Per l’Europa non la follia creativa  ma la saggezza della tradizione

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Per l’Europa non la follia creativa ma la saggezza della tradizione

26 Marzo 2007

L’Europa unita è nata cristiana. In principio essa è stata il tentativo consapevole di recuperare un’identità comune dopo le tragedie dell’era delle tirannie, provocate dall’esasperarsi dei nazionalismi. Non fu un caso che i suoi padri fondatori furono tre uomini che quelle tragedie le avevano pagate in prima persona. Nessuno meglio di De Gasperi, trentino, avrebbe potuto comprendere i problemi provocati dal disgregarsi dell’Impero asburgico: una delle tracce profonde del secolo breve rivelatasi più duratura dello stesso comunismo, visto che il muro è caduto mentre la crisi nei Balcani continua a essere attiva. Nessuno come Schumann, alsaziano, avrebbe potuto penetrare l’essenza del conflitto franco-tedesco e del suo combinarsi con le ragioni più ampie alla base di due conflitti mondiali. E nessuno più di Adenauer, renano, avrebbe avuto le carte in regola per apprezzare la necessità di edificare nel Vecchio Continente una comunità di destino fondata su principi in grado di arginare i risentimenti scorsi per quasi un secolo senza interruzioni, trasportati dalle acque del Reno sotto i ponti di Colonia, la sua città.

Quel tentativo fu politicamente sostenuto dalle necessità indotte dalla fase più calda della guerra fredda e durò fin quando queste rimasero vitali: fino al 1953 quando ancora vi era il timore che la cortina di ferro potesse non reggere e l’Europa potesse nuovamente trasformarsi in teatro di un conflitto planetario. Trascorsa la grande paura, anche l’Europa dei padri fondatori declinò. E il progetto d’integrazione, per resistere, si dovette trasformare. Fu concesso più spazio alle esigenze delle nazioni. Si accettò che il suo motore fosse franco-tedesco. Lo si fondò sulla convenienza economica assai più che sull’accordo politico-culturale creando, per questo, un’asimmetria mai più rimediata. Fuori dalla retorica che in questi giorni sprizza da ogni poro istituzionale, i trattati di Roma furono tutto questo. Non è un caso che il mercato unico è oggi celebrato mentre dell’Euratom – la mezza mela politica di Roma ’57 – nessuno si ricorda più. Aveva ragione Aron: se del mercato unico non avesse avuto bisogno l’agricoltura francese per rilanciarsi, anch’esso sarebbe finito nel dimenticatoio e, assai probabilmente%2C le odierne nomenclature inconsapevoli non avrebbero avuto niente da festeggiare.

Nonostante tutto, però, anche quando l’Europa si staccò dai propositi iniziali dei suoi ideatori, qualcosa del progetto originario sopravvisse. A tenerlo vivo furono, in particolare, due elementi. In primo luogo la persistenza dell’ordine bipolare. Perché anche dopo la chiusura della fase più calda, le ragioni della solidarietà occidentale rimasero vitali. Non fosse che per i picchi che la guerra fredda tornò a scalare anche nei decenni successivi alla morte di Stalin. E poi, fino agli anni Settanta, una classe politica che non aveva disperso il senso più profondo della tradizione culturale del Vecchio Continente. De Gaulle avrà anche avuto la responsabilità della contaminazione nazionalista dell’Europa. Non di meno, però, la sua Francia era quella delle grandi cattedrali e non quella del cubo della Defence.

Si stabilì, in tal modo, un compromesso tra l’ispirazione originaria del progetto europeo e i suoi pragmatici sviluppi che ha resistito fino alla fine degli anni Ottanta. Le sue tracce si ritrovano ancora nelle posizioni di politica estera assunte dall’Europa in quel drammatico decennio, anche quand’essa si ritrovò a maggioranza socialista. E poi ancora, a livello istituzionale, nell’atto unico. In seguito, due novità sono giunte ad infrangerlo: la fine della guerra fredda con la correlata convinzione che essa potesse autorizzare la fine della solidarietà occidentale; e l’arrivo ai vertici della politica nazionale di molti paesi continentali della generazione del Sessantotto, cresciuta con l’intento di annientare proprio quel patrimonio identitario che i padri fondatori avrebbero voluto eternizzare.

Così l’Europa si è ritrovata scissa dagli Stati Uniti e in competizione con essi. Alla forza della tradizione si è sostituita la razionalità che si fa diritto, che si è voluta considerare più importante delle stesse pratiche democratiche. Inevitabilmente il progetto europeo ha divorziato dal popolo europeo proprio mentre una sfida di civiltà fondata sul terrore, subita e non ricercata, ha concesso una nuova, fortissima attualità alle idee di De Gasperi, Schumann e Adenauer. Chi lo nega, dicendo che quei propositi appartengono al passato, o invece di guardare ai drammi dell’oggi, evoca “la follia creativa” per il futuro, in realtà si è già arreso. Chi invece, come Benedetto XVI nel suo discorso di sabato, prende atto della rottura del compromesso, vuol continuare a combattere. Per questo colloca la Chiesa, ormai anche ufficialmente, all’opposizione di quest’Unione Europea. E noi siamo con lui.