Per il Pakistan Musharraf è il problema non la soluzione

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Per il Pakistan Musharraf è il problema non la soluzione

Per il Pakistan Musharraf è il problema non la soluzione

04 Gennaio 2008

L’intervista a John Bolton pubblicata dall’Occidentale il 31
dicembre è di straordinario interesse, e non solo perché evidenzia uno scontro
al calor bianco all’interno dell’Amministrazione Bush tra lo stesso Bolton – che
è il plenipotenziario di Bush proprio per il Pakistan – e il segretario di
Stato, Condoleezza Rice. Su questo punto, il lettore italiano può solo prendere
atto e stupirsi per la straordinaria franchezza con cui Bolton accusa un membro
del proprio governo di avere sbagliato in tutto e per tutto a favorire il
ritorno di Benazir Bhutto, di aver contribuito a portare il Pakistan nel caos,
di sbagliare nel voler perseguire “dettagli” come la democratizzazione di un
paese chiave nella lotta al terrorismo. Non è la prima volta nella storia degli
esecutivi americani che si verificano scontri del genere, ma è pur sempre grave
che questo accada su un punto di crisi centrale su scala planetaria, che
coinvolga il segretario di Stato e il fiduciario del presidente su quello
specifico punto di crisi e soprattutto che sia così tranchant. Le accuse che
Bolton porta alla Rice sono infatti di peso addirittura più grave di quelle
portate da buona parte dei candidati alla presidenza a Bush, sullo stesso tema.

L’aspetto più interessante dell’intera intervista, però, è
lo schema del ragionamento di Bolton, perché rappresenta una incredibile
continuità con lo schema usato dalle amministrazioni americane dal 1956 in poi nei confronti
dei paesi islamici, dalla crisi di Suez del 1956 (quando Eisenhower “costruì”
la statura di leader dando una vittoria a tavolino a Nasser, vergognosamente
sconfitto sul terreno da Israele), in poi. Lo schema di Bolton è semplice e si
limita a preservare gli interessi strategici immediati riguardanti la difesa
della sicurezza nazionale. Punto. Nessuna preoccupazione di prospettiva, nessun
“disegno”, nessuna architettura politica di sistema.

Quello che interessa a Bolton, e lo dice, è solo e
unicamente la sorte dell’apparato militare atomico pakistano, null’altro. Il
resto sono “dettagli”, sia la costruzione di un forte esecutivo di unità
nazionale in Pakistan, perseguita dalla Rice con il ritorno della Bhutto, sia –
addirittura – la fine della dittatura militare perseguita personalmente dallo
stesso Bush che ha chiesto in prima persona a Musharraf di abbandonare il ruolo
di capo delle Forze Armate nel momento in cui si faceva eleggere per la terza
volta, da un parlamento non democratico, capo dello Stato. Tutto questo è
considerato con fastidio da un Bolton che addirittura chiede ai politici pakistani
– e alla Rice – un time out, un farsi da parte e intende investire di pieni
poteri Musharraf, per la semplice e unica ragione che si fida di lui, come
apertamente dice.

Tutto questo non scandalizza certo, in linea di principio:
Bolton è un falco e questa sua potrebbe essere semplicemente una affermazione
di realpolitik. A fronte del concreto pericolo che l’atomica pakistana cada
nelle mani di generali inaffidabili o peggio ancora, è meglio una sana
dittatura militare di un generale che sinora ha dato pieno affidamento a
Washington di essere – nonostante tutto – interno alla catena di comando Usa.
Quella catena di comando, non va dimenticato, che ha fatto negli ultimi trenta
anni l’incredibile errore di favorire un progetto che ha fatto sì che i
militari pakistani, per nulla formati in una cultura laica, ma ispirati da un
ideologo fondamentalista come Abu Ala al Mawdudi (caso unico al mondo), con i
soldi dei fondamentalisti sauditi, si dotassero di bombe atomiche. Lo scandalo,
addirittura lo stupore, riguarda altro: la totale, assoluta, reiterata
incapacità di Bolton di comprendere che se oggi c’è un pericolo che l’atomica
pakistana cada nelle mani di fondamentalisti, la responsabilità è tutta e sola
di Musharraf e di chi l’ha sostenuto dal 1999 in poi, prima Clinton,
e poi Bush. Tutto qui.

Musharraf è al potere dal 1999, e otto anni sono tanti,
tantissimi in termini politici, sono una fase, e in questo lunghissimo periodo
Musharraf – e i suoi partner – sono riusciti letteralmente a costruire una
situazione che nel momento del golpe di Musharraf era impensabile. Nel 1999
infatti, il pur corrotto governo di Sharif forniva ampie garanzie di controllo
dell’arsenale atomico e dei generali fondamentalisti pakistani. Ma quando uno
di questi, Musharraf, appunto, si impegnò assieme a Osama Bin Laden nel tentativo
di far deflagrare una guerra in Kashimr (e quasi vi riuscì) e per questo fu
destituito dal comando dell’esercito, gli Usa si limitarono a reagire con
freddezza, in un primo momento, per poi dare pieno credito alle garanzie
offerte da un Musharraf che nel frattempo metteva a capo dei servizi segreti
(per dirne una), quel generale Mehmood che dei Talebani e di Osama bin Laden è
stato aperto complice sino all’11 settembre e che Bernard Henry Lévy accusa apertamente
di avere continuato a tramare con al Qaida sino ad oggi.

Sfugge dunque a Bolton il dato di fatto evidente e palese:
Musharraf ha sì dato agli Usa (in cambio di uno straordinario arricchimento
personale) garanzie di partecipazione alla lotta al terrorismo e anche
eccellenti possibilità di investimento in Pakistan grazie alle sue riforme
economiche, ma ha sgretolato politicamente il paese. Quello pakistano è
infatti  un quadro identico a quello che
ha preceduto la presa del potere di Khomeini, là dove l’elemento centrale per
gli Usa era il ruolo strategico (petroliferi ma anche di piazzaforte militare
piazzata nelle costole energetiche dell’Urss) dello scià, là dove le uniche
riforme patrocinate dagli Usa  – sin dai
tempi di Kennedy – sono state quelle economiche, là dove è stato per venti anni
abissale il totale disinteresse americano non già per la democrazia in Iran
(elemento che attiene a una sfera etica qui ininteressante), ma per la capacità
del regime dello scià di comporre in qualche modo, le tensioni sociali,
politiche e ideologiche del paese.

Novello Reza Pahlevi, Musharraf ha dato ampia, sconcertante
prova di non intendere minimamente intaccare la forma stato del Pakistan che il
suo mentore – Zia Ul Haq – con l’incredibile appoggio americano aveva impostato
sui più duri principi fondamentalisti di al Mawdudi, non a caso chiamato “il
Khomeini sunnita”.  Dopo aver mantenuta
intatta la forma stato inquisitoriale del paese islamico più anticristiano che
ci sia – istituzionalmente – dopo l’Arabia Saudita (vi si può essere condannati
a morte per avere sostenuto in pubblico che “Cristo è figlio di Dio” ed è
successo e un vescovo cattolico si è suicidato in pubblico nel 1998 per
protestare contro la legge, la Blasphemy Law
che lo impone), Musharraf è riuscito a disgregare radicalmente ogni senso di
unità nazionale alla base, come al vertice dello Stato. Esattamente come lo
scià che costruì letteralmente, assieme agli Usa, l’impossibile, rapidissimo
successo di Khomeini, solo e unicamente a causa della incapacità di costruire
un riformismo autoritario (alla Franco, alla Ataturk, alla Sadat), che
assorbisse le spinte di assestamento del paese.

Bolton, tutto questo non lo sa e non lo vuole leggere, come
già Carter e si aggrappa, come Carter, nella difesa a oltranza di un satrapo%0D
incapace, perché questi è in buona sostanza Musharraf. Il tutto, lo ripetiamo,
all’interno di una tradizione americana che ha applicato questo stesso identico
schema già molte volte, costruendo così a tavolino proprie clamorose sconfitte.
Kennedy, dopo Eisenhower, appoggiò e finanziò per anni Nasser, convinto che lo
sviluppo economico lo avrebbe portato dentro la sfera di mercato dell’Occidente
(illuso in questo da W.W. Rostow), salvo poi scoprire che i miliardi di dollari
per l’agricoltura del delta erano stati versati dal raìs a Mosca per comprare
Mig. Jhonson, con Kennedy e sempre con la consulenza di Rostow, riuscì a
perdere la guerra del Vietnam solo e unicamente perché invece di occuparsi
attivamente dei “dettagli”, si appoggiò a due Musharraf cattolici (in Vietnam!)
come Van Thieu e Cao Ky. Nixon e Carter (dopo Kennedy e Jhonson) investirono
decine e decine di miliardi di dollari sullo scià, senza accorgersi che vi
erano tra il 1972 e il 1977 immense possibilità di imporgli un governo di unità
nazionale con quelle forze laiche (i nazionalisti eredi di Mossadeq) che alla
fine furono costrette a allearsi con Khomeini (salvo essere subito distrutte
politicamente e spesso anche fisicamente). George Bush padre ha investito miliardi
di dollari (e anche gli italiani, ancora oggi ogni Finanziaria ammortizza i
5.000 miliardi di lire nello scandalo Bnl Atlanta) nell’illusione reiterata che
l’ingresso nel mercato avrebbe imposto a Saddam delle riforme.

L’amministrazione di George W. Bush ha dato 10 miliardi di
dollari a Musharraf e non si è accorta che a tutto sono serviti, tranne a
costruire un quadro di comando nazionale – autoritario o democratico che fosse.
Anzi, hanno accelerato la dissoluzione del paese sotto la dispotica, ma inefficace
guida di Musharraf. Da qui a pochi mesi è dunque probabile che Musharraf cada
(di sicuro le elezioni di febbraio saranno una farsa) e che un qualche
“khomeini” d’accatto tenti la scalata del potere a Islamabad.  La speranza è che prima di quel momento John
Bolton, ma soprattutto George W. Bush, si accorgano che “i dettagli” sono
fondamentali e che Musharraf altri non è che la replica, in farsa, della
tragedia dell’Iran dello scià.