Per le grandi opere servono dialogo, confronto e coraggio

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Per le grandi opere servono dialogo, confronto e coraggio

08 Novembre 2010

Nei giorni scorsi il Consiglio Regionale ha approvato a maggioranza la legge di iniziativa della Giunta che limita la ricerca e l’estrazione di petrolio in Abruzzo. Una legge complessa che ha richiesto una lunga trattativa e una attenta riflessione. Modifiche alla legge, infatti, si erano rese necessarie dopo l’impugnativa da parte del Governo davanti alla Corte Costituzionale. Ne è seguita una laboriosa opera di mediazione da parte del presidente Chiodi. Il risultato però è stato un testo di legge che ha trovato l’accordo del Governo e che è riuscito far quadrare la salvaguardia del territorio con le norme costituzionali che regolano le competenze in materia energetica.

”Abbiamo risposto con i fatti – è stato il commento del presidente Chiodi -. Il nostro provvedimento non è al ribasso, come qualcuno ha sostenuto, ma rispetta appieno la legalità. Questo vuol dire fare gli interessi dell’Abruzzo, seguendo i principi della Costituzione”. Chiaro, dunque il riferimento del presidente Chiodi al rispetto della Costituzione da un lato e alla difesa del territorio dalla deriva petrolifera dall’altro, pur nella consapevolezza degli svantaggi, ma anche dei vantaggi, che ne sarebbero derivati. Una circostanza, quest’ultima che vale la pena di prendere come spunto per una riflessione.

Se è giusto e ragionevole difendere il proprio territorio è allo stesso modo importante non cadere nella trappola della Sindrome di NIMBY. Con questo termine (un acronimo inglese che sta per Not In My Back Yard, che tradotto significa: "Non nel mio cortile) si indica quell’atteggiamento che si riscontra contro le opere che, pur avendo un interesse pubblico, possono comportare o possono far temere, conseguenze negative sui territori in cui verranno realizzate.

Un’ipotesi che calza a pennello al Centro Oli di Ortona, ma che vale anche per altre opere di simile impatto come i termovalorizzatori, le discariche o le centrali elettriche. Intorno all’opportunità di una loro realizzazione in genere si riscontra il consenso collettivo. Eppure nel momento in cui si materializza la possibilità di una realizzazione sul proprio territorio, spuntano fuori numerose controindicazioni. E gli esempi in questo senso sono molteplici.

Ci si lamenta della scarsa competitività delle imprese a causa dell’alto costo dell’energia, ma bisogna ricordare che in molti casi le proteste dei cittadini hanno tentato di ostacolare progetti importanti. Per esempio l’ elettrodotto di Terna che dal Montenegro dovrebbe passare sotto la città di Pescara. Lo stesso si dica per i gasdotti della Snam o per le centrali a biomasse che se di piccole dimensioni sono utili all’ambiente e all’economia.

Inutile soffermarsi sul tema dei rifiuti e dei termovalorizzatori, tristemente alla ribalta della cronaca, con il dramma di Terzigno. E per restare in Abruzzo, un altro esempio del rischio della soccombenza del bene comune a causa della difesa ad oltranza del proprio territorio è rappresentato dalla Filovia. Si tratta di un’importante opera infrastrutturale in fase di realizzazione a Pescara e che, una volta completata, avrà effetti positivi non solo sulla viabilità ma anche sull’ambiente, riducendo la quantità di smog e di rumore che quotidianamente le auto riversano nell’aria. Eppure contro la sua realizzazione i cittadini stanno inscenando dure proteste. Il rischio di cadere nella trappola delle reciproche accuse e delle reciproche strumentalizzazioni in questi casi diventa forte.

Come in tutte le cose, probabilmente la verità sta nel mezzo. E la maniera più giusta per affrontare la questione potrebbe essere quella di instaurare un dialogo più aperto tra amministratori e cittadini. Del resto la mancanza di confronto e di reciproca comprensione tra base e centri decisionali non è altro che il male maggiore che oggi affligge la politica.

Cittadini più consapevoli e più informati, e soprattutto più fiduciosi nei confronti delle istituzioni, probabilmente non si opporrebbero alla realizzazione, anche di opere di grande impatto ambientale, perlomeno non senza averne prima verificato l’effettiva utilità e portata innovativa per il bene della collettività.