Per i Paesi dell’Europa dell’Est la NATO è ancora quella di una volta

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Per i Paesi dell’Europa dell’Est la NATO è ancora quella di una volta

27 Aprile 2011

Non è facile spiegare quale sia il significato della NATO per i nuovi Paesi membri dell’Alleanza, ma vale la pena approfondirne l’argomento. Il caso di studio riguarda principalmente l’espansione compresa fra il 1999-2004 e le considerazioni riguardano i punti di vista dei Paesi dell’ex blocco sovietico. Bisogna aggiungere che simili osservazioni non possono essere estese agli stati dell’ex Jugoslavia, che avendo avuto un passato politico differente vedono e percepiscono la NATO un po’ diversamente.

L’Italia, e quasi tutti i paesi dell’Europa Occidentale, tendono a guardare la NATO come una vecchia alleanza che ha servito "la causa" (arginare il comunismo sovietico) e, adesso che la Guerra Fredda è finita, se non vuol diventare qualcosa di obsoleto, deve trovare una nuova identità e definire nel migliore dei modi possibili i suoi compiti – un po’ come si è cercato di fare con le operazioni "fuori teatro", dall’Afghanistan alla Libia. Ma è veramente così per tutti gli stati che fanno attualmente parte dell’Alleanza? Osservando con attenzione gli stati dell’Europa orientale si scopre che per essi il "vecchio" ruolo della NATO è ancora molto attuale. Anzi, è proprio in questo momento che l’Alleanza potrebbe assolvere al suo compito primario, e cioè garantire l’incolumità dell’Europa dell’Est da un nemico un po’ reale e un po’ immaginario: la Russia, diretta erede dell’URSS.

Dopo il crollo del corrotto comunismo sovietico anche il temuto (e sopravalutato) "Patto di Varsavia" cessò di esistere. La maggioranza dei Paesi che appartenevano al vecchio blocco fece i primi passi verso la democrazia, anche se, a distanza di anni, molti di essi paiono ancora lontani dall’aver raggiunto una qualche perfezione. Il cammino verso una meta del genere era irto di rischi e di ostacoli e, proprio per favorire quel fragile processo di democratizzazione, e renderlo irreversibile, i governi dell’Europa orientale decisero di puntare tutto su una rapida integrazione nelle strutture Euro-Atlantiche. Quest’approccio avrebbe dovuto offrire più stabilità politica e garantire maggiore sicurezza.

Non fu una decisione facile, in quanto si usciva da un blocco militare per finire dritto in un altro, ma c’era una motivazione principale che veniva condivisa da tutti gli attori in gioco. Tale motivazione riguardava (e tuttora riguarda) il timore nei confronti della Russia, la quale già dalla seconda metà degli anni Novanta non sembrava più incline a procedere nel senso di una trasformazione democratica dello stato e, quindi, rappresentava nuovamente una minaccia per tutti quelli che invece il cambiamento erano riusciti ad attuarlo, diventando così politicamente incompatibili con il loro ex padrone.

Ovviamente, il processo di avvicinamento ed entrata nelle strutture euro-atlantiche da parte dei Paesi dell’Est è avvenuto molto velocemente, dal 1999 al 2004, lasciando pochissimo spazio di manovra alla Russia, per molto tempo indebolita e alle prese con le questioni interni potenzialmente destabilizzanti. Oggi la situazione è diversa. La Russia si è ripresa del tutto dai vecchi problemi ed è entrata attivamentenella politica di equilibri di potere. Chi conosce bene la politica attuale del Cremlino sa che la NATO e l’Occidente in generale continuano ad essere percepiti come dei rivali sia dal punto di vista politico che ideologico. Ogni minimo piano di espansione della NATO verso l’Europa Orientale, e più in generale verso i paesi dell’ex blocco sovietico, viene vissuta dalla Russia come una sconfitta ideologica destinata a perpetuare ed innalzare il "tasso di antagonismo" fra i giocatori nell’area. Nell’agosto del 2008, con l’invasione della Georgia, abbiamo già visto fin dove possa spingersi Mosca in difesa del suo interesse nazionale, quando si sente minacciata.

La NATO continua tuttora la sua espansione ma, è evidente, il processo di allargamento adesso riguarda soprattutto i Balcani dove la "paura" degli stati della ex-Jugoslavia verso il neo-espansionismo russo è pressoché inesistente. Ancora una volta, l’unico Paese che, chiedendo di entrare nell’Alleanza, potrebbe scompigliare le carte e riaccendere le tensioni è proprio la Georgia e la "questione georgiana" è un argomento molto complesso che merita di essere trattato separatamente. Tali differenze nel percepire il ruolo della NATO ci portano inevitabilmente davanti a punti di vista differenti sull’utilità e sul destino dell’Alleanza. Ed ecco spiegato come mai le posizioni riguardanti la politica di espansione, i tempi e i metodi dell’allargamento, la scelta dei candidati, siano così variegate. La verità è che ci vuole maggiore consenso, posizioni chiaramente condivise, per evitare di alimentare false speranze e causare grosse delusioni nei Paesi che simpatizzano per l’Alleanza e aspirano a entrarci. Se la Nato fallisse di accordarsi su questi punti basilari, rinunciasse a trovare una identità comune, e continuasse a parlare con più voci (anche se non ufficiali), il rischio sarebbe di trasformarsi in un altro “orco burocratico”  come l’Unione Europea.