Per restituire credibilità al teatrino della politica serve la lezione di Carl Schmitt
25 Giugno 2012
di Luca Negri
La fortunata espressione “teatrino della politica” è ormai entrata perfino nella chiacchiera da bar, per giunta rinforzata dalla diffusa consapevolezza che il teatrino in questione è animato non da vivaci attori in carne e ossa ma da vere e proprie marionette, da rigidi burattini. A muovere i fili dietro le quinte, è luogo comune tutt’altro che infondato, ci sono oscuri mangiafuoco non legittimati da alcun voto popolare, esponenti del mondo economico e finanziario. Non c’è dunque da stupirsi per il crescente sentimento di sfiducia nei confronti della politica tradizionale, della stessa democrazia rappresentativa, di tutta la classe dirigente protagonista della cosiddetta Seconda Repubblica, per quanto riguarda il nostro paese. Il ritornello “ce lo chiedono i mercati” rischia di diventare il motto da incidere sulla lapide della politica, a meno che qualcuno non rialzi la testa e rivendichi l’autonomia dell’arte di amministrare l’esistente al di là dei voti espressi dalle agenzie di rating e dei flussi e riflussi del tardo capitalismo.
Da tempo ci ripetiamo che le ideologie sono morte, però non è così vero, mica tutte sono defunte e seppellite. Il liberalismo è ancora vivo, appena scalfito dalla crisi mondiale, poco disposto a mettersi in discussione, sempre rinforzato dalla comoda scusa che le alternative offerte dalla storia sono state ben più nefaste. Eppure è manifesta la sua incapacità ad arginare l’invadenza della tecnica, ultima metafisica rimasta all’Occidente; basti pensare alle questioni bioetiche.
Sui limiti del liberalismo classico, sui rischi del “paradiso artificiale della tecnica”, meditò e scrisse parecchio Carl Schmitt, il più acuto politologo europeo del secolo scorso. La sua famigerata collaborazione con il regime nazista era motivata non certo da sentimenti antigiudaici, bensì dalla speranza di poter fronteggiare, arginare sia la mentalità mercantilista anglosassone che il materialismo sovietico. Schmitt pagò, prima con il carcere e poi con l’ostracismo dagli ambienti accademici, il suo errore di prospettiva, riconobbe i suoi sbagli. A noi non rimane che cogliere cosa c’è di vivo e salutare nel suo pensiero, cosa può restituire credibilità al teatrino politico europeo ed occidentale.
A proposito di dramma, di messa in scena, Adelphi ha da poco pubblicato due dialoghi scritti da Schmitt alla metà degli anni ’50 per un’emittente radiofonica tedesca. Il volumetto, intitolato “Dialogo sul potere” è soprattutto un’ottima introduzione alle sue idee. Alla dicotomia fra civiltà marittima (la “talassocrazia” atlantica), predatrice, piratesca e capitalista e quella terreste, tellurica, eurasiatica, il giurista tedesco dedicò una delle sue opere più riuscite: “Terra e mare” (sempre nel catalogo Adelphi). Il “Dialogo sul nuovo spazio” ripropone lo stesso tema attraverso un dibattito, non privo di ironie e di soluzioni brillanti, fra un anziano storico, un maturo scienziato tentato dallo scientismo e un giovane anglosassone di tendenze futuriste. Ovviamente, Schmitt mette le sue personali riflessioni in bocca al primo dei tre.
Interamente dedicato al problema del potere è invece l’altro dialogo. Se non è più proponibile una legittimazioni politica di stampo medioevale, giustificata da un’investitura divina, se è da rifiutare anche lo Stato hobbesiano fondato sulla paura, sulla pessimistica consapevolezza dell’homo homini lupus, non rimane che la formula “homo homini homo”. Ma “la bella formula” dell’uomo che è veramente uomo per i suoi simili, gli altri uomini, non è per Schmitt una soluzione. Semmai rappresenta “l’inizio della nostra problematica”, la missione di essere veramente umani, non complici di un regime totalitario né di ciechi ed invasivi meccanismi economici.
È proprio da riflessioni come queste che possiamo pensare nuovamente la politica e la sua autonomia, restituire la scena ad attori che non siano semplici burattini, seppellire le ideologie ottocentesche ed accogliere impulsi morali e soluzioni pratiche per gestire e migliorare la nostra civiltà.