Per mangiar bene c’è chi va per mare e chi per Monti

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Per mangiar bene c’è chi va per mare e chi per Monti

22 Febbraio 2009

Cucina di alta qualità, di rigorosa matrice marchigiana ma  con visione evolutiva, garbo nel servizio, cortesia e prezzi contenuti sono le caratteristiche salienti della romana “Trattoria Monti”.

Il nome non deve trarre in inganno: il, peraltro, contiguo Quartiere Monti (la vecchia Suburra della città classica) non c’entra nulla. Stiamo infatti parlando di un  minuscolo locale a conduzione strettamente familiare, che da molti decenni  alza la propria insegna nello storico Quartiere Esquilino, a due passi da Piazza Vittorio Emanuele II, la più “torinese” tra le piazze dell’Urbe. L’Esquilino è oggi un quartiere alquanto singolare, per le molte contraddizioni che lo connotano.  Per certi versi,  si può  dire che è divenuto una realtà della Capitale vagamente inquietante.  Qui, tra qualche reperto romano antico e taluni edifici medievali, ricorrono con frequenza le architetture umbertine dei palazzi.  La denominazione delle strade celebra spesso la gloria di personaggi risorgimentali e di notabili dei primi decenni dell’Italietta post unitaria. Considerato il contesto, non occorre grande sforzo per  immaginare di veder  uscire da un portone la figura elegante di Edmondo de Amicis, reduce da una  visita da cronista affermato in un salotto alla moda della recente nuova capitale del Regno, o quella azzimata – e affamata di successo –  del giovine Rapagnetta, non ancora consolidatosi “gabrieldannunziano”, appena introdotto, mercè la benevolenza dell’Architetto Cellini, nella cerchia degli intellettuali,  frequentatori della mitica terza saletta del  Caffè Aragno.

Questa situazione del recente passato contrasta in modo stridente con l’essere ormai l’Esquilino regno incontrastato della comunità cinese e dei suoi esercizi commerciali. Questi ultimi,  per lo più, offrono al pubblico – in vero alquanto scarso –  della merce improbabile e, quindi, sfugge la loro stessa ragione d’esistere, per lo meno agli occhi del candido redattore di questa rubrica. A fronte di siffatta  difficile e preoccupante realtà da China Town, la Trattoria Monti resta una vera e propria isola dello star bene enogastronomico della città.  Quanto al nome Monti, esso è semplicemente quello del marchigiano fondatore del ristorante, prematuramente scomparso lasciando un figlio ancora giovinetto e poco interessato agli insegnamenti di Apicio. Essendo questi, anzi, decisamente propenso  a divenire seguace di Esculapio (in effetti viene segnalato esercitare felicemente la professione medica dalle parti di Cingoli), la famiglia passò di mano ad altri marchigiani, i Camerucci. Scomparso prematuramente anche il capo famiglia dei nuovi proprietari, la continuità e lo sviluppo qualitativo costante del locale sono stati saldamente assicurati dalla sua vedova, che con grande valentìa tuttora sovrintende alla preparazione dei cibi, mentre i suoi due figli seguono i clienti, con elevata professionalità e accattivante simpatia. 

Il ristorante, in realtà, è poco più che un ampio corridoio, al cui termine è collocata la cucina. A dispetto dell’angustia della situazione strutturale, il posto è curato in ogni particolare, anche sotto il profilo estetico, con un’attenzione e una ricerca dei particolari che si possono definire “ di gusto francese”, certamente affatto inconsueti per una città sciatta com’è Roma. Valgano, a titolo di esempio, lo studio prestato all’illuminazione, efficace ma discreta, realizzata con portalampade stilizzati da soffitto, i quali recano semplici lampadine, del tipo con il bulbo oscurato di nero alla base, così da svolgere utilmente la propria funzione, senza però accecare gli avventori o conferire loro un aspetto da livido Nosferatus  (circostanza questa piuttosto ricorrente in non pochi locali appena rilasciati dall’architetto di turno) e la presentazione del menù e della carta dei vini in eleganti – quasi sontuose -copertine di pelle.

Venendo all’offerta gastronomica, frutto dell’accurata elaborazione di materie prime selezionate con la massima cura, va sottolineato come essa sia giornalmente variata, con aggiunte fuori menù, proprio  in ragione di quanto è reperito sul mercato. Tra gli antipasti meritano menzione, oltre al tradizionale piatto di olive ripiene fritte, ciauscolo, fiori di zucca e crema fritta all’anconetana, i diversi “tortini”: di radicchio in salsa di asiago, di zucchine in salsa di carote (delizioso!), di cipolla rossa con salsa al gorgonzola. Tra i primi da non perdere le zuppe, giornalmente variate, le tagliatelle con ragù marchigiano, i ravioli (ottimi quelli di cernia), le mezze maniche con pecorino di fossa, salciccia e pepe nero, il tortello al rosso d’uovo e le paste al tartufo. Tutte le paste fresche sono prodotte in casa, con la sfoglia tirata a mano a cura (e gran fatica!) dell’instancabile titolare. Tra i secondi – per i quali è anche prevista una specifica sezione vegetariana – l’attenzione va richiamata sul cervello di abbacchio fritto con zucchine, sulle diverse preparazioni di ottima carne di manzo, sul coniglio ripieno arrosto tartufato, con ghiotto contorno di patate, sulla coda di rospo variamente presentata, sulle cotolette di abbacchio fritte e, soprattutto (ma qui prevale la partigianeria di chi scrive) sul baccalà (da ascrivere ai primissimi posti tra quelli offerti in città). Menzione particolare merita il piatto di formaggio: pecorino di fossa con miele d’acacia, confettura di albicocche e lonzino di fichi, accompagnato da verdicchio passito “Brumato” di Garofoli. Per i dolci la preparazione della casa rende deliziosi il tortino di mele con zabaglione, il creme caramel (perfettamente non budinoso), la torta di pere caramellate con crema inglese, il semifreddo agli amaretti e torroncino con cioccolato fondente.

Buone e decisamente ricche le offerte della cantina, per la quale la scrupolosa ricerca della qualità dei produttori è accompagnata dal commendevole sforzo di contenere al minimo i ricarichi. Del resto, come già si è detto, il cercare di calmierare i costi è caratteristica costante del ristorante, che nel rapporto prezzo/qualità è forse al vertice della classifica cittadina. Quando, con un nuovo impianto di aspirazione, si riuscirà a debellare totalmente il pur vago odore di cibi che, qualche volta, giunge in sala, diverrà ancora più difficile trovare posto in questo locale, per il quale, già all’attualità, occorre spesso prenotare con qualche giorno di anticipo.

Trattoria Monti – Roma, Via di San Vito, 13° – telefono: 06/4466573 – chiuso la domenica a cena e il lunedì.