Per non fare la fine della Grecia all’Italia ancora servono le riforme del Cav.

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Per non fare la fine della Grecia all’Italia ancora servono le riforme del Cav.

15 Maggio 2012

A dieci anni dalla adozione dell’euro non più solo come moneta di conto, ma anche come mezzo di pagamento nei mercati di eurolandia, c’è una crisi dovuta al caso greco, che mette a repentaglio tutta questa costruzione e genera una tensione anche per il debito pubblico italiano, che nel frattempo è tornato a quel 120% del Pil a cui si trovava nel 1995, quando l’Italia stava per entrare nell’euro. Conviene riflettere sugli anni dall’epoca dell’ingresso nell’euro ad oggi e confrontare il percorso passato e a venire della Grecia con quello dell’Italia per capire che cosa ci attende per il futuro.

L’entrata nell’euro per stati come la Grecia e l’Italia con una moneta instabile e un elevato debito pubblico è stato, nell’immediato, molto vantaggioso perché ha abbassato il costo del finanziamento del debito pubblico, riducendo drasticamente il tasso di interesse sulle nuove emissioni, in quanto c’era la garanzia dell’euro. Per altro l’Italia, con il governo Prodi, nel 1997, ha utilizzato tale beneficio per prorogare al futuro la riforma delle pensioni, cosicché mentre si riduceva il costo del servizio del debito pubblico aumentava la spesa sociale pensionistica. E i proventi delle privatizzazioni richieste dalla politica europea non venivano utilizzate per ridurre il rapporto fra debito pubblico e Pil, ma per coprire i debiti del servizio sanitario, che si formavano sistematicamente.

Ci si era illusi, o meglio il nuovo centrosinistra aveva illuso gli italiani, che l’ingresso nell’euro ci avrebbe dato automaticamente un beneficio netto, una sorta di rendita europea, mentre si trattava di nuove opportunità per valorizzare le quali occorreva un severo impegno verso le regole del mercato. Un mio scritto, in cui sostenevo che quello dell’euro era per noi “un percorso di guerra” a causa della sfida del libero mercato, che imponeva profonde revisioni dello stato sociale e del dirigismo sociale, fu accusato di essere viziato da pregiudizi contro il governo Prodi che ci “aveva portato in Europa”. A nulla valse la mia replica consistente nell’osservazione che io ero assolutamente a favore di questa scelta perché ritenevo che le riforme richieste per trarre vantaggio dalla partecipazione all’unione monetaria europea corrispondevano alla politica economica che io, da tempo, auspicavo per il nostro paese.

Ben peggio dell’Italia hanno fatto i greci, che muovendo da un rapporto debito/Pil simile al nostro con una economia molto più debole e un deficit strutturale della bilancia corrente dei pagamenti, hanno aumentato le spese sociali e quelle per i dipendenti pubblici e hanno falsificato, con vari trucchi, i bilanci pubblici, dando l’impressione di aver diminuito in modo sostanziale il rapporto debito/Pil. Ovviamente ci si può domandare come mai non se ne sia accorta l’autorità europea preposta al controllo dei bilanci pubblici, né vale la pena replicare che essa ha fatto ripetuti rilievi sui bilanci greci che non hanno avuto esito, perché si trattava di rilievi marginali, che non andavano al nocciolo del problema, e piuttosto deviavano l’attenzione da esso.

In Italia al governo Prodi succedette il governo Berlusconi che riuscì a fare alcune modifiche al sistema delle pensioni, ma non poté fare molti passi avanti per la dura opposizione della CGIL, la mancata collaborazione della Confindustria e l’ostilità generale della grande stampa, che era nostalgica del centro-sinistra. Il mercato del lavoro fu migliorato con la legge Biagi che ridusse la disoccupazione di un milione di unità, come era stato promesso all’inizio della legislatura, ma non era possibile riformare il resto del sistema. Quando il centro sinistra tornò al potere, in coalizione con una importante ala di sinistra massimalista, esso non adottò la linea del contenimento della spesa, ma quella dell’aumento delle imposte e la legislatura finì prematuramente perché Prodi non intendeva proseguire con continue concessioni all’ala sinistra della sua coalizione, che voleva utilizzare ogni incremento di entrata per l’incremento delle spese.

Si è giunti così nel 2007, mentre stava per scoppiare la crisi, al nuovo governo Berlusconi con un situazione di alta pressione fiscale e di spesa elevata, con un mercato del lavoro ingessato nella sua parte centrale  un debito poco sopra il 100% e un deficit/Pil che nel primo anno di Berlusconi era meno del 2%. L’Italia ha retto alla crisi finanziaria molto meglio di altri stati, sia perché partiva da un saldo di bilancio molto basso e ha saputo tenere sotto controllo il bilancio, sia perché ha svolto una politica di ammortizzatori sociali che hanno attutito la crisi. Ma più di altri stati europei ha subito la crisi economica, in quanto l’economia italiana è fortemente orientata all’esportazione e i mercati esteri erano in caduta libera.

In Italia, così il Pil è diminuito di molto, facendo salire il rapporto debito/Pil nonostante la riduzione del deficit più ampia e rapida che nella media europea. E nel 2011 è emersa la crisi del debito, originata dai problemi degli stati periferici dell’eurozona, in particolare della Grecia, ma anche della Spagna e del Portogallo. Lo spread sui nostri titoli è arrivato a 500 punti. Si è dato al governo Berlusconi la colpa di ciò, mentre in gran parte i fattori che lo causavano erano esogeni. E’ però vero che occorreva rispondere alle sollecitazioni della Bce e della Commissione europea, che chiedeva riforme, in particolare quella delle pensioni cui si opponeva la Lega Nord mentre la riforma del mercato del lavoro, mediante i contratti aziendali veniva vanificata da un accordo della Confindustria con la Cgil che traeva con sé anche Cisl e Uil. (E Fiat auto usciva da Confindustria e riduceva l’impegno in Italia). Tremonti veniva criticato perché la sua manovra di bilancio era più sulle entrate che sulle spese e in queste si basava sui tagli lineari.

La Grecia faceva poco per combattere la crisi, alla fine è stata salvata con un costoso intervento delle finanze europee e della stessa BCE, ma non ha rispettato gli impegni che il salvataggio comportava, perché la sua situazione economica andava peggiorando e la volontà politica di governare la situazione veniva meno. Da ultimo la Grecia andava alle elezioni. Nel frattempo questa crisi e quella della Spagna si sono ripercosse sull’Italia.

Ora abbiamo il governo tecnico, si è fatta la riforma delle pensioni, quella del lavoro fatica ad andare in porto, il rigore di bilancio è stato attuato con le imposte. Lo spread che era disceso a 300 è risalito oltre 400 per effetto della crisi greca, che ha assunto un aspetto drammatico, perché in Grecia, dopo le elezioni, in cui ha prevalso la sinistra, non si riesce a formare un governo di coalizione, che tenga fede agli impegni europei.

La differenza con l’Italia è abissale, perché Berlusconi, considerato dall’Economist "unfit to rule”, inadatto a governare, ha fatto un gesto che mostra che è vero l’opposto. Si è dimesso spontaneamente e sostiene un governo tecnico, con una coalizione in cui ha sacrificato il successo del suo partito, il PDL, alla causa nazionale. Ricevendone, sin qui, scarsi riconoscimenti. L’Italia se la caverà, perché il centro destra ha sacrificato parte del suo programma per l’unità nazionale, la Grecia non si sa. Ma in futuro solo con una iniziativa che riprenda, aggiornandolo, il programma neo liberale di Forza Italia sarà possibile far fruire all’Italia dei vantaggi della moneta unica, di cui ha patito, sin qui, soprattutto gli svantaggi: non tanto per colpa di Angela Merkel, quanto perché era un “percorso di guerra” verso l’economia di mercato di concorrenza, con una prospettiva dinamica, come era nel DNA di Forza Italia e come non è nel DNA dell’ex partito comunista, che non è riuscito ad assumere una linea riformista paragonabile a quella della socialdemocrazia tedesca, che per altro in Italia sarebbe comunque insufficiente.