Per gli Usa non sarà facile uscire dall’Afghanistan
24 Giugno 2011
L’America si prepara a lasciare l’Afghanistan e i Paesi Nato la seguiranno a breve. Non è il Vietnam, gli USA non ripercorreranno i passi confusi del 1975 e Obama sa bene di non poter lasciare il Paese senza le adeguate garanzie. Lo ha annunciato ieri e le sue parole sembrano chiare. Questa volta si fa sul serio.
L’exit strategy seguirà tappe serrate e allo stesso tempo utili a non guastare quanto di buono è stato fatto in questi anni. La questione è delicata: nella fase iniziale si prevede un ritiro limitato (circa il 10% delle truppe dispiegate), si cercherà di minimizzare i rischi e le lacune tattico-operative che potrebbero emergere dalla riduzione degli uomini. Nella transizione servirà cautela: le prime aree a tornare sotto il controllo afgano saranno le province del Panjshir, Bamiyan e Kabul (in realtà la sicurezza della capitale, ad eccezione dei quartieri più sensibili, è già saldamente nelle mani delle forze di polizia locali), poi toccherà alle città di Mazar-e-Sharif, Herat, Lashkar Gah e Mehtar Lam, tutti luoghi relativamente tranquilli.
Washington si ispira all’Iraq. Lì gli americani, grazie alla vincente strategia del generale David Petraeus, riuscirono a gestire bene la transizione, ma sembra azzardato accennare paragoni. Alcuni ingredienti dovranno cambiare e di questo ne è profondamente convinto lo stesso Petraeus. Questi se ne rese conto non appena mise piede sul teatro afgano nel 2010, in qualità di comandante in capo delle forze occidentali. Oltre alla conformazione del suolo, che ha una notevole rilevanza strategica, è la struttura della società che distingue in maniera più netta i due Paesi. In Iraq il coinvolgimento dei sunniti – fedeli al regime di Saddam Hussein – al governo facilitò il successo americano. Dinamiche simili si evidenziano solo oggi in Afghanistan e gli obiettivi che i vertici militari alleati intendono perseguire, attraverso l’avvio di trattative con gli insorti, sembrano essere gli stessi: favorire un dialogo che scongiuri nuove tensioni interne tra etnie.
Non c’è spazio per le improvvisazioni. Già da tempo, ben prima delle dichiarazioni ufficiali del presidente Obama, le forze afgane si preparano a questo momento, potenziando le loro iniziative. Piccole unità autonome, un tempo d’appoggio ai reparti occidentali, svolgono pattugliamenti e azioni militari indipendenti. Ma il ruolo Usa e Nato resta fondamentale in diversi settori come la pianificazione e la ricostruzione e l’intelligence. Ci si aspetta che, con il progressivo ritiro dalle aree chiave, la rete di informazioni si ridurrà, soprattutto nelle zone dove i talebani sono più forti. A questo punto gli insorti cercheranno di colmare il vuoto lasciato, tentando di rafforzarsi e di massimizzare gli sforzi per espandere il loro potere.
Un ulteriore problema con cui l’America dovrà confrontarsi durante la partenza, è la logistica. L’Afghanistan non ha sbocchi sul mare. Centinaia di container e camion pieni di carburante sono costretti a transitare ogni giorno attraverso il vicino Pakistan, per poi raggiungere le basi da nord. Mantenere buoni rapporti con Islamabad sarà di vitale importanza anche per permettere agli uomini e ai mezzi di lasciare il Paese. Dunque, la dipendenza dal Pakistan non può essere sottovalutata. Gli Stati Uniti avrebbero a disposizione una via alternativa verso nord, un potenziamento delle vie di comunicazione che legano il Mar Baltico ai territori dell’Asia centrale. 3200 miglia di rotaie, ma si tratta di un progetto a guida russa che non cambierebbe di molto la situazione in termini economico-strategici.
Tutto ciò potrebbe contribuire a rendere il ritiro americano particolarmente complicato. La riorganizzazione delle truppe può esporre a maggiori rischi tutti i contingenti che operano sotto l’ombrello della Nato. Washington dovrà progressivamente sganciarsi dal conflitto, accelerando il consolidamento delle posizioni più sicure e bilanciando la necessità di ritirarsi con quella di garantire alle forze di sicurezza del Paese gli aiuti necessari. La guerra è quasi finita.