non offrendo nessuna reale alternativa dottrinale ma aggiungendo una dimensione spirituale ed emotiva all’ortodossia sunnita. Questo ha portato fin da subito il movimento sufista in conflitto con il sentire comune dell’islam ufficiale. Da ciò ne sono scaturite cicliche repressioni nel corso dei secoli, mentre in epoca moderna, i sufisti si sono riusciti a radicare in numerosissime confraternite e in diversi paesi affiancando di fatto la presenza dell’Islam ufficiale.
Avvicinandosi a queste forze silenziose, stimate intorno ai quindici milioni, si cerca di far penetrare il pensiero secolarista dalle città verso le campagne là dove è più potente il richiamo dei Fratelli Musulmani e meno palpabile l’influenza europea tuttavia, non sono poche le incognite sulla reale presa tra le masse di tale manifesto elettorale.
La totale assenza di strutture politiche e di rappresentanza nel sufismo non deriva da particolari repressioni o angherie del passato regime ma proprio perché rifiuta qualsiasi ideologia che non sia l’adorazione meditativa di Dio mentre i cristiani copti sono poco propensi a delegare proprie aspirazioni a personaggi non provenienti dalle proprie file.
Mentre in Occidente ci si preoccupa della bontà riformista delle nuove generazioni dei Fratelli Musulmani in attesa di vedere quello che accadrà, una piccola rivoluzione culturale il paese dei faraoni l’ha sicuramente già avuta con il risveglio politico di masse di persone totalmente escluse dalla vita politica per decenni sotto la dittatura di Mubarak. Se il cleavage principale delle prossime elezioni egiziane sarà basato tutto sulla contrapposizione laicisti/islamisti, il meccanismo che si è messo in moto con la primavera araba tocca più profondamente la concezione politica della religione islamica e la sua applicazione nella realtà quotidiana e nella legge coranica.
Come visto in Tunisia, i partiti islamici che vinceranno le elezioni in quei paesi scossi dalle rivoluzioni popolari dovranno certamente tenere conto di una popolazione maggiormente istruita e non più tollerante nei confronti degli abusi dei diritti umani, tutti elementi che certamente concorreranno a frenare ogni colpo di mano per imporre una visione più estremistica, e che innescheranno un lento processo di secolarizzazione di questi partiti.
Paradossalmente, il processo di rivoluzione in atto in Medio Oriente ha portato ad una revisione della stessa ortodossia sunnita di cui il Cairo è il cuore pulsante, e se in Tunisia il partito di Ennadha si è esplicitamente ispirato al modello turco dell’Akp non è detto che l’Egitto non possa elaborare una propria via con i Fratelli Musulmani.
In Egitto è nato il panarabismo, la più potente ideologia non islamica che abbia mai scosso le terre del Vicino Levante, e non è da escludere che sempre nel paese delle piramidi non possa nascere un movimento riformista islamico, possibilmente affiancato da una consistente forza laica e progressista nelle città. Sicuramente l’Egitto non è la Tunisia ma non è nemmeno la Libia, ed è tanto.