Per il “Partito Repubblica” è il momento di scommettere su Fini

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Per il “Partito Repubblica” è il momento di scommettere su Fini

24 Aprile 2010

Con il pentito mafioso Spatuzza si torna a uno scandalo di tipo più tradizionale. Ma la credibilità del teste è minima, e lo stesso Scalfari il 6 dicembre 2009 arriva a difendere Berlusconi dalle sue accuse. Lo fa dopo aver esaltato il No-B Day: "L’evento politico che si è svolto ieri a Roma dove centinaia di migliaia di persone, giovani in gran parte, hanno affollato le strade della città, la grande piazza di San Giovanni e tutti gli spazi circostanti con una manifestazione autogestita che aveva come obiettivo il ritiro della legge sul processo breve, delle leggi ad personam e insieme le dimissioni di Berlusconi. Sì, il vero tema che ha portato in piazza quel fiume di gente erano le dimissioni di Berlusconi. Forse è un tema poco politico o forse è troppo politico. Una politica si identifica con una persona? Si deve discutere del peccato ma non del peccatore? Ci sono diverse opinioni in proposito. I politici di lungo corso di solito preferiscono parlare del peccato: è un concetto astratto, raffigura un male e va condannato, ma il peccatore si può redimere e se lo fa merita perdono. Ma se il peccatore è recidivo? Se non si pente mai? Se risponde reiterando? C’è una soglia oltre la quale esplode la rabbia e questo è uno di quei momenti. Dicevano che i giovani sono indifferenti, ma le strade di Roma ieri non davano quest’impressione. La manifestazione non era di partito o dei partiti, è nata su Internet e si è autogestita. Guardate il risultato. Quando si parla di territorio e di democrazia che nasce dal basso, bisogna poi andarci su quel territorio e batter le mani a quella democrazia che nasce dal basso e che chiede sbocchi politici e strumenti politici per affermarsi".

Nel contempo, difende anche l’operato della magistratura. "L’accusa, ecco un punto molto importante da segnalare, è incardinata nella Procura di Palermo; quella stessa procura che sta guidando con perizia ed efficacia l’azione contro i latitanti di Cosa nostra. Non si tratta perciò – come Berlusconi continua invece a gridare – di toghe rosse che complottano contro di lui. Si tratta invece di magistrati che, proseguendo il percorso a suo tempo aperto da Caponnetto, Falcone, Borsellino, hanno smantellato pezzo per pezzo il potere mafioso".

Ma sulla "pesante accusa mafiosa contro Berlusconi e Dell’Utri, una sorta di gravissima chiamata di correità per un patto che sarebbe stato stipulato nel 1993 e sarebbe stato adesso tradito dai due eminenti contraenti" osserva che "l’attacco mafioso contro il governo è un fatto reale. Si svolge attraverso il pentito Spatuzza e anche attraverso le carte provenienti dalla famiglia Ciancimino. Per ora si tratta di ‘pesi leggeri’, ma nei prossimi giorni saranno chiamati a deporre i fratelli Graviano, già da tempo incarcerati sulla base del 41 bis. I Graviano sono i capi di un pezzo rilevante del sistema mafioso. Spatuzza è un loro dipendente. Ha scelto di pentirsi ma non li ha affatto rinnegati, anzi ne ha riaffermato non solo la dipendenza gerarchica ma un affetto familiare ‘come fossero i miei padri’ ha detto e ripetuto dinanzi al tribunale. Dal canto loro i Graviano, pur senza sponsorizzare le sue accuse contro Berlusconi-Dell’Utri, non l’hanno sconfessato né infamato ma hanno ricambiato con affetto il suo affetto. La loro imminente deposizione sarà dunque fondamentale per capire se le cose dette da Spatuzza sono ‘minchiate prive di peso’ oppure ‘minchiate pesanti’ cioè condivise da boss potenti. Il che non significa necessariamente che il famoso patto sia veramente esistito, ma che l’organizzazione terrorista mafiosa si considera in guerra con Berlusconi. Il perché è chiaro: il governo, il ministro dell’Interno e la Procura di Palermo stanno colpendo assai duramente in questi mesi la struttura del potere mafioso. Ieri è stato arrestato un boss molto potente, Giovanni Nicchi; la polizia è sulle tracce di un altro boss ancor più potente, Messina Denaro. I Graviano stanno già scontando l’ergastolo. A questo punto è possibile che tutto quel che resta di Cosa nostra passi al contrattacco. La chiamata di correo sarebbe così l’atto più rilevante di questa strategia. Ma la semplice denuncia di un patto tradito non basta a dare sostanza a una situazione processuale capace di sboccare in un rinvio a giudizio. Ci vogliono riscontri che l’accusa dovrà produrre".

D’altra parte, osserva Scalfari, "che cosa dice la pubblica opinione? Stando ai sondaggi la maggioranza relativa si affida alla magistratura, una minoranza consistente suggerisce al premier di dimettersi, un’altra minoranza anch’essa consistente condivide la parola ‘minchiate’ a proposito di Spatuzza; infine un 20% degli interpellati non sa e non gli importa di sapere. Ma quando si arriva alle intenzioni di voto si scopre che il consenso verso il governo è ancora sopra al 50% e il Pdl e la Lega sono posizionati a quota 49%. Se si votasse domani con questa legge elettorale la coalizione guidata da Berlusconi vincerebbe ancora largamente. Siamo dunque in pieno enigma e il suo scioglimento sembra ancora piuttosto lontano".

Nel contempo, non dalle colonne del giornale ma dai microfoni di Sky 24Mauro rilancia invece l’antiberlusconismo puro e duro, rimproverando al Partito democratico di non aver aderito formalmente al No-B day. "Bersani ha fatto benissimo a dire che il Pd in quanto tale non aderiva nel senso che non si trattava di una manifestazione indetta per portare i partiti sul palco. Però avrebbe potuto andare anche perché è il leader dell’opposizione, la gente che è andata in piazza ha chiarissimo quale sia l’avversario politico. Certe volte, i leader del Partito democratico e la loro base danno l’impressione di avere degli avversari diversi".

Comunque, Mauro, ovviamente dalle pagine di ‘Repubblica’, tiene a smentire coloro che lo indicano ormai come il vero capo dell’opposizione. "Staremmo freschi. Sono soltanto un giornalista, e il mio giornale svolge la sua funzione nell’ambito dei canoni del giornalismo, nient’altro". Ma sulla natura e l’esito del No-B Day anche lui gongola: "…ci lamentiamo sempre dell’apatia dei nostri giovani, dovremmo essere soddisfatti che una parte rilevante, insieme a tanti di altre generazioni, ha chiesto di dire la sua sulle vicende del Paese". C’è davvero la divaricazione che molti immaginano tra una linea di Scalfari più moderata e una di Mauro ormai intenta a correre appresso al dipietrismo? Quest’ultima sembrerebbe effettivamente prevalere nel momento in cui, nell’ultima settimana prima delle Regionali del 28-29 marzo 2010, ‘Repubblica’ lancia attraverso uno scritto di Leonardo Saviano un bizzarrio appello alla vigilanza Onu slle consultazioni: dopo che, semmai, è stato il Pdl a lamentare un vulnus democratico al saltare di una lista in Provincia di Roma. Peraltro, soprattutto per insipienza degli stessi presentatori.

Nella sua autobiografia, Il revisionista, Pansa, che dopo aver lavorato a ‘Repubblica’ dal 1978 al 1991 era passato all’‘Espresso’, racconta del suo ritorno alla collaborazione con ‘Repubblica’ nel 2003, su invito proprio di Mauro.

Però. dopo due anni durante i quali i suoi interventi si erano rarefatti al massimo, era andato dal direttore per chiarire il problema. "I miei articoli non gli costavano nulla. Avevo un contratto cosiddetto di gruppo che mi imponeva di produrre ogni settimana il Bestiario per ‘L’espresso’ e di scrivere almeno due pezzi al mese per il quotidiano di Ezio. Potevo rinunciare a farli, questi interventi su ‘Repubblica’.Mi sarei riposato di più senza perdere un soldo. Ma se dovevo scriverli per onorare il contratto non volevo limitarmi a rievocare fatti lontani nel tempo. Desideravo occuparmi di politica interna, il mio terreno professionale da tanti anni. La replica di Ezio fu abile, indiretta, ma densa di significato e non equivoca. Mi spiegò che lui e io eravamo in minoranza a ‘Repubblica’. Disse proprio così: ‘In minoranza’. Nel senso che la mia figura era ormai quella di un giornalista moderato, non di destra, ma neppure della sinistra senza se e senza ma. Anche lui vedeva la politica italiana più o meno come me. Ma l’opinione prevalente della sua redazione non era uguale alla nostra. Era assai più rossa e spesso di un colore rosso fuoco". Pansa cercherà allora di interrompere la collaborazione. Benedetto lo pregherà di riprenderla. "Perché non scrivi i pezzi previsti per il giornale di Ezio? Dovresti farlo. Sarebbe una buona cosa per ‘Repubblica’. Molti lettori la pensano come te. La tua presenza servirebbe a rendere meno monotono il giornale. Le opinioni che pubblica sono tutte uguali. Leggerle è diventato noioso".

Ma di fatto scriverà un solo altro articolo: il 4 luglio del 2007, in occasione della morte per sclerosi multipla dell’ex direttore di ‘Panorama’ e dell’‘Espresso’ Claudio Rinaldi. "Non potevo rifiutare e scrissi quel pezzo con le lacrime agli occhi. Piangevo e non trovavo i tasti del computer". Dopo di che lascerà anche il Gruppo Espresso, per approdare al ‘Riformista’ e a ‘Libero’. L’ultimo capitolo della sua autobiografia Pansa lo dedica al ‘giornale prigioniero’, cui rimprovera di essere "rimasto inchiodato sul percorso pedagogico tutto inclinato a sinistra, in difesa del Partito democratico". La sua opinione è che, malgrado la spiegazione contraria che gli aveva fornito, "sia stata una scelta di Mauro, un direttore troppo forte e autorevole per lasciarsi imporre qualcosa". Ma, continua Pansa, "è anche per questa cecità che, tra la fine del 2008 e l’inizio del 2009, ‘Repubblica’ è entrata in crisi". La crisi, in effetti, coinvolge tutta la stampa, italiana e mondiale, cui Tv e internet tolgono sempre più pubblicità e lettori. Ma è ‘Repubblica’ "a soffrire di più. Nel dicembre del 2008, secondo i dati della Federazione italiana degli editori di giornali, aveva perso il 15,2% delle copie diffuse rispetto al dicembre 2007. E il suo distacco dal ‘Corriere’ era cresciuto, poiché la flessione di via Solferino non aveva superato l’8%". Naturalmente, se il dato della crisi è oggettivo, l’analisi di Pansa può forse essere ritenuta opinabile. Certo, non si può attribuire questa crisi all’‘Unità’, che è tornata in edicola nel 2001 con la direzione di Furio Colombo, poi sostituito nel 2004 da Antonio Padellaro e nel 2008 dalla ex di ‘Repubblica’ Concita De Gregorio, su una piattaforma di antiberlusconismo sempre più militante; ma che, malgrado i finanziamenti dei gruppi Soru e Marcucci e un contributo pubblico record arrivato nel 2008 a 6.377.209 euro, ha continuato a perdere copie a sua volta: dalle 72.000 del 2001 alle 48.000 del 2008.

E quanto all’altro organo dell’antiberlusconismo militante ‘Il fatto quotidiano’, in edicola dal 23 settembre 2009 con la direzione di Antonio Padellaro e un ruolo forte di Marco Travaglio, la sua apparizione è troppo recente per aver influito direttamente sul calo di ‘Repubblica’. Le 150.000 copie di tiratura del ‘Fatto’ dimostrano però l’esistenza di uno spazio che probabilmente ‘Repubblica’, troppo allineata con il Partito democratico, non è riuscita a intercettare: insomma, ‘Repubblica’ risulta insoddisfacente non solo da destra, ma anche da sinistra, secondo quella peculiare interpretazione di sinistra e destra oggi corrente in Italia, che fa riferimento soprattutto alla posizione assunta nei confronti di Berlusconi.

Nel frattempo, il 15 dicembre 2008 è morto il vecchio editore Carlo Caracciolo, e il 26 gennaio del 2009 anche Carlo De Benedetti ha lasciato le presidenze operative delle società del suo gruppo, conservando però quelle di ‘Repubblica’ ed ‘Espresso’, con la facoltà di deciderne la direzione; sembra che questo sia avvenuto perché il figlio Rodolfo aveva manifestato l’intenzione di vendere le due testate, non trovandone più conveniente la gestione. Pansa conclude il suo libro dicendo di aver sentito dire "che Ezio è stanco. Dirige il giornale da dodici anni e vorrebbe lasciare, per andarsene negli Stati Uniti. Però ho imparato che il ‘sento dire’ spesso inganna". D’altra parte, anche su Berlusconi circolano insistenti voci da ‘fine regno’. Aria torbida di fine regno titola Scalfari il 25 ottobre 2009, elogiando "il disagio crescente di Gianfranco Fini verso la linea del Pdl".

"Fini si prepara a succedere a Berlusconi quando il premier dovrà cedere il comando per ragioni di calendario. Nel 2013 avrà 77 anni e avrà governato o comunque occupato la scena politica da diciotto. Dopo quanto è accaduto in questi mesi è esclusa una sua candidatura al Quirinale e neppure il lodo Alfano potrebbe impedire che i processi a suo carico vengano riaperti. A quel punto – ma in realtà almeno un anno prima – il problema della successione si porrà inevitabilmente e la rosa dei candidati vedrebbe Fini in ‘pole position’" scrive nell’editoriale del 13 settembre Il declino non si vede ma è già cominciato. "Qualora un’emergenza istituzionale dovesse prodursi all’improvviso (e la sentenza della Consulta sul lodo Alfano o altre questioni di analogo rilievo potrebbero determinarla anche a breve termine) la candidatura di Fini a sostituire l’attuale premier avrebbe forti probabilità di successo. Un governo Fini poggiato anche sul sostegno dell’Udc e su un’amichevole astensione del centrosinistra potrebbe essere la via d’uscita verso le riforme sempre auspicate ma mai portate in Parlamento, nonché su una normalizzazione della vita democratica dopo gli sconquassi del berlusconismo rampante. La conclusione dunque è questa: Fini si propone di essere il successore di Berlusconi alla guida d’un partito di destra democratica profondamente diverso dalla gestione ‘eversiva’ e assolutistica del Cavaliere di Arcore. Successore, non delfino". Meno male che c’è Fini era stato un titolo del 30 marzo.

L’investimento di Scalfari, arrivato a 85 anni, sull’erede ormai del tutto sdoganato del fascismo non attua solo una specie di par condicio con lo sdoganamento del Pci, ma in qualche modo chiude anche il cerchio con le sue esperienze di diciottenne al giornale dei Guf. Nella speranza, dal punto di vista di Fini, che non sia anch’esso un bacio della morte.

Tratto da Maurizio Stefanini, "Il partito ‘Repubblica’. Il giornale che vuole comandare tutti", Boroli Editore 2010