Per il mondo dello spettacolo e della cultura la manna è finita
25 Novembre 2010
Il mondo della cultura e dello spettacolo trova un nuovo importante alleato: il Presidente della Repubblica. Napolitano ha affermato che non è attraverso la “mortificazione” della cultura che “troveremo nuove vie per il nostro sviluppo economico e sociale”.
Da tempo ormai le rivendicazioni fanno leva sull’effetto moltiplicatore degli investimenti in cultura. Facendo tesoro della lezione di Keynes, ora il concetto di moltiplicatore della spesa pubblica viene declinato a suo favore. Gli investimenti in cultura avrebbero infatti una caratteristica anticiclica. Dietro tali affermazioni si nasconde in realtà solamente la ricerca di una giustificazione scientifica ed inoppugnabile affinchè lo Stato dia sostegno alla cultura.
Nei giorni scorsi si è svolta la manifestazione “Florens 2010″, dedicata al tema dei beni culturali. Tra gli studi proposti non poteva mancarne uno sull’effetto della spesa in termini di crescita di Pil e di occupazione: ogni 100 euro di investimenti nel settore culturale si attivano 249 euro di PIL nel sistema economico. Per quanto riguarda invece l’occupazione: “2 unità di lavoro nel settore culturale generano 3 unità di lavoro nel sistema economico”.
Come sostiene Hunter Lewis nel suo “Tutti gli errori di Keynes“: “Il moltiplicatore di Keynes è forse il suo concetto più conosciuto […] Si tratta di un esempio da manuale di uso improprio della matematica per fare in modo che una cosa incerta sembri il contrario”. La finalità del moltiplicatore è quella di quantificare ciò che non può essere quantificabile.
Qualche settimana fa, a proposito delle proteste contro la riforma delle pensioni che animavano la Francia, l’Economist scriveva: “[They] appear to believe that public money is printed in heaven and will rain down for ever like manna to pay for pensions, welfare, medical care and impenetrable avant-garde movies”. Ecco, ogni giustificazione è buona per reclamare soldi pubblici, come se i soldi venissero stampati in paradiso.
Lo sciopero di ieri aveva fra le sue rivendicazioni la richiesta di risorse aggiuntive a quelle già assegnate. Qui non si contesta il fatto che il FUS abbia fatto registrare in questi ultimi anni un decremento delle risorse stanziate per il settore. Ma sarebbe opportuno che il dibattito vertesse sui modi alternativi di sostenere il comparto, separando quei settori più attrezzati ad affrontare il mercato dagli altri.
La scelta operata di sopprimere alcuni enti come l’ETI (Ente teatrale italiano) va nella giusta direzione, ovvero quella di ridurre quei soggetti pubblici che una analisi costi-benefici farebbe ritenere non necessari. Spiace allora che il Presidente Napolitano definisca “inspiegabile” la soppressione di tale ente.
Lo sciopero di qualche giorno fa è stato orchestrato assai bene per il risalto che i media gli hanno dato. In realtà è stato un discreto flop. I teatri erano chiusi perchè ogni lunedì dell’anno lo sono. Le sale cinematografiche invece erano regolarmente aperte: si proiettavano film e si staccavano biglietti. Nelle prossime settimane la protesta continuerà. E’ probabile che attraverso il decreto milleproroghe qualche risorsa aggiuntiva per lo spettacolo verrà trovata. Forse il mondo dello spettacolo vedrà accolte le proprie rivendicazioni minime: reintegro del FUS e rinnovo delle agevolazioni fiscali per il cinema. Queste ultime rappresentano una modalità “altra” di sostenere il settore. Se aiuto ci deve essere, allora meglio che sia indiretto.
In un commento comparso sul Corriere della Sera di domenica scorsa, Severino Salvemini portava all’attenzione il caso francese, “dove una legge sui mecenats introdotta nel 2003 ha sviluppato un sistema di fundraising privato di successo [Inoltre …] il ministro Frédéric Mitterand sta studiando di elevare la soglia di deduzione fiscale delle persone fisiche, nel caso di donazioni alla cultura, alla educazione e alle organizzazioni umanitarie. E la vuole portare al 60% dell’imposta”.
Questa sarebbe una buona cosa anche per l’Italia, dove il sistema di agevolazioni fiscali è insufficiente e da semplificare. Secondo un rapporto realizzato da Civita, solo il 5,6% delle donazioni è per arte e cultura. A livello pro capite è di 19,9 euro negli Stati Uniti e di 0,9 euro in Italia. Se da noi a donare sono in primis le imprese (mentre negli Stati Uniti i donatori sono in larga maggioranza persone fisiche), questo avviene perchè in Italia il sistema degli sgravi fiscali prevede la piena deduzione per le imprese e una deduzione del 19% per le persone fisiche.
La leva fiscale rappresenta allora un forte incentivo per attrarre risorse da soggetti privati, ed è per questo che sarebbe opportuno cominciare dal cinema per invertire la rotta dell’intervento dello Stato.